giovedì 21 giugno 2007

Stop alla gestione affaristica della Regione Calabria: Ora basta!

Le continue vicende giudiziarie che in Calabria stanno coinvolgendo politici, imprenditori e forze dell’ordine, mettono a nudo il carattere trasformistico della politica regionale degli ultimi 20 anni.
In un quadro sociale drammatico, in cui la criminalità diventa fattore di ammortizzatore sociale, appare sconcertante la continuità delle politiche di precarietà e massacro sociale che questo Governo regionale sta imponendo alla popolazione calabrese.

Al di là delle responsabilità che dovranno essere accertate, è ammissibile l’estraneità della politica della Giunta dai problemi reali a fronte di un incancrenito intreccio politico-affaristico-mafioso?

Non è forse arrivato il momento di chiederci che senso ha definirsi "sinistra" quando si è direttamente e indirettamente complici di un sistema legato ai poteri forti e oscuri di questo nostro Mezzogiorno?

Le forme di precarietà, in tutti i settori, sono il prodotto di scelte volute da chi gestisce il potere e vuole ad ogni costo tenere sotto continuo controllo – anche attraverso il ricatto elettorale – la gran parte della popolazione che non riesce a soddisfare i propri bisogni primari.

Riteniamo opportuno esprimere un forte dissenso anche nei confronti di quell’elettorato borghese che nei fatti sostiene, a vantaggio dei propri interessi, una classe politica rampante e senza scrupoli.

Il perpetuarsi di questo sistema di potere è garantito, inoltre, dall’omologazione degli intellettuali alle attuali politiche dominanti che inibiscono oggettivamente la capacità critica e culturale della gente comune.

Si parla di un Piano Sanitario che, oltre a tagliare il 60% dei fondi alle strutture sovvenzionate - con il conseguente rischio di centinaia di licenziamenti - non garantisce il potenziamento delle strutture pubbliche ma tende all’ abbandono di queste per la costruzione di nuovi ospedali (vedi Ospedale di Vibo Valentia).

Cosa comporta tutto ciò?

Assegnazioni di appalti per la costruzione, per le forniture di servizi, assunzioni clientelari, mazzette etc etc.

Il 5 agosto del 2006 nell'ambito della legge finanziaria regionale è stata approvata dal Consiglio Regionale una norma (art. 29, comma 4, della legge regionale n. 7 del 21 agosto 2006) che impedisce la pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione Calabria (BURC) degli atti - e dei conseguenti impegni di spesa - relativi alla Giunta ed alla presidenza del Consiglio Regionale. Un provvedimento che, oltre a calpestare i principi costituzionali della trasparenza e della partecipazione del cittadino alla pubblica amministrazione, vuole nascondere i misfatti e l’ambiguità della disciplina regionale.

I lavoratori precari Lsu e Lpu in Calabria sono circa 8000 e continuano a ricevere con forte ritardo le proprie spettanze e a non avere risposte sulla propria stabilizzazione.
Risposte che tardano ad arrivare sia dal governo nazionale, sia dal governo regionale.
Ancora oggi non viene sciolto il nodo sulle risorse previste in finanziaria sulle loro stabilizzazioni. Tutto ciò a dimostrazione di come la questione Lsu e Lpu non sia fra le priorità assolute della giunta regionale, né del governo Prodi sulle questioni del Mezzogiorno.

E’ giunta l’ora, secondo noi, di sollecitare l’elettorato "sano" affinché si ponga fine agli appelli di sindacati e amministratori sulla concertazione; la Calabria è oramai una regione persa, al collasso che ha davanti a sé le prospettive peggiori che si possano immaginare, finchè questa classe politica calabrese continuerà ad alternarsi sulle poltrone del potere.

Bisogna liberarsi dalla demagogia attuata nei confronti delle persone oneste e bisogna dire basta a tutte le espressioni clientelari che chiudono le porte al futuro delle giovani generazioni e dei disoccupati che abbandonano terra e affetti per trovare sistemazione all’estero o per continuare a fare i precari nel nord-Italia.

