sabato 7 marzo 2009

iniziativa di UC sulla Palestina

Ariel Sharon non deve morire!

Scritto da Francesco Fumarola

Ariel Sharon ha compiuto ottantuno anni il 27 Febbraio scorso. E non lo sa. In coma dal 4 Gennaio 2006 per un’emorragia cerebrale, solo la moderna scienza medica riesce a tenerlo ancora in vita.
E’ troppo lontano il 16 Settembre 1982, quando l’allora baldanzoso Ministro della Difesa di Sion diede l’ordine di illuminare a giorno i campi profughi di Sabra e Shatila, alla periferia di Beirut, permettendo ai falangisti cristiani di fare una strage di civili palestinesi e libanesi. Quella volta Sharon si guadagnò sul campo il disprezzo del partigiano Sandro Pertini, che di lui disse: ““il responsabile dell'orrendo massacro è ancora al governo in Israele. E quasi va baldanzoso di questo massacro compiuto. E' un responsabile che dovrebbe essere bandito dalla società". Parole inascoltate.

Eppure, a differenza degli oltre 3000 civili straziati di Sabra e Chatila (per i quali il Washington Post, il 20 Settembre 1982, scrisse: “la scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche” ), a nessuno è concesso di vedere la morte che si fa spazio sul viso di Sharon. Nessuno può avvicinarsi alla sua stanza d’ospedale: sorvegliata giorno e notte dal Mossad, assomiglia ad un fortino inespugnabile.

Forse suda freddo Sharon oppure, chissà, adattando a Sharon ciò che suor Albina ha detto per Eluana Englaro (“qualche volta muove gli occhi, soprattutto se le parla suor Rosangela , non si riesce a capire se comprende, ma io penso di sì, anche se clinicamente dicono di no”), possiamo immaginare il vecchio pachiderma ribellarsi alla condizione persistente di chi è costretto a rimanere chiuso dentro una stanza di pochi metri quadri, manco fosse una delle tante centinaia di migliaia di palestinesi che lui stesso ha fatto recintare con un Muro lungo centinaia e centinaia di chilometri.

Forse Sharon è davvero cosciente ed ha paura. Come ne avevano i bambini innocenti, le donne e gli uomini di Gaza che il mese scorso, per 23 giorni consecutivi, il suo successore Olmert ha fatto dilaniare con bombe pesanti, ad implosione, silenziose ed al fosforo.

O forse è semplicemente triste l’ex macellaio di Sion, ora ridotto ad un ammasso di rottami umani del peso di 50 kili, perché non potrà più attraversare spavaldo, come fece nel 2000, la spianata della moschee di Gerusalemme, scatenando l’ira dei palestinesi e la seconda intifada.

Anche se i medici sono stufi di dover tenere forzatamente in vita un paziente che se non fosse così ingombrante sarebbe già morto, la famiglia ed il 72% degli israeliani (che lo ringrazieranno sempre per i servigi resi al popolo “eletto” da Jahvè) tengono duro e chiedono che le cure mediche non si interrompano.

Non c’è nulla di male nel volere che Sharon stia ancora un altro po’ in coma. Molto probabilmente è ciò che pensano anche molte di quelle famiglie palestinesi che per colpa sua hanno subito lutti e versato lacrime. Stessa idea per i politici baciapile nostrani, come il Ministro ex Socialista Sacconi, l’ex radicale Capezzone, ora portavoce di Forza Vaticano, il Presidente Berlusconi (che probabilmente sta pensando a Sharon come ad un amico affettuoso che ancora può avere un’eiaculazione e perciò stesso ha il diritto di essere curato), o come il Cardinale Javier Lozano Barragan, presidente del Pontificio consiglio per gli operatori sanitari per la Pastorale della salute, che in questi giorni è tornato ad attaccare Beppino Englaro: "Abbiamo un comandamento, il quinto, che dice di non uccidere. Chi uccide un innocente commette un omicidio e questo è chiaro. Se Beppino Englaro ha ammazzato la figlia Eluana allora è un omicida".

Per tutti questi motivi e tanti altri ancora, ci associamo al 72% di israeliani ed alla famiglia di questo sionista criminale di guerra. Non uccidete Sharon.

Ariel Sharon non deve morire!

Francesco Fumarola, 1 Marzo 2009

Giù le mani dal diritto di sciopero!

Il "diritto di sciopero" è un´arma legittima ed inviolabile del movimento dei lavoratori per difendersi dall´arroganza dello sfruttamento capitalistico ed è stato sancito dopo anni di lotte costate la vita e la prigione a migliaia di operai. Tale strumento è sancito anche nel dettato Costituzionale ed il suo utilizzo ha segnato la strada degli unici cambiamenti reali che nel nostro paese che hanno inciso sulla vita di milioni di persone (conquiste salariali e normative, Statuto dei lavoratori, ecc...).

Oggi lo si vuole cancellare partendo dal trasporto con il cavallo di Troia, che magari possiede le sembianze di un tram, rappresentato da un decreto che impone di fatto il divieto di sciopero in quel settore strategico.

Nel trasporto si vuole completare il saccheggio ai diritti dei lavoratori e di fatto rendere nullo il principale strumento vertenziale e di visibilità concreta delle lotte giuste. Un attacco questo che fa il paio con il parallelo tentativo, a colpi di "accordi separati", di cancellare la contrattazione nazionale e i diritti a lottare per un lavoro ed un salario dignitosi.

Inoltre, si procede tramite il tentativo schizofrenico di separare i cosidetti interessi degli utenti da quelli dei "dannati del lavoro" precari o stabili che siano.

La realtà è che alla Confindustria, a "lorsignori" ed al loro attuale "governo amico", al di là delle roboanti e spettacolari dichiarazioni, non importa nulla dell´utenza e dei cosidetti cittadini. Il loro unico interesse reale è riprendere ad accumulare profitti abbattendo il costo del lavoro e annichilendo ogni resistenza dei lavoratori: vogliono le mani libere sul bottino!

Per far questo hanno bisogno di scatenare una guerra tra poveri, speculare sui loro interessi immediati: è la stessa "guerra tra poveri" che fomentano nei quartieri popolari delle metropoli tra sfruttati immigrati e residenti dietro il paravento della "sicurezza", mentre l´unica sicurezza che realmente stiamo tutti perdendo è quella di un lavoro ed un salario per vivere dignitosamente.

Per questo scioperare è giusto e opporsi a questo decreto liberticida è necessario. E se dovesse essere approvato in via definitiva bisognerà sostenere in maniera solidale l´esempio dei lavoratori dell´ATM di Milano e dell´Alitalia dello sciopero a qualunque costo.

Non è un caso che, in un clima di crisi ed egemonia reazionaria, gli unici sussulti reali di consenso del governo Berlusconi si sono registrati dopo il grande successo dello sciopero generale del 17 ottobre scorso del sindacalismo di base, dopo quelli del 12 dicembre di CGIL e sindacati di base, dopo le imponenti agitazioni studentesche e dopo l´ultimo riuscitissimo sciopero con manifestazione nazionale dei metalmeccanici e della funziona pubblica proclamati da FIOM e FP. E´ proprio per questo che qualche ministro ha pensato bene di "reprimere preventivamente" un grande movimento di opposizione sociale alle sue politiche reazionarie e filopadronali.

Come comunisti il nostro posto è in prima linea nelle lotte di massa e nel costruire un´opposizione di classe ai governi capitalistici, non solo nella sacrosanta difesa dello strumento dello sciopero, ma anche e soprattutto per contrattaccare per i diritti di tutti i lavoratori e delle classi subalterne.

