mercoledì 7 gennaio 2009

Palestina: ieri e oggi



senza parole

I comunisti e la questione palestinese oggi

Contrariamente a quanto affermano alcuni compagni e compagne (che si dichiarano di estrazione ebraica) che, anche in questi giorni, si mantengono “equidistanti” sulla questione palestinese il problema non può essere limitato affatto al concedere semplicemente un po’ di comprensione per il “legame dei palestinesi con la propria terra”. Questa rischia di essere questione di lana caprina mentre a Gaza è in corso una vera proria mattanza contro la popolazione araba di terra di Palestina. Anche le posizioni che ci ripetono che la situazione è “complessa” e va “approfondita” sono formalmente corrette. Ma se ci fermiamo solo a questo si rischia (anche contro la volontà di chi esprime tali posizioni) di trovare alibi per annacqua le nostre coscienze (si spera di “classe”). Siamo comunisti e questo non ce lo