Dobbiamo dire con forza che siamo contro la Giunta Loiero e contro l’intera classe politica calabrese ed è proprio per questo motivo che chiediamo le dimissioni immediate del governo regionale;

Se la "vera sinistra" fosse disponibile a rompere con i rappresentanti dei poteri forti potremmo elaborare un programma che, partendo dai bisogni reali delle classi economicamente più deboli, concretizzerebbe le aspettative e le speranze di larga parte della popolazione meridionale.

La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario; un reddito minimo ai giovani disoccupati; casa e sanità garantite; la ripubblicizzazione dei servizi come l’acqua e l’abolizione del segreto bancario sono solo alcune delle proposte che dovrebbero essere rimesse al centro del confronto politico e delle vertenze di lotta.

Come comunisti ci muoveremo in quest’ottica. Se non ora quando!?



Coordinamento per l’Unità dei Comunisti - Cosenza

9 Giugno 2007: una giornata storica per la sinistra di classe

La straordinaria riuscita della manifestazione nazionale del movimento contro la guerra contro l’arrivo in Italia del criminale di guerra G.W. Bush è la testimonianza che qualcosa nel nostro paese stà cambiando.
Per la prima volta negli ultimi anni i movimenti e l’intera sinistra di classe dimostrano di poter riempire le piazze senza aver bisogno dell’appoggio dei “pacifinti” (Rifondazione, Verdi, PdCI, SD, CGIL, ecc.), quindi senza dover annacquare le parole d’ordine e le piattaforme di lotta per accontentare gli “amici del governo amico”.

Ma il dato più significativo emerso nella giornata del 9 giugno è senz’altro il flop clamoroso del presidio organizzato dalla sinistra di governo: le poche centinaia di persone presenti a piazza a Piazza del Popolo, se confrontate con le circa 100000 presenti al corteo, rappresentano uno schiaffo in pieno viso ai vari Giordano, Diliberto e compagnia, al loro opportunismo e alle loro menzogne.
Una sconfitta tanto più bruciante in quanto la stessa base di quei partiti, stanca di essere presa in giro ha voltato le spalle ai propri dirigenti, abbandonandoli al loro destino e scendendo in piazza nell’unica manifestazione che poteva a pieno titolo definirsi “contro Bush e contro le guerre”.

Quali gli insegnamenti che possiamo trarre da quanto accaduto il 9 giugno?

1) I compromessi al ribasso con il ceto politico e gli apparati della sinistra di governo si dimostrano non necessari per la riuscita di una manifestazione: negli ultimi anni questa argomentazione è risuonata ai quattro venti, facile alibi per nascondere i limiti del movimento e in primo luogo delle sue direzioni (vere o presunte che fossero).
Evidentemente, quando tutti marciano nella stessa direzione, quando le organizzazioni promotrici orientano tutti i loro sforzi alla riuscita delle iniziative e non, viceversa, a combattersi tra loro in sterili quanto autoreferenziali guerre intestine, il movimento tutto diventa più credibile agli occhi del popolo ed è capace di coniugare la partecipazione di massa con la radicalità degli obiettivi.
Non sempre la quantità si ottiene a discapito della qualità, dunque…
Vista in quest’ottica, la giornata del 9 giugno rappresenta una clamorosa smentita anche per tutte quelle “civette” sedicenti rivoluzionarie che da anni vorrebbero far credere che la partecipazione di massa è possibile solo se il movimento si prostra ai piedi della sinistra di governo e alle “sigle ufficiali”, solo cioè se si ammorbidiscono i contenuti della lotta per renderli graditi al politicante o al burocrate di turno.