Per questi motivi sosteniamo e aderiamo alla giornata nazionale di lotta venerdì 6 di marzo che vedrà manifestazioni in tutta Italia a difesa del diritto di sciopero.

A Roma l´appuntamento è alle 16.30 in Largo Ponchielli,
per manifestare davanti alla sede della Commissione di Garanzia.
Comunisti Uniti Lazio

Quando sentirsi male sarà il preludio per stare ancora peggio

Se ho capito bene (ma vorrei che così non fosse!), la xenofobia istituzionalizzata di questo paese ha sancito: che i medici denunceranno gli immigrati clandestini, i clochard (termine che mi fa impazzire perché serve semplicemente a far sembrare le cose più belle… credo si tratti di un meccanismo di difesa dell’area psicotica!) verranno schedati e si potranno fare le ronde (quindi camerati: avete sempre avuto la copertura, ma ora è proprio ufficiale, immagino siate già in strada a festeggiare!) Non intendo certo offendere l’intelligenza e l’acume di nessuno, perciò non vi farò notare una certa assonanza con quelle leggi eccezionali (“leggi fascistissime”) del ’25- ’26… Le minacce al diritto alla salute, in questo paese, non sono certo nuove, e già in passato si sono intrecciate con le dimensioni di moralismo, potere cattolico, razzismo e valori fascisti. L’altro, il diverso da noi, lo sfruttiamo nei cantieri, nelle campagne, nelle fabbriche. Se poi ci fa comodo lo additiamo per un crimine qualsiasi, perché è un capro espiatorio ideale.

Come i recenti fatti di cronaca dimostrano, egli diventa persino vittima di rappresaglie, che noi abbiamo appena legalizzato e, se qualcosa ho imparato, è che legalizzare la violenza comunica che la violenza è la risposta da utilizzare nelle più disparate situazioni. L’emendamento che oggi è stato approvato ha un potere disintegrante di cui bisogna rendersi conto: il problema non è del medico, come abilmente i telegiornali ci stanno facendo credere, per distogliere lo sguardo, focalizzando l’attenzione su come sceglieranno di comportarsi; il problema è di chi, partendo già dalla posizione di colui che non può scegliere come curarsi, a causa di un insieme di condizioni economiche e sociali che lo pongono in svantaggio, finisce col trovarsi nella posizione di scegliere, forzatamente, di non curarsi.

Quest’emendamento foraggerà un “mercato nero” delle cure. Per il terrore di incappare in una spia col camice bianco, queste persone non ricorreranno più agli strumenti sanitari legali, ma diventeranno carne da macello. Inoltre, fruire dei mezzi deputati alla cura, vuol dire fruire della possibilità di star bene, che vuol dire star bene nel nostro paese. La condizione di chi è “straniero” è tutt’altro che facile: occorre mobilitare tutte le risorse di cui la persona dispone per trovare le strategie più efficaci per affrontare il nuovo contesto. Già questo dovrebbe bastare a pensare delle modalità idonee di prendersi cura di queste persone e della loro salute, facendo sì che possano trovare una risposta costruita sulla dimensione dell’accoglienza,della reciprocità e delle uguali opportunità, e non su quella dell’aggressione e della persecuzione.

E se volessimo andare a fondo del comportamento schizofrenico delle istituzioni, dovremmo sottolineare la scissione messa in atto quando prima si nega ad Eluana il diritto di morire, portando come argomentazione, oltre ai soliti baluardi del cattolicesimo, che ricevere le cure è un diritto, poi, migliaia di persone sembra quasi che si ritrovino ad avere il dovere di morire, e subito l’argomentazione del diritto alla cura è resa silente. Le persone non hanno solo diritto alle cure, hanno diritto alla salute, un diritto che purtroppo è attualmente negato a tutti, indistintamente.

Salute vuol dire che devono essere create le condizioni non solo per l’assenza di malattia, bensì per il benessere, che non è solo psicofisico, ma anche sociale. E ciò vuol dire avere una casa, un lavoro dove non sei sottopagato o costretto a turni massacranti e dove, soprattutto, non trovi la morte; vuol dire avere accesso all’istruzione, ai servizi, alle risorse del territorio. E noi che risposta diamo? Creiamo le condizioni per mettere queste persone in posizione sempre più marginale.

In questo stesso quadro si inserisce, inoltre, un ulteriore messaggio di repulsione che stiamo dando a queste persone: la tassa per il permesso di soggiorno passa da 80 a 200 euro. Che tradotto vuol dire: speriamo che non ce li hai, così ti rispediamo da dove vieni , e se paghi servirà a non farti sentire un cittadino, ma uno che l’identità non ce l’ha e se la deve comprare e su cui, giacchè ci siamo, ci speculiamo. E adesso che li abbiamo svuotati dei più elementari diritti e li abbiamo svuotati del loro senso di identità come esseri umani, cosa saremo capaci di fare ancora? Nulla mi stupisce ormai, né provo amarezza per un paese che sta riproponendo i suoi decenni peggiori, solo per una cosa continuo ad indignarmi: gli stiamo permettendo di fare tutto ciò.

Pamela Strafella, 6 Febbraio 2009

Revisionismo di Stato e Rovescismo: uso politico della Storia, amnesie della Repubblica

Scritto da Resistenza Universitaria, Militant, Collettivi Universitari, Roma3 Collettivo Lavori in Corso

Una volta ho partecipato a una trasmissione televisiva con Pisanò, uno dei fondatori del Movimento Sociale, che allora era senatore. Pisanò mi si è rivolto dicendo:“Lei sa quanto me che avevamo degli ideali tutti e due. Diversi, certo. Ma la patria era un valore per lei e per me”. Io gli ho risposto “Senta, sarà pure come dice Lei. Però se vinceva Lei io sarei ancora in prigione. Avendo vinto io, Lei è senatore della Repubblica e parla qui con me”. Vittorio Foa, Il paradigma antifascista
Il 12 novembre è iniziata, nella Commissione Difesa, la discussione dei ddl 628 (Disposizioni per il riconoscimento della qualifica di ex combattente agli appartenenti alla Guardia Civica di Trieste) e 1360 (Istituzione dell'Ordine del Tricolore e adeguamento dei trattamenti pensionistici di guerra), che rappresentano un ulteriore, e forse definitivo, passo verso la totale equiparazione tra partigiani e repubblichini, tra coloro che combatterono per la libertà e coloro che scelsero di sostenere gli invasori nazisti. Il ddl 628 si propone di riconoscere come “ex combattenti” i membri della Guardia civica di Trieste, corpo collaborazionista che giurava fedeltà ad Hitler con giuramento bilingue.

Il ddl 1360, invece, propone la creazione di una nuova onorificenza, l’Ordine del Tricolore, riservato a tutti coloro che hanno prestato servizio militare nelle Forze armate italiane durante la guerra 1940-1945 e che siano invalidi, a tutti coloro che hanno fatto parte delle formazioni armate partigiane o gappiste, regolarmente inquadrate nelle formazioni dipendenti dal Corpo volontari della libertà, oppure delle formazioni che facevano riferimento alla Repubblica sociale italiana: agli insigniti dell’Ordine del Tricolore dovrebbe infine essere riconosciuto un assegno vitalizio di 200 euro annui.