2) Le politiche antioperaie, neoliberiste e guerrafondaie del governo Prodi rendono di giorno in giorno sempre più difficile stare con un piede in due scarpe.
Milioni di lavoratori, di studenti e di sfruttati nel nostro paese sperimentano sulla loro pelle quotidianamente le menzogne e le falsità che si celano dietro i proclami dei segretari e dei parlamentari della sinistra di governo. Un anno di guerre, tagli allo stato sociale, privatizzazioni, attacchi ai diritti (dallo scippo del TFR all’imminente attacco alle pensioni) e subalternità ai diktat di Confindustria e del Vaticano sono bastati per aprire gli occhi anche ai ciechi. Quel governo che solo dodici mesi fa appariva al popolo della sinistra come una speranza di cambiamento , ora è divenuto il principale motivo di rabbia e disincanto, mostrandosi in totale continuità col precedente governo-Berlusconi. Il risultato delle recenti elezioni amministrative non fa che confermare questo stato di cose.

Oramai è evidente a tutti lo spartiacque tra governo ed opposizione, tra chi continua ad illudere e vendere fumo, speculando sulle lotte e svendendo le aspirazioni di milioni di proletari sull’altare degli interessi di poltrona e della pace sociale, e chi non intende fare sconti al governo Prodi, nelle piazze, nei luoghi di lavoro e di studio.
Questo spartiacque dev’essere chiaro anche in futuro, e non può essere rimosso nel nome di un presunto "bisogno di unità" con chi vota in parlamento a favore delle guerre e delle peggiori misure antioperaie.
“O con Prodi o con chi lotta contro Prodi”: questa pensiamo debba essere la discriminante che il movimento deve assumere da oggi in poi, nelle piazze e nel paese.

3) Per la sinistra di classe si apre una nuova fase, densa di compiti e responsabilità.
L’ottimo risultato della manifestazione del 9 Giugno non deve farci però adagiare sugli allori, ma deve al contrario spingere le principali sigle politiche e sindacali ad un assunzione di responsabilità anche in prospettiva futura.
Il dibattito che si stà sviluppando in questi giorni, e che attraversa svariati ambiti e strutture, è senz’altro il segno che qualcosa inizia a muoversi, e che la domanda di unità della sinistra di classe, ovvero di una rappresentanza politica degli interessi delle classi sfruttate che vada oltre la polverizzazione delle sigle attuali, inizia a diventare un’esigenza avvertita anche da singoli compagni e militanti.
Sarebbe però sbagliato, magari sull’onda dell’entusiasmo, pensare di risolvere il problema “qui ed ora” dando vita a contenitori omnicomprensivi con la pretesa di fare da megafono più o meno politico a tutto ciò che si muove in giro per l’Italia; d'altra parte, ancor più sbagliato, come abbiamo sempre sostenuto, è il pensare (come qualcuno continua a fare) che un’organizzazione autonoma delle classi sfruttate possa nascere per iniziativa di un manipolo di eletti che si autoproclamano “partito”.
Queste ipotesi rappresentano, da sponde opposte, due risposte sbagliate ad una giusta domanda di rappresentanza.

Come Associazione Unità Comunista, pensiamo invece che siano maturi i tempi per dar vita ad una costituente comunista: dunque, non una generica costituente dei movimenti di lotta, né tantomeno la riproposizione dell’ennesima gabbia asfittica e settaria dell’ennesimo (ed inutile) partitino comunista, bensì la (ri)costruzione di un percorso, ostico ma quantomai necessario, di confronto politico, culturale e teorico tra tutti coloro che ritengono ancora attuale il tema della trasformazione rivoluzionaria dell’esistente e dell’edificazione di una società socialista.
Un dibattito franco e orizzontale, scevro da cristallizzazioni ideologiche e richiami nostalgici, ma orientato con chiarezza alla costruzione di un programma politico di classe da contrapporre a quello dei due poli della borghesia e alternativo a una sinistra di governo "radicale" a chiacchiere ma sempre più impresentabile nei fatti.
Il nostro lavoro, al fianco di numerosi compagni e collettivi in tutta Italia, nel costituendo Coordinamento per l’Unità dei Comunisti, che ha visto il suo atto di nascita lo scorso 10 giugno a Roma, testimonia di come questo sforzo non sia solo un nostro desiderio astratto, ma al contrario si appresta sin d’ora a divenire movimento reale.

Associazione Unità Comunista

domenica 17 giugno 2007

solidarietà a Batasuna

Apprendiamo della notizia dell’arresto di Arnaldo Otegi, portavoce nazionale di Batasuna, per aver reso omaggio al dirigente fondatore del movimento di liberazione del Popolo Basco, per le sue esternazioni in merito alla Corona di Spagna, per “reati d’opinione”, in definitiva.
L’Associazione Unità Comunista, da sempre al fianco della lotta e della resistenza internazionalista, a sostegno esplicito e militante del diritto all’autodeterminazione e della libertà dei Popoli, esprime la sua piena, incondizionata solidarietà al dirigente indipendentista basco, condannando senza appello, la politica repressiva dello Stato e del Governo spagnolo e di tutti quanti intendano “risolvere” questioni di ordine politico e sociale con procedimenti giudiziari sì come propri alla magistratura borghese.
Istituzioni governative sempre più lontane dai bisogni reali delle popolazioni, autocratiche ed autoreferenziali, incuranti delle aspirazioni di emancipazione e di riscatto delle masse popolari, fanno ricorso, con sempre maggiore spregiudicatezza, al loro braccio armato, convinte di stroncare, con carcere e manganelli, il dissenso politico e sociale alle politiche dominanti.
Pertanto, per un attestato di giustizia politica e sociale necessario, per riaffermare i diritti dei Popoli alla loro indipendenza ed alla propria identità, l' Associazione Unità Comunista si schiera, senza esitazione alcuna, al fianco di Batasuna, dei compagni baschi, di tutti i movimenti di lotta più coscienti ed avanzati al fine di costruire un sempre più ampio fronte comune contro questa ulteriore stretta autoritaria che vede uniti, indistintamente, Governi nazionali ed Istituzioni europee nel comune obbiettivo di mettere a tacere chi scende in piazza, lotta e si organizza per rivendicare i propri diritti di libertà e dignità, autodeterminazione popolare.
Contro al repressione, solo la lotta paga!
Per l’autodeterminazione dei Popoli!
Solidarietà militante ad Alvaro Otigi, a Batasuna, al movimento indipendentista basco!