Come si legge nella presentazione del ddl 1360, “l’istituzione dell’«Ordine del Tricolore» deve essere considerata un atto dovuto, da parte del nostro Paese, verso tutti coloro che, oltre sessanta anni fa, impugnarono le armi e operarono una scelta di schieramento convinti della bontà della loro lotta per la rinascita della Patria.Non s’intende proponendo l’istituzione di questo Ordine sacrificare la verità storica di una feroce guerra civile sull’altare della memoria comune, ma riconoscere, con animo oramai pacificato, la pari dignità di una partecipazione al conflitto avvenuta in uno dei momenti più drammatici e difficili da interpretare della storia d’Italia; nello smarrimento generale, anche per omissioni di responsabilità ad ogni livello istituzionale, molti combattenti, giovani o meno giovani, cresciuti nella temperie culturale guerriera e «imperiale» del ventennio, ritennero onorevole la scelta a difesa del regime, ferito e languente; altri, maturati dalla tragedia in atto o culturalmente consapevoli dello scontro in atto a livello planetario, si schierarono con la parte avversa, «liberatrice», pensando di contribuire a una rinascita democratica, non lontana, della loro Patria. Solo partendo da considerazioni contingenti e realistiche è finalmente possibile quella rimozione collettiva della memoria ingrata di uno scontro che fu militare e ideale, oramai lontano, eredità amara di un passato doloroso, consegnato per sempre alla storia patria”. Le intenzioni dei proponenti non potrebbero essere più esplicite.

Questi due ddl si inseriscono in quel processo di pacificazione e di creazione di una innaturale memoria condivisa che ha lo scopo di minare le fondamenta antifasciste della Repubblica Italiana per poter cambiare la Costituzione che ne è alla base. Costituzione che, con il suo portato sociale, rappresenta un ostacolo per quella riorganizzazione dei rapporti economici e sociali in chiave sempre più selvaggiamente capitalista e liberista, se non autoritaria, che è in atto in Italia da oltre venti anni. E, come il capitalismo italiano ha sempre dimostrato anche nel passato, non esita a ricorrere al fascismo (nella sua forma originale, “neo” o “post”), o ad una riabilitazione di esso, per raggiungere i suoi scopi.

Se da un lato si cerca di sfumare l’incommensurabile differenza tra le scelte degli uni e quelle degli altri per indebolire la base antifascista della Repubblica, dall’altro la parte politica che a queste basi si è sempre mostrata avversa cerca di autolegittimarsi, concentrando l’attenzione pubblica sul lato umano dei repubblichini e sui crimini (veri o presunti) commessi dai partigiani comunisti, le cui azioni vengono descritte con toni sempre più truculenti. Non si tratta di un’operazione recente. Già alla fine degli anni ‘80, infatti, Renzo De Felice e Giuliano Ferrara si confrontarono in due interviste su quella che consideravano la fine dell’antifascismo mentre, in pieno “craxismo”, si faceva un gran rumore parlando di “Grande Riforma”, “Seconda Repubblica”, “Nuova Costituzione”.

Le reazioni che queste interviste scatenarono travalicarono ben presto il campo del dibattito storiografico per entrare in quello della polemica politica: si è così oltrepassato il confine che separa un giusto, ed auspicabile, “uso pubblico della storia”, che non deve assolutamente rimanere confinata nelle aule accademiche, dal suo “uso politico”, che consiste in un’operazione di sistematica “riscrittura”, in modo più o meno mistificatorio e decontestualizzato, per screditare una forza (o un’area) politica o accreditarne un’altra.

La “storia”, e in specie il ciclo fascismo/antifascismo/guerra mondiale/resistenze, è sfuggita dalle mani degli storici ed è diventa una prateria dove ciascuno può compiere impunemente le proprie scorrerie, senza cautela alcuna, senza serietà, né onestà intellettuale.

Questa operazione “culturale” portata avanti dal mondo politico è a tutti gli effetti “bipartisan”, come dimostrato dal fatto che il ddl 1360 è stato firmata anche da tre deputati del Pd.

Nel 1996 fu il diessino Violante, presidente della Camera, ad esprimersi sulla necessità di comprendere “i motivi per i quali migliaia di ragazzi e soprattutto di ragazze, quando tutto era perduto, si schierarono dalla parte di Salò e non dalla parte dei diritti e delle libertà”, pronunciandosi comunque contro quella che definiva un’“inaccettabile parificazione tra le parti”.

La tendenza verso la parificazione è stata, invece, rafforzata da un discorso tenuto dal presidente della Repubblica Ciampi nel 2001, in cui ha affermato: “Abbiamo sempre presente, nel nostro operare quotidiano, l’importanza del valore dell’unità dell’Italia. Questa unità che sentiamo essenziale per noi, quell’unità che, in fondo oggi, a mezzo secolo di distanza, dobbiamo pur dirlo, era il sentimento che animò molti dei giovani che allora fecero scelte diverse; che le fecero credendo di servire ugualmente l’onore della propria Patria” .

Si tratta esattamente degli stessi concetti espressi dal ddl 1360, legittimati dalla più alta carica dello Stato. In questa temperie politica e culturale si è generata una gara a relativizzare il fascismo, a concentrare l’attenzione su “zone buie” della Resistenza e “triangoli rossi”, a insistere sulle Foibe (dando numeri ridicoli, moltiplicando per fattore 100 o 1000 i morti), dimenticando genesi e contesto di quei fatti: un esempio su tutti sono i romanzi storici di Giampaolo Pansa, letti da migliaia di italiani che li hanno considerati come unici saggi “finalmente” attendibili sull’argomento, oppure l’istituzione del Giorno del Ricordo delle foibe o, ancora, la fiction “Il cuore nel pozzo”.

Si tratta di quella che lo storico Angelo D’Orsi ha definito come una chiara operazione di “«rovescismo», che può essere definito come la fase suprema del revisionismo stesso», laddove con “revisionismo” intende «l’ideologia e la pratica della revisione programmatica»: «basta prendere un fatto noto, almeno nelle sue grandi linee, un personaggio importante, un episodio che ha costituito un momento variamente epocale... Poi si afferma che tutto quello che sappiamo in merito è una menzogna, o perché fondata sulla falsità, o perché basata sull’occultamento; di solito, responsabili delle menzogne e dei nascondimenti della verità, sono “i comunisti”. […] E più si spara in alto più si allarga il bacino d’utenza».

Sulla scena pubblica, intanto, alcuni amministratori locali si sono dati da fare con la toponomastica per recuperare alle glorie patrie vecchi arnesi del Fascio, fino al punto di togliere la titolazione dell’aeroporto di Comiso a Pio La Torre, parlamentare comunista ucciso dalla mafia, per riattribuirla a Vincenzo Magliocco, generale nella guerra fascista di Etiopia.

E così, giungiamo agli eventi più recenti: “il fascismo non è un male assoluto” sostiene l’ormai sindaco post(?)-fascista di Roma Gianni Alemanno. E il suo compagno di partito Ignazio La Russa, Ministro della Difesa, afferma con nonchalance che farebbe un torto alla sua coscienza se non ricordasse «che altri militari in divisa, come quelli della Nembo [reparto militarmente organizzato della Repubblica di Salò, inserito organicamente nei quadri della Wehrmacht, ndR] dell'esercito della Rsi, soggettivamente, dal loro punto di vista, combatterono credendo nella difesa della patria, opponendosi nei mesi successivi allo sbarco degli anglo-americani e meritando quindi il rispetto, pur nella differenza di posizioni, di tutti coloro che guardano con obiettività alla storia d'Italia».