l'antifascismo non è un reato

Apprendiamo con sgomento ma, del resto, senza sorpresa, la rapidità d'intervento delle forze dell'ordine nel tentare di piegare la capacità di resistenza e controffensiva antifascista dei compagni e della compagne dell’Aska.
Tre compagni sono stati posti agli arresti domiciliari per i fatti relativi allo scorso 14 maggio, quando, la polizia ha fatto irruzione nell’Università di Torino, con manganelli e lacrimogeni, per disperdere gli studenti e le studentesse antifasciste che protestavano contro i sempre maggiori spazi di agibilità concessi ai neo-fascisti del FUAN.
Istituzioni sempre più lontane dai bisogni reali della gente, sempre più autocratiche ed autoreferenziali, talora solidali e complici con la riabilitazione di revanscismi di stampo fascista, fanno ricorso al loro braccio armato con sempre maggiore spregiudicatezza! Loro convinzione sarebbe quella di "risolvere" questioni politiche come la difesa degli spazi di agibilità democratica antifascista nei luoghi dell’aggregazione sociale e culturale, come Scuola ed Università, con i manganelli o la magistratura borghese.
Obiettivo risulta, ovviamente, quello di eliminare dissenso politico e sociale “da sinistra” poiché non conforme alla logica bipartizan dei poli dell'alternanza borghese di governo ad ogni livello, sempre più estranei alle esigenze popolari, sempre più votati a derive governiste finalizzate a configurare espliciti comitati d'affari della classe dominante, schierati a difesa di interessi di casta e proprietà e che, pertanto e per “riequilibrare a centro”, sdoganano i neofascisti di contro chi lotta per difendere il diritto ad una cultura libera e critica, all’autodeterminazione politica per diretta rappresentanza, alla giustizia sociale.
Tre arresti ingiustificati – gli ennesimi! – quali elemento di pressione e repressione politica dei movimenti di classe, all’indomani della straordinaria riuscita della grande manifestazione nazionale del 9 giugno scorso delle sinistre dell’opposizione sociale contro la guerra. Tre arresti che non demoralizzeranno, non fermeranno la nuova stagione di lotta che va aprendosi nel Paese. Non inibiranno la forza d’urto dei movimenti di lotta, ormai del tutto antitetici alle organizzazioni della “sinistra” di governo. Non stroncheranno la necessità, sempre più avvertita dalle masse, di riscatto ed emancipazione politica e sociale.
L’Associazione Unità Comunista, da sempre schierata dalla parte dei movimenti di lotta contro la repressione veicolata dallo Stato borghese, esprime la sua ferma, incondizionata solidarietà ai Compagni Fabio, Marco, Davide, l’Askatasuna tutta, continuando, anche nel loro nome, la lotta per l’unità e la mobilitazione della masse contro le politiche di guerra, repressione e sfruttamento, emblemi del normale funzionamento del sistema del profitto; confermando che la lotta contro il rigurgito fascista è una lotta giusta poiché giusto è non indietreggiare di un solo passo di fronte a chi ha fatto dell’oppressione, della miseria e della distruzione di ogni libertà il vessillo del proprio agire politico. Perseverando senza posa nella lotta per il Comunismo.
LIBERTÀ PER I COMPAGNI ARRESTATI!
ORA E SEMPRE RESISTENZA!
LA SOLIDARIETÀ È UN ARMA!

mercoledì 6 giugno 2007

dimissioni dal coordinamento nazionale dei GC del compagno Iozzo

All'attenzione della segreteria nazionale del Prc
alla Direzione Nazionale
al Comitato Politico Nazionale
all’Esecutivo Nazionale Giovani Comunisti
al Coordinamento Nazionale Giovani Comunisti
alla segreteria provinciale di Vibo Valentia
al Comitato Politico Federale di Vibo Valentia
alla segreteria regionale della Calabria
al Comitato Politico Regionale
all’Esecutivo e al Coordinamento Regionale GC
all’Esecutivo e al Coordinamento provinciale GC