Sono questi i motivi per cui oggi è sempre più difficile ricordare ed affermare che, parafrasando Calvino, il repubblichino più onesto, più in buona fede, più idealista, si batteva per una causa sbagliata, mentre anche il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, combatteva per una società più giusta.

Ed è tenendo ben salda questa considerazione, ormai scomparsa dall’orizzonte culturale dell’opinione pubblica, che abbiamo deciso di organizzare un’iniziativa in cui poter discutere e riaffermare l’antifascismo e l’opposizione più netta verso ogni forma di revisionismo che miri a sovvertire i valori fondanti della consapevolezza storica e sociale, che miri a pacificare e confondere in una differenza indifferente oppressi ed oppressori.

Resistenza Universitaria (La Sapienza)
Militant
Collettivi Universitari Roma3
Collettivo Lavori in Corso (Tor Vergata)

La rabbia degli operai ex Goodyear di Cisterna di Latina

Scritto da Massimo Pretto


I 158 operai della ex goodyear di Cisterna di latina [leggi anche questo articolo del "Corriere" sugli operai dell'ex stabilimento morti per avere inalato amianto: clicca qui], assorbiti dalla Meccano, dopo la chiusura della storica fabbrica di Cisterna e dopo mesi di dura lotta, sono da 10 anni ancora in lotta per non farsi licenziare dalla Meccano!
Sì, dieci anni sta durando questa vertenza contro lo spettro del licenziamento degli ultimi 158 operai Goodyear. Venerdi scorso, hanno manifestato a Latina sotto la prefettura, contro l'ennesimo tentativo dei padroni della Meccano, di licenziarli tutti!

Sono riusciti con la loro mobilitazione e la loro rabbia a far congelare le lettere di licenziamento e far ripartire un tavolo di trattative tra azienda, prefettura, sindacati e l'agenzia pubblica "Sviluppo lazio", che dovrebbe garantire i soldi per il finanziamento legato al nuovo piano industriale (l'ultima tranche di 5 milioni di euro del piano erano stai congelati dall'agenzia omonima).

Ora si riparte, perchè gli operai, che come hanno detto negli anni, sono sempre stati soli, anche i sindacati sono sempre stati latitanti, pur stanchi, non vogliono molllare nonostante lo scarica barile prottratto nel tempo tra le istituzione e la direzione della Meccano e Avio interiors.

Questa lotta è una lotta da prendere come esempio da tanti altri operai della zona e di altre fabbriche in italia. Questa è la strada per non mollare mai contro i padroni che ti sfruttano, ti licenziano e si accaparrano di soldi e profitti, crisi o non crisi. Riconoscersi come operai che hanno gli stessi problemi e le stesse finalità è il passo seguente a questo, è un passo che porta alla costruzione di una 'organizzazione politica indipendente degli operai che lottano suoi propri bisogni.Il bisogno di liberarsi dalla schiavitù del lavoro salariato.

Roma 9 febbraio 2009

Massimo Pretto

A Roma Brunetta, a Napoli Corrado Gabriele

GLI ENTI LOCALI DI CENTROSINISTRA, DOPO AVER REGALATO NAPOLI AGLI AFFARISTI E AGLI SPECULATORI, ORA VORREBBERO ATTEGGIARSI A MORALIZZATORI CON I CORSISTI ISOLA... SONO DAVVERO SENZA VERGOGNA!!!

I blitz compiuti in questi giorni da Digos e forze dell'ordine su mandato della Regione Campania tesi a "controllare" le presunte assenze dei corsisti del progetto Isola, e le successive dichiarazioni roboanti dell'assessore al lavoro Corrado Gabriele a sostegno di questa operazione rasentano il surreale.

E' davvero incredibile come questi personaggi non abbiano il minimo senso del pudore.
Dopo aver saccheggiato in lungo e in largo la città, consegnandola alla mercè di affaristi e speculatori e trasformando la gestione dell'amministrazione pubblica in un infimo carrozzone elettoral-clientelare, ora, nel bel mezzo dell'ondata di inchieste che ha messo definitivamente a nudo il volto reale del bassolinismo e del suo sistema di potere corrotto, hanno il coraggio di ergersi a paladini della legalità. Ma questa storia dei dipendenti-fannulloni ci sembra di averla già sentita da Brunetta: oltre ad essere bugiardi, i governanti campani non sono neanche originali!!!

In realtà l'assessore Gabriele vuole scaricare sui corsisti Isola responsabilità che sono unicamente sue, del suo assessorato e della sua giunta.
Per anni l'assessorato alla regione Campania ha spacciato per creazione di nuovi posti di lavoro quello che non era altro che un sistema ben camuffato di finanziamenti e prebende ai soliti enti pubblici e privati "amici".
Un sistema inefficiente e sprecone, che oltre a non offrire nessuna prospettiva occupazionale stabile, ha trasformato la giusta e sacrosanta lotta per il diritto al lavoro nell'ennesima operazione clientelar-assistenziale, laddove ai proletari in cerca di occupazione viene elargita la miseria di poche centinaia di euro mensili.

In una città e una regione eternamente alle prese con l'emergenza rifiuti ed oggetto da decenni di fantomatici piani di bonifiche e riqualificazioni urbane, i disoccupati e i dipendenti delle società miste (alcune delle quali hanno già aquisito competenze specifiche, come nel caso della RECAM) possono costituire una risorsa preziosa da impiegare in lavori di pubblica utilità finalizzati a una vera tutela dell'ambiente e alla messa in sicurezza dei territori.

Ma questo all'assessore Gabriele e a i suoi soci della Regione non interessa: essi preferiscono usare il denaro pubblico per costruire inceneritori e discariche e per dar vita a progetti-farsa utili solo a saziare la fame di profitti di padroncini e speculatori vicini al loro entourage, per poi dare la colpa dei loro fallimenti ai proletari. E visto che ora si avvicinano le scadenze elettorali, si apprestano a dare una scremata agli organici per capitalizzare elettoralmente i frutti di un'eventuale guerra tra poveri.

Questa condotta opportunista e meschina non può che suscitare il nostro disprezzo, tanto più se messa in atto da chi (senz'altro a sproposito) osa definirsi "comunista".
Gli atti intimidatori di questi giorni, iniziati con il fermo di alcuni militanti dell'SLL e la chiusura del confronto con disoccupati e corsisti e culminata nell'operazione poliziesco-massmediatica ai danni dei corsisti ISOLA, svela in maniera chiara e limpida agli occhi di tutti i disoccupati e i precari napoletani come non esistano governi amici ne a livello nazionale ne a livello locale, e come ogni conquista è e sarà solo il frutto della lotta ad oltranza contro i padroni e i loro comitati d'affari istituzionali.

SEMPRE A FIANCO DI CHI LOTTA: SOLIDARIETA' AI CORSISTI ISOLA E AI DIPENDENTI RECAM
NO ALLA PRECARIETA': LAVORO STABILE O SALARIO GARANTITO
UNITI SI VINCE


Associazione Unità Comunista
Movimento campano per la Costituente Comunista

Un resoconto della mobilitazione dei cassaintegrati Alitalia, un appello!

Scritto da Un lavoratore Alitalia cassaintegrato


Molti italiani, colti dal sacro fuoco endemico di scaricare frustrazioni personali e collettive sul disperato di turno, stanno avallando una deriva molto pericolosa che rischia di farci entrare tutti dentro una gabbia che paradossalmente viene costruita proprio da loro.
La sequenza di attacchi contro tutto ciò che è pubblico è la dimostrazione di una volontà precisa di distruggere ogni riferimento collettivo, per lasciare ai privati (quando non letteralmente svendere come nel caso Alitalia) tutti quei mercati vincolati dalla presenza del pubblico interesse. Ed ecco allora che Brunetta alimenta questo comune sentire e scaglia strali contro ogni categoria dei dipendenti pubblici, così che uno alla volta cascano come birilli.