Oggetto : Dimissioni dal coordinamento nazionale dei giovani comunisti

Il sottoscritto Iozzo Nicola, membro del coordinamento nazionale dei giovani comunisti in riferimento al documento congressuale “GC: il cuore dell’opposizione”, comunico la decisione di consegnare le mie dimissioni dall’ incarico di membro del coordinamento nazionale dei giovani comunisti assunti in nome, per conto e su mandato dell’ ex Area Programmatica del Progetto Comunista, esperienza importantissima all’interno del PRC, oggi finita in seguito allsnaturamento di classe del PRC e alla costituzione dell’associazione di Unità comunista.
Per anni il partito della rifondazione comunista ha rappresentato il più alto punto di riferimento in Italia per milioni di lavoratori, operai, studenti, per tutti coloro che vivevano sulla propria pelle gli effetti di un sistema capitalistico sempre più aggressivo che determinava mediante le politiche di sfruttamento dell’uomo sull’uomo, una proletarizzazione di ampi settori della società, determinando un impoverimento di quelli che 10 anni fa potevano essere considerati come ceto medio.
Privilegi in difesa dell’imperialismo italiano ed europeo perpetrati da una classe politica figlia degli interessi delle aziende italiane tra le quali oltre ai tradizionali partiti democristiani, dobbiamo annoverare gli stessi DS. Il partito della rifondazione comunista nasceva essenzialmente in opposizione a tutto ciò, in alternativa alla svolta liberal- democratica dei DS, iniziata con la Bolognina di Occhetto quindici anni fa.
Alla luce degli ultimi accadimenti politici: alleanza organica al governo Prodi, abiura del marxismo-leninismo e della lotta di classe, la pratica della non-violenza assunta come paradigma centrale del suo agire politico, e in ultimo la costituzione della sinistra europea un nuovo soggetto politico che niente a che vedere con l’internazionalismo comunista, dobbiamo nostro malgrado registrare una svolta a destra del nostro partito. Il compimento della deriva governista del Partito della Rifondazione Comunista, con la scomparsa di ogni opposizione di sinistra e di classe al governo dei poteri forti (Confindustria, banchieri, Vaticano, ecc.) ha aperto uno scenario politico tanto inedito quanto drammatico. Un involuzione record compiuta dal PRC nel giro di un decennio e che apre nella situazione politica italiana degli scenari nuovi per i comunisti. Ciò che necessita è la costruzione di una reale opposizione politica comunista e di classe.
Opposizione reale che non può essere rappresentata da tutta la miriade di organizzazioni che in Italia si propongono la costruzione del Partito in base a questa o quella interpretazione dei “testi sacri” (siano essi maoisti, bordighisti, vetero o neo-stalinisti)
È evidente come tali soggetti, almeno per come sono strutturati e caratterizzati, al momento non possano rispondere al bisogno impellente di una opposizione comunista e di classe.
Ciò che oggi necessita è la costruzione di un BLOCCO AUTONOMO DI CLASSE alternativo ai due poli della borghesia, e dunque costruire insieme a tutte quelle forze comuniste una piattaforma di rivendicazione e di mobilitazione comune, cercando di raccogliere attorno a questa piattaforma quei pezzi della sinistra che oggi in seguito al tradimento dei propri partiti si trovano privato di un referente politico.
Continuerò a militare all’interno del PRC fin quando esisteranno le condizioni politiche per farlo o “fin quando mi sarà permesso”....quindi ancora per poco.