Ed usa luoghi comuni che colpiscono basso, nelle viscere di chi si sente sfruttato e trova pronta, confezionata ad arte, l'occasione per erigersi a giudice in grado di mandare a morte chi ritiene appartenga alla casta di turno. La sentenza viene emessa senza possibilità di replica, senza ascoltare l'altra “verità”, quella in grado di svelare la realtà, quella che denuderebbe il re. Vengono presi come esempio per avvalorare la tesi dei privilegi casi singolari, decontestualizzati, assumendo paragoni illogici, distruggendo ogni categoria razionale e dichiarando spesso il falso quando incapaci di proseguire ulteriori attacchi.

Non comprendere però che ciò che è pubblico è un bene supremo e collettivo per definizione, significa essere anche deresponsabilizzati dal far funzionare bene le cose, significa disimpegnarsi nei confronti dell'altro da sé, ed assumere scorciatoie pericolose, che stranemente a fine operazione impoveriscono sempre la collettività a favore di pochi.

Così si è partecipato ad un processo di cui non si è capito un gran che, ma si è avuta l'illusione di aver avuto un ruolo importante, di aver giocato in prima fila per una volta. Divede et impera sostenevano i romani. E intanto il popolo bue scopre improvvisamente che ora è giunto il suo turno.

La macellazione continua, ma questa volta il sacrificio è il suo ...

Premessa alla mobilitazione
In base alla normativa vigente la cassaintegrazione erogata dall'Inps può essere anticipata, in attesa della burocrazia necessaria, dall'azienda di cui si fa parte come lavoratore cassaintegrato. Nel caso Alitalia parliamo ovviamente della “Bad Company”, un contenitore vuoto (non ha aerei e uffici operativi per intenderci) in amministrazione straordinaria, con a capo il Fantozzi di turno, un perfetto passacarte pagato diversi milioni di euro.

Per essere precisi non si sa quale sia la cifra esatta e finale che percepirà. I soliti misteri italiani.

Con il vergognoso art. 3 del Decreto legge 134, sostanzialmente convertito in legge 166/08, al Fantozzi ed altri si è garantita l'immunità penale per evitare che la magistratura potesse concretamente incriminare tutta la banda al completo per truffa aggravata ai danni dello stato, dei lavoratori e degli italiani. I manger della “Fantozzi bad company” dicono che non hanno soldi, però non dicono che nel frattempo pagano alcuni dirigenti 1,5 milioni di euro per ricoprire il ruolo di coloro i quali dovrebbero curare le relazioni industriali. Essendo un contenitore vuoto, ed essendo pubblicamente assenti i referenti (non sappiamo neanche in quale ufficio questi signori svolgano i loro misteriosi compiti) ci si domanda a cosa servano le relazioni industriali in assenza di un'azienda, e perché si debbano pagare a peso d'oro questi buffoni con i nostri soldi, visto che a noi non pagano un euro.

Fantozzi non dice neanche la cifra che lui stesso dovrebbe incassare a fine operazione (indiscrezioni parlano di un totale superiore ai 16 milioni di euro), e pur se formalmente corretto, dato che risulterebbe da un calcolo complicato da produrre a fine operazione, e legato alla performance del commissario in base ad una legge ad hoc, ci lascia stupiti il fatto che chi dovrebbe “far di conto” meglio della chiaccherata serva non abbia la minima idea di quanto questa operazione frutterà alle sue personali tasche. Forse prova vergogna? O chiarisce oppure ogni dubbio diventa lecito.

Ma egli rappresenterebbe solo una lunga sequenza, a quanto pare infinita, di papponi che lucrano e speculano sulle spalle di tutti, parassiti che dovrebbero fuggire rincorsi da un popolo furente. Si ricorda ad esempio che Cimoli (ex a.d. Az) per finire a picconate l'azienda ha percepito circa 3 milioni di euro l'anno, ed un premio finale di circa 7 milioni di euro. Persone senza dignità, servi e boia pagati a peso d'oro che solo l'italietta, oggi veltrusconiana, è in grado di produrre come la gramigna. Una vera maledizione che andrebbe estirpata con furore.

Ora bisogna dire che quando formalmente non ci sono soldi in cassa, normalmente si fanno accordi a latere con gli enti locali disposti ad anticipare almeno una parte dei soldi che l'Inps deve ai lavoratori, e non sto parlando dell'accordo all'integrazione dell'80% ma della cassa minima comune a tutti i lavoratori. La Regione Lazio ha dichiarato pubblicamente, e a più riprese, che ha la disponibiltà finanziaria, tramite utilizzo del fondo di rotazione, per erogare quanto accordato nell'attesa dell'Inps. Stiamo parlando di una parte della parte di quanto dovuto, ovvero poco, ma almeno quel minimo che nel frattempo verrebbe in aiuto alle famiglie per le spese alimentari.

Altrimenti è evidente che queste famiglie debbano chiedere soldi in prestito per andare avanti, visto che non percepiscono un euro da novembre. Al di là del fatto che è decisamente assurdo e ingiusto pagare degli interessi alle banche per dei soldi stanziati ma non fruibili, nella maggior parte dei casi i prestiti, in queste condizioni, non vengono erogati.

Quindi chi non ha sufficienti riserve o casa da ipotecare deve ridursi a chiederli ai familiari, agli amici o altro ... L'accordo sindacale prevedeva una task force costituita all'uopo dall'amministrazione Alitalia e dall'Inps, per poter procedere celermente alla compilazione delle “griglie” (i moduli della cassaintegrazione), indispensabile per la riscossione dei soldi dall'Inps e dal fondo integrativo. Siccome i furfanti hanno mandato da un giorno all'altro più del 50% del personale a casa, l'azienda da subito è stata gestita in sotto-organico, un male già ben radicato in Alitalia dove è storia conosciuta che esistevano uffici in cui in tre facevano il lavoro di uno, mentre in altri uno lavorava per cinque.

Durante il passaggio alla Cai il Fantozzi invece di peritarsi di mantenere i dati dei lavoratori in cassaintegrazione da fornire all'Inps stipula un accordo con la Cai con cui se ne lava le mani, dato che sembra sia previsto che oggi a fornire questi dati sia la Cai (il dubbio nell'Italia dei misteri è d'obbligo), in quanto tutto il materiale di supporto informatico e cartaceo è rimasto lì dov'era, nei vecchi uffici, attuali Cai-Alitalia.

Ma come dicevamo il personale lavora in sotto-organico. Siamo quindi in un vicolo cieco. Oggi la Regione dice che è colpa della Cai, l'Inps pure, la Cai di Fantozzi (che non avrebbe fatto nulla fino al passaggio delle consegne) e dell'attuale sotto-organico (?). E Fantozzi? Paga dirigenti a peso d'oro per curare le relazioni industriali ... E i lavoratori? Intanto provano a mobilitarsi assieme ai mal sopravvissuti Cub e Sdl, vista la totale inedia del sindacato neo-corporativo CGIL-CISL-UIL-UGL, e del resto dell'inutile ciurma che dopo aver firmato in bianco accordi spazzatura ora si lamenta della dissimulazione avvenuta. Anche se si fossero rispettati quegli accordi sarebbe stata comunque una tragedia, visto che hanno buttato fuori dall'azienda migliaia di lavoratori ed è stato concesso di tutto.

L'azienda non fornisce neanche i numeri e le liste di quanto personale abbia realmente assunto. Le sedi degli uffici della Cai-Alitalia sembrano godere di un regime totalmente deregolamentato, in cui lo Stato o la Magistratura non hanno alcuna autorità. Sembra si stia scivolando verso un nuovo Medio-Evo, dove i rapporti di vassallaggio erano questioni del tutto locali, e in cui il Re richiedeva solo tasse, unità territoriale e la sudditanza alla sua figura. Ad un mese dalla sua formale nascita la Cai-Alitalia, almeno per il personale navigante, esegue forzature su un contratto che già concede una flessibilità quasi assoluta, con turnazioni impossibili e carichi di lavoro pericolosi per la sicurezza dei lavoratori e dei passeggeri. Se stressi il personale oltre limite aumenta il rischio incidenti legato al fattore umano. Non è un caso che questo dato sia ben conosciuto dalle assicurazioni.

Il fatto poi che non rispettino neanche ciò che sottoscrivono era prevedibile sin dall'inizio, a fronte di una sequenza continua e provata di totale inaffidabilità già a partire da settembre, con tutte le vergognose dichiarazioni, portate avanti schizofrenicamente a giorni alterni, di voler abbandonare il progetto. Finché non si è giunti all'uscita formale della Cai, dichiarata a tutto il mondo, e all'immediato rientro informale grazie alla firma della CGIL (richiamati all'ordine dal PD) ad acquirenti oramai fuggiti.

Un'operazione degna del più triviale trasformismo di pensiero, segno della totale inaffidabilità e mancanza di dignità e rettitudine morale della nostra classe dirigente, compresa quella sindacale. Basti ricordare i nomi dei capitani coraggiosi per capire la loro disonestà e incompetenza di fondo. Una decina di loro sono stati “condannati per truffa o mazzette”. Più che imprenditori sono “prenditori” italiani (come li ha chiamati qualcuno).

La totale estraneità a competenze legate al trasporto aereo rendono chiara l'idea di fare cassa nell'immediato, ma esplicitano anche una parallela volontà di ricevere commesse dall'expo di Milano. Se già non bastasse quanto detto, bisognerebbe aggiungere che questa operazione lascia pesantemente esposto a rischi di ulteriore tracollo l'intero settore del trasporto aereo, e marca il prossimo futuro di un accento tutto francese, senza margini di trattativa.

È bene ricordare che la Marcegaglia, a soli 10 giorni circa dall'avvio formale della Cai-Alitalia, ha annunciato le proprie dimissioni dal c.d.a. e la messa in vendita delle sue azioni: “il mio compito è finito” ha sostenuto fiera della sua opera. Ogni tentativo di rimanere scandalizzati per il comportamento scorretto padronale è quindi puro atto ipocrita e meschino, privo di qualsiasi senso razionale da rispedire al mittente con forza. La CGIL-CISL-UIL-UGL e ANPAC-UP-ANPAV-AVIA (che sebbene abbiano firmato in seguito hanno comunque una parte della responabilità), la piantino di lamentarsi piangendo sulle spalle dei lavoratori, perché davvero non convincono più nessuno. Il fatto che qualcuno li segua ancora dipende solo dalla disperazione a cui sono giunti i lavoratori rimasti in azienda, e al loro tentativo di salvarsi individualmente tramite soliti rapporti clientelari.

Un perpetrarsi di comportamenti irrazionali che hanno creato terreno fertile per le condizioni a cui si è giunti oggi. Ma la mancanza di coscienza di classe non può che produrre questi veleni. Un dato che dovrebbe allarmare i più critici, nella certezza che le condizioni di lavoro sicuramente peggioreranno ancora se si lascerà mano libera a questa classe industriale che sorride compiaciuta e complice della deriva autoritaria del paese. Capitolo a parte per l'Sdl, il quale ha avuto un atteggiamento teso alla difesa ad oltranza in primo luogo della sua struttura (e anche dell'agibilità sindacale), come strumento principe dell'azione organizzata dei lavoratori.

Questa difesa è cosa condivisibile, ma ha finito per difendere qualcosa d'inservibile. Nel caso Alitalia l'Sdl si è scontrato con uno degli annosi problemi del sindacato: il limite oltre il quale il mezzo, lo strumento sindacale, finisce per divenire fine in sé, quindi inservibile in qualità di strumento di lotta per i lavoratori. Di fronte quindi all'inutilità dello strumento, perché tra le altre cose era composto da un'organizzazione che in parte aveva perso un rapporto profondo con la sua base, ha mantenuto un atteggiamento pavido che dichiarava invece essere realistico. Prendendo per buone le intenzioni dichiarate ci si domanda se tale disfatta su tutti i fronti non sia quantomeno conseguenza di una profonda e manifesta errata valutazione delle premesse, che ha creato le tristi conseguenze che conosciamo.

Oggi è in prima linea insieme alla Cub per la difesa dei lavoratori, e di questo siamo tutti contenti, ma sarebbe opportuno un bagno di umiltà vero e serio, al fine di mettere in discussione le scelte fatte, a partire dalla firma sottoscritta col governo che ha generato la sconfitta finale. Non si vuole sostenere che tale sconfitta sia sua diretta responsabilità, e non è certo tempo di eventuali gogne pubbliche, però un atto di coraggiosa umiltà andrebbe dimostrato almeno di fronte al patto di consultazione permanente sottoscritto proprio a Settembre con tutto il sindacalismo di base e portato avanti nell'assemblea generale di febbraio '09.

E non ci si riferisce ai vertici del sindacato, ma proprio alla sua base, che sta provando a creare una relazione critica con i propri vertici costringendoli indirettamente al percorso unitario che, si ricorda, ha avuto il suo primo momento ufficiale a Milano, nel maggio scorso, su spinta di una mobilitazione di lavoratori autoconvocati. Siamo consapevoli che la battaglia in Alitalia probabilmente l'avremmo persa ugualmente, ma siamo anche convinti che una seria mobilitazione condotta al tempo giusto avrebbe lasciato una memoria diversa nella classe lavoratrice, e consentito un recupero più veloce dalla sconfitta, lasciando uno zoccolo duro di resistenti più nutrito ed un minor scollamento tra chi oggi è dentro e chi è fuori.

Durante l'agitazione partita a Settembre si sosteva che era pericoloso spingersi troppo avanti perché avrebbero “sparato” contro i soliti noti, e che i lavoratori non li avrebbero seguiti. Oggi l'essere attendisti ha portato di fatto ad una carneficina ufficializzata da tutti, compiuta praticamente senza una reale mobilitazione, ma anche la destrutturazione delle R.S.A più combattive (i delegati Sdl e Cub rimasti in azienda sono una rarità, strano vero?), ed una accomodante sensazione d'impotenza presente nei lavoratori rimasti in azienda, che tutt'al più provano compassione per i cassaintegrati e ancor più paura per il loro personale futuro e per le conseguenze di eventuali azioni di lotta.

Si ritiene quindi fondamentale ripartire da un'analisi critica di quanto accaduto durante lo stato di agitazione iniziato a settembre, se si vuole evitare di commettere i soliti errori strategici. Solo dopo sarà recuperata la giusta credibilità e fiducia, e la possibilità di costruzione di azioni comuni, senza attriti, che puntino a stessi obiettivi che, per quanto oggi minimi, devono necessariamente tendere all'unità del sindacato di base.

Qualche numero reale
Nel nostro paese troppo spesso viene falsificata la realtà utilizzando categorie economiche ritenute indiscutibili.

Qui non interessa mettere in discussione il capitalismo in quanto tale, come sistema economico-politico, dato che nel caso Alitalia (e ritengo anche in molti altri casi) i lavoratori possono tranquillamente accettare la provocazione delle categorie economiche borghesi. Infatti si può accettare la logica dell'avversario con stupefacente serenità. È tutta una questione di costi e di produttività, suona il leit-motiv imperante. E vogliamo persino paragonarci alle macchine, privi di umanità, secondo i dettami del più aberrante taylorismo. Perfetto! Accettiamo la sfida e vogliamo essere vetero-capitalisti!

Iniziamo con una serie di domande: se voi aveste una fabbrica con dei macchinari che funzionano bene, che hanno costi di ammortamento e manutenzione inferiori alla media, se il rapporto tra ricavi e numero macchinari (aspetto della produttività) fosse più alto della media, ma se scopriste che comunque il vostro business è in perdita, dove andreste a cercare le perdite?

E per rimettervi in sesto, considerato che la domanda continuerebbe ad essere presente, cosa fareste?

Buttereste nelle discariche un numero incredibile di macchinari per risparmiare?

Torniamo ora a noi, e ricordiamo che i lavoratori in Alitalia si sono trasformati in macchine, al pari di quelle vere. Nei primi mesi '08, quando la trattativa con Air France entrava nel vivo, il costo del lavoro e la produttività non fu mai messo in discussione, neanche dalla vecchia dirigenza che sapeva bene quali fossero i numeri reali. E in effetti all'epoca ci si domandava perché dismettere allora un pezzo dell'azienda a favore della rete commerciale di Air France, cedendo quindi a quella compagnia una parte di mercato ritenuto florido persino in un momento in cui la crisi bussava alle porte. L'Italia cosa avrebbe guadagnato?

Quale merce di scambio fu oggetto di trattativa tra i governi italiano e francese?

Non ha inciso sulla trattativa forse anche il fatto che pur di permettere mano libera agli sciacalli nostrani, per lasciar “cannibalizzare” un patrimonio pubblico (una storia vista infinite volte) si cedeva l'asse portante del trasporto aereo ai francesi?

Infatti ai più accorti lettori dei dati reali, e non dei quotidiani al serivizio del capitalismo italiano, fece scandalo scoprire che dai resoconti Aea del 2007 (Association of European Airlines) le compagnie aeree di riferimento avevano una quantità di passeggeri trasportati per dipendente decisamente inferiore rispetto alla nostra compagnia di bandiera (Az+Az Servizi=1375; Air France-Klm=714; Britsh Airwais=782; Iberia=1206; Lufthansa-Swiss=598), cioè significa che ogni dipendente Alitalia potenzialmente fruttava più degli altri.

Questo dato poi veniva infatti confermato dal rapporto Ricavi/Numero dipendenti, che poneva ancora l'Alitalia al primo posto (Az+Az Servizi=295; Air France-Klm=217; British Ariwais=260; Iberia=246; Lufthansa=229).

Vogliamo parlare delle tonnellate di merce trasportate per dipendente? Erano straordinariamente superiori alla media, fiore all'occhiello dell'azienda. E infatti non è un caso che il Cargo è stato da subito messo in discussione, a dimostrazione di una volontà di scambio tra Governo italiano e francese, perché Air France nella competizione europea veniva infastidita proprio dal Cargo dell'Alitalia, non riuscendo a primeggiare sulla sua eterna rivale Lufthansa-Swiss.

Guardate la straordinaria performance Alitalia sul settore Cargo relativa alle tonnellate di merce per dipendente (Az+Az Servizi=186; Air France-Klm=14; British Ariwais=19; Lufthansa-Swiss=18) Se qualche ben pensante, dirigente incompetente di professione, volesse sostenere che però i costi di gestione del Cargo Az erano troppo onerosi per via delle macchine vecchie utilizzate, ci si domanda come mai uno Stato investe circa 4 miliardi di euro per creare disoccupazione in Alitalia (la cifra è oggetto di critica ma la disoccupazione è chiaro che sia stata creata ad arte per far guadagnare la “cricca” confindustriale e per scambi commerciali con i francesi) e non è stata in grado di rilanciare settori in realtà produttivi che fanno gola a molti. Se una parte minima di quei fondi fossero stati investiti seriamente nell'azienda ogni argomento dei cannibali di turno verrebbe esaurito dalle performance aziendali.

La storia dell'Alitalia è una storia scritta col sangue dei lavoratori che sono stati espulsi dall'azienda come merce maleodorante. Si sente dire da tutti quanti che sono stati sprecati miliardi di euro per l'Alitalia, ma ciò viene pontificato senza la minima conoscenza dei fatti e senza aggiungere ciò che i lavoratori sanno benissimo, cioè che la responsabilità è tutta del management e che se proprio bisogna attribuire una colpa ai lavoratori si potrebbe solo dire che il loro più grave limite è la mancanza di coscienza di classe e l'incapacità di aver avuto coraggio nei momenti difficili.

L'unica cosa coerente da fare era infatti prendere a calci in culo la dirigenza e sbatterla fuori dall'azienda che con sbalorditiva indifferenza di tutti hanno sistematicamente distrutto! Speculare sulle debolezze umane, la povertà economica, e distogliere l'uomo dalla sua creatività, capacità e potenzialità produttiva è quanto di più meschino si possa fare.

La cassaintegrazione in fondo è un salvagente per il sistema e non per il lavoratore, ed un modo subdolo per avere l'assenso allo sfruttamento dei lavoratori. Non si sostiene certo l'abolizione della cassaintegrazione con questa considerazione, ma si richiede che sia utilizzata secondo le regole definite, secondo legge, e non di farne un uso strumentale e perfido che finisce per arricchire i soliti noti sulle spalle di chi è già di per sé sfruttato vista la sua condizione di lavoratore subordinato.

Che la quantità di dipendenti per aereo era anch'essa la più bassa, e che infine pure il numero dei dipendenti totale era inferiore, noi lo sapevamo. Altri dati significati come il confronto dei sui bilanci limitati al MOL (Margine Operativo Lordo), prima quindi di operazioni finanziarie, imposte o altro, stanno ad indicare ancora una volta che il costo del lavoro era il più basso, e che i costi incontrollati come da copione risiedevano nella gestione aziendale. Le spese per personale (Az+Az Servizi= 18%; Air France-Klm=29%; British Airwais=25%; Iberia=26%; Lufthansa-Swiss=25%), essendo quindi le più basse, posizionano il costo di quelle rimanenti tra le peggiori performance.

Queste spese sono per esempio legate ai consumi di materie prime e materiali di consumo (mazzette pagate in ogni dove) e per servizi (commesse inventate utilizzando anche l'outsorcing mentre il know-how interno veniva gettato alle ortiche), uffici marketing (che discutono su come pitturare i nuovi aerei ...), consulenze esterne inutili (tipo chiamare staff di manager statunitensi, pagati milioni di euro, a dare indicazioni su come far funzionare l'azienda senza mai applicarle), ammortamenti e svalutazioni, e altre spese operative, alcune legate a scelte totalmente improduttive e a marchette politiche tipo l'aeroporto della Malpensa che ha creato un buco nei bilanci, ogni anno, di centinaia di milioni di euro.