Nicola Iozzo

Il circolo Lenin di Dasà lascia il PRC

Il governo Prodi si pone in un ottica di sostanziale continuità con il passato governo Berlusconi. La situazione politica rimane sostanzialmente invariata con una classe politica che sfacciatamente sotto l’etichettatura di “centro-sinistra” continua comunque nella sua opera di precarizzazione del lavoro e delle politiche popolari, militarizzazione dei territori, asservimento ai dicktat della NATO e degli USA, rifinanziamento delle missioni belliche, sudditanza alle direttive della Banca Europea, soffocamento violento delle lotte popolari e repressione delle avanguardie comuniste tacciate dalle magistrature e governi borghesi come terroristi o filoterroristi e comunque destabilizzanti per l’ordine e l’equilibrio della società (capitalista!!!!)
Nessuna rottura e discontinuità alle politiche fasciste della casa delle libertà, anzi una ripresa delle politiche del berlusconismo di cui Prodi e Padoa Schioppa sono i più tenaci e fedeli prosecutori. Ecco dunque che se Berlusconi esce fuori dalla scena politica italiana dalla porta, la sua filosofia e prassi politica rientrano dalla finestra.
Dunque il centrosinistra si ripresenta al governo con gli stessi obiettivi (difesa degli interessi dell’imperialismo europeo, delle classi borghesi, dei privilegi del capitalismo made in italy), la stessa strategia (puntare ad ammortizzare il conflitto mediante una subdola concertazione da parte dei sindacati cofederali), e gli stessi strumenti (tagli allo stato sociale, privatizzazioni, precarietà del lavoro, aggressioni militari, il tutto nel rispetto ossequioso dei dogmi dell'imperialismo europeo), ma con una sostanziale novità: l’organicità dei partiti della cosiddetta sinistra radicale e l’aggravante della presenza del partito della rifondazione comunista costruito in alternativa a tale stato di cose.
Partito della rifondazione comunista che ha maturato negli ultimi tempi la sua “bolognina” e che ha snaturato gli ideali e le finalità per cui era stato costruito da parte di fedeli e tenaci compagni all’indomani della disfatta del vecchio PCI .
Affermiamo questo alla luce dei mutamenti che hanno caratterizzato negli ultimi anni la sua politica: alleanza organica al governo Prodi, abiura del marxismo-leninismo e della lotta di classe, la pratica della non-violenza assunta come paradigma centrale del suo agire politico, e in ultimo la costituzione della sinistra europea un nuovo soggetto politico che niente a che vedere con l’internazionalismo comunista. Sinistra europea che non sarà altro che un contenitore di forze socialdemocratiche,e quindi anti-comuniste, anti-rivoluzionarie, anti-operarie; e già rifondazione sembra adattarsi benissimo a tutto ciò costituendo peraltro il PRC, l’asse portante di questo nuovo calderone di forze tutt’altro che comuniste.
Dopo anni di lenta ed inesorabile deriva moderata e riformista della sinistra, persino quello che poteva essere considerato come l’ultimo baluardo delle masse oppresse, l’ultimo partito comunista occidentale di una certa consistenza passa dall’idea della trasformazione all’idea della governabilità, dalla prospettiva dell’alternativa a quella dell’alternanza.
Il risultato di questo pasticcio della sinistra europea è ben rappresentato dal miscuglio di rivendicazioni di cui si fa portavoce che niente hanno a che vedere con un programma di classe, niente a che vedere col marxismo e il comunismo.
La situazione del partito della rifondazione comunista della federazione di Vibo Valentia non va in controtendenza rispetto al partito a livello centrale. Questa federazione si distingueva da molte altre fino a qualche anno fa per la sua intransigenza politica, unica federazione in Italia a dire no alla tesi congressuale “Bertinotti-Cossutta” nel ’96. “Non si fanno accordi nemmeno nei condomini” dichiarava l’allora segretario federale Malerba, che ora assessore alla provincia, ha maturato la propria involuzione politica passando da rivoluzionario Trotskista, a Grassiano, completando la sua ricerca d’identità.
I primi sintomi che iniziavano ad indicare una svolta strategico-opportunista nella gestione della politica del PRC nella federazione si verificarono nel 2004 con la scissione dei compagni vibonesi dall’AMR di Ferrando, associazione marxista rivoluzionaria che si opponeva alla deriva socialscioviniosta che la maggioranza bertinottiana stava compiendo.
La domanda qui sorge spontanea: come può un intera federazione che fino a ieri si professava rivoluzionaria fautrice e promotrice di una politica di opposizione alla svolta socialdemocratica della maggioranza del partito, che annoverava tra i suoi esponenti dei dirigenti nella direzione nazionale dell’AMR, che dal momento della fondazione del partito ha sempre sostenuto tale strategie, come può nel giro di qualche settimana cambiare radicalmente prospettiva e visione politica tanto da allearsi alle provinciali del 2004 con quei partiti neo-democristiani tanto criticati fino al giorno prima? Facile: le opzioni sono due e ed entrambe non sono giustificazioni.