Tutto ciò ha fatto dell'Alitalia un pozzo senza fondo, in cui le spese si riproducevano senza la minima razionalità. Invece che premiare l'ingiustificato pacifismo dei lavoratori che avrebbero dovuto impiccare il management sui timoni di coda degli Md 11 (alcuni dei quali lasciati a brucare l'erba per mesi) hanno pensato di ricompensarli con un licenziamento differito, ovvero la cassaintegrazione+mobilità e ciao ciao baby.

E sì, perché la mancanza di violenza sui responsabili delle sofferenze collettive, in un sistema che vuole porre rimedi alle ingiustizie, dovrebbe essere premiata ...

La mobilitazione
Il giorno Giovedì 12.02.09, verso le 9.30-10.00 i lavoratori cassaintegrati si sono riuniti davanti agli uffici Cai-Alitalia di Fiumicino aeroporto.

Erano circa 300-400, alcuni dei quali impiegati nella finta-nuova azienda e venuti in sostegno solidale dei loro colleghi cassaintegrati. Dopo un'ora circa, verso le 11, i lavoratori decidono di entrare dentro gli uffici per occuparli pacificamente con l'intento di ottenere delle risposte dai responsabili degli uffici preposti al lavoro burocratico per l'Inps.

Non c'è stata per fortuna nessuna opposizione della sicurezza che li ha fatti entrare. Dopo un'ora e mezzo circa però la situazione sembrava volgere verso lo stallo, perché a seguito della richiesta di un incontro formale con un reponsabile della Cai che avrebbe dovuto assicurare sui tempi e sulle modalità del loro operato, utile per riscuotere quanto dovuto dall'Inps, non c'è stata nessuna risposta.

A quel punto, venendo meno un incontro chirificatore e consapevoli che di lì a poco li avrebbero sgomberati con la forza decidono di costituire un corteo e muovere in direzione dell'autostrada Roma-Fiumicino aeroporto. Il corteo si è mosso pacificamente verso il punto d'incontro sulla fine dell'autostrada ed ha iniziato ad occuparla. Dopo poco tempo si formava un blocco totale che creava una fila fino al G.R.A. (il raccordo anulare di Roma). La polizia interveniva nel tentativo di concordare una soluzione pacifica che determinasse lo sblocco. La risposta dei lavoratori continuava ad essere intransigente ma pacifica, rifiutando eventuali accordi di smobilitare la protesta.

La polizia veniva avvertita che il rifiuto dipendeva dalle condizioni di esasperazione a cui erano giunte molte famiglie dei lavoratori cassaintegrati, e che veniva riaffermata la volontà di un incontro con i responsabili Cai che avrebbero dovuto dare assicuarzioni in merito alla cassaintegrazione.

Veniva spiegato che la protesta sarebbe continuata in modo pacifico. Nel frattempo la polizia richiedeva insistentemente l'apertura della corsia di emergenza (è bene ricordare che comunque nessuno si era opposto al passaggio di ambulanze, auto con donne in dolce attesa e auto di servizio, mentre i “civili” e impazienti automobilisti avevano impegnato la corsia d'emergenza). La tensione iniziava a salire quando si decide con votazione a maggioranza di aprire una corsia e consentire la ripresa del flusso del traffico.

Era passata oramai un'ora e mezza circa, quando la polizia riceveva l'ordine di smobilitare la protesta con la forza utilizzando il reparto della celere ... Una parte dei manifestanti iniziava a defluire verso lo svincolo laterale quando i celerini iniziano a caricare i manifestanti che stavano abbandonando anche loro l'autostrada. A questo punto si è formata immediatamente una catena di lavoratori per impedire la carica, e con braccia alzate si è creato un gruppo d'interposizione per impedire che i celerini entrassero tra i manifestanti provocando conseguenze imprevedibili. I celerini spingevano, agitavano manganelli e tiravano calci.

Non mi risulta che alcuna manganellata sia stata comunque assestata, sebbene abbiano (nascosti dalle telecamere) dato diversi calci mentre spingevano. Un particolare, come nota di colore, per segnalare la distanza tra i metodi di alcuni poliziotti rispetto a quelli del noto reparto fascista anti-sommossa. Durante le spinte un lavoratore per un attimo cade a terra, i celerini imperterriti continuano a spingere mentre un poliziotto “normale”, che si accorge del fatto, si china immediatamente per andare in suo soccorso ed evitare che venisse schiacciato dagli altri. Il corteo si è allora ricostituito e avviato verso l'aerostazione. La polizia invitava i lavoratori a non proseguire, e dichiarava che sarebbe stato impedito loro di accedere nell'aerostazione.

Un lavoratore veniva minacciato di essere stato riconosciuto e che quindi lo avrebbero denunciato. I lavoratori non curanti delle minaccie proseguivano entrando dentro in modo pacifico. La polizia era in palese difficoltà, dato che avrebbero dovuto impedire l'accesso a tutta la clientela, visto che loro entravano all'interno senza costituire alcun corteo ed in modo assolutamente pacifico. All'interno comunque i lavoratori sono rimasti raggruppati e in silenzio, aprendo lo striscione dei cassaintegrati. Verso le 15,30 circa il raggruppamento si scioglieva. In conclusione bisogna dire che fortunatamente oggi non è successo nulla, però nonostante le totali intenzioni pacifiche dei manifestanti le condizioni porteranno inevitabilmente ad accumulare tensione e rabbia tra i lavoratori cassaintegrati.

Quando oltre al danno della perdita del posto di lavoro non si riceve neanche un minimo di sostegno economico nell'immediato, il lavoratore si sente abbandonato e calpestato ulteriormente nei propri diritti e nella propria dignità, il ché porta inevitabilmente ad alzare il livello del conflitto che passa dallo scontro verbale a quello fisico. Vorrebbero che questi lavoratori morissero in silenzio, senza disturbare, invece finalmente stanno iniziando ad alzare la voce. Sosteniamoli senza esitazione ed evitiamo che la situazione degeneri. Potete contattarmi direttamente tramite questa mailing list, o con quanti conoscete che aderiscono alla mobilitazione.

Invito quindi tutti quanti a prendere contatti con la mobilitazione in atto dei cassaintegrati Alitalia.

Un lavoratore Alitalia cassaintegrato

Topgirl e i neofascisti: protestiamo!

Care compagne, cari compagni,
vi invitiamo ad aderire alla campagna contro la propaganda ai "giovani neofascisti" che compare su un noto mensile per ragazze, "Top girl".
http://www.ilrestodelcremlino.it/blog/contro-la-propaganda-fascista-di-topgirl/(dal sito de il resto del cremlino)

Copiamo e incolliamo dal gruppo che è stato appositamente creato su facebook:
http://www.facebook.com/group.php?sid=660f2e79114d0da8e744f9ae6e0c56fd&gid=69167426001

1. date ampia diffusione, soprattutto che lo sappiano i genitori. Il crollo delle vendite è l'unica cosa che apisce il capitalismo, facciamogliele crollare.
2. sei un Hacker esperto? ti consiglio di "frequentare il sito di TOPGIRL.IT", imparerai molte cose sul tuo look.
3. sei un cittadino qualunque abbastanza hacker? segnala il tuo dissenso alla posta di topgirl... con un paio di milioni di mail...

Amareggiati e un po' increduli, ma sempre all'erta,
salutiamo fraternamente...

Il resto del Cremlino
Associazione culturale antifascista - Periodico comunista