O improvvisamente nella provincia di Vibo valentia sono cambiate le condizioni che fino all’altro giorno impedivano di schierarsi al fianco di partiti sinistroidi e neo democristiani (cambiamenti che oggettivamente non si sono verificati); oppure tutte le politiche perpetrate dai nostri dirigenti fino al 2004 erano guidate da un fine prevalentemente opportunistico, che consistevano nel militare in una corrente minoritaria al fine di acquisire quella visibilità e quei posti di prestigio negli organi dirigenti nazionali che quasi sicuramente sarebbero stati loro negati vista e considerata l’esiguità del consenso del PRC nella provincia vibonese.
Fatto sta che in 3 anni di convivenza nel governo locale non siamo riusciti a spostare una virgola nella gestione politica dell’amministrazione provinciale, anzi ci siamo subordinati e prostrati alle direttive della maggioranza, rendendoci complici di politiche clientelari e anti operaie, a Vibo così come a tutti i livelli di governo regionale e nazionale.
Per tutta tale serie di motivi.
NON POSSIAMO RINNOVARE L’ADESIONE AL PRC PER IL 2007.
Restare ulteriormente in questo partito è ormai diventato impossibile per ragioni politiche evidenti: non si può continuare a vivere nella stessa organizzazione quando non si condivide ormai più niente della linea e dell’agire politico.
Restarci significa diventare comunque complici delle sue scelte e della sua azione. Oggi non possiamo che prendere atto del carattere definitivo ed irreversibile della svolta governista.
Siamo fortemente convinti che in Italia ci sia una sempre più urgente necessità di dar vita ad una forza comunista e di opposizione, che dia voce al malessere sociale di milioni di lavoratori e di sfruttati, di coloro che vivono sulla loro pelle, quotidianamente, gli effetti delle politiche di fame e miseria imposte dal sistema di produzione capitalistico per salvaguardare la mole sempre più ingente dei profitti finiti nelle tasche dei padroni. Siamo fortemente convinti che il capitalismo del nuovo secolo, pur mutando aspetto e caratteristiche del modo di produzione, continua a fondarsi sulla schiavitù del lavoro salariato, alimentando forme sempre più acute di precarietà, miseria e barbarie. Per questo riteniamo che la classe lavoratrice, e in primo luogo gli operai, siano ancora il fulcro di ogni contraddizione di oggi e il motore di ogni processo di trasformazione reale.
Finchè esisterà una classe oppressa, ci sarà bisogno di un partito comunista che la rappresenti con coraggio e coerenza: ed è in questa prospettiva che continueremo a militare e a lottare all’interno dell’associazione politica marxista UNITA’ COMUNISTA. Pertanto, con rammarico ma allo stesso tempo in maniera convinta ed irrevocabile, ci dichiariamo fin da ora estranei al nuovo soggetto politico, che nulla ha a che vedere con quell'idea di Rifondazione Comunista che ci spinse a fondare e a costruire il Prc non senza duri sacrifici, e quindi non innoveremo la nostra iscrizione al Prc-Sinistra Europea.
Auspicando che il nostro atto sia un imput, uno stimolo per quei compagni, sinceri comunisti che come noi non intendono morire democristiani e che intendano fin da ora lavorare alla costruzione di un nuovo soggetto politico, realmente comunista e di classe, necessità oggettiva e unica alternativa al cambiamento dello stato di cose attuale. Nuovo soggetto politico che non può essere oggetto di autoproclamazione dall’alto ma che richiede un lavoro arduo, lungo e faticoso ma nello stesso tempo necessario e affascinante. Questo è il progetto che l’associazione “unità comunista” si propone di portare avanti ed è proprio in quest’ottica che noi decidiamo di militare al suo interno. Un’associazione nazionale avente come suo scopo quello della riunificazione di tutti i comunisti senza partito che come noi non intendono “morire democristiani”.
Un progetto che ha come finalità di invertire una rotta che ci vede da anni, come comunisti, in preda ad un circolo vizioso fatto di divisioni, isolamenti e “arroccamenti identitari”, che non hanno prodotto nessun avanzamento significativo per il movimento comunista nel suo complesso.


Promotori:
Sergio Carmelo (segretario circolo PRC “V. Lenin”, coord provinciale GC Vibo Valentia)
Bufalo Mariangela(coordinamento provinciale GC Vibo Valentia)
Racina Cristian (coordinamento provinciale GC Vibo Valentia)

Sottoscritta da tutti e 34 gli iscritti del circolo “Lenin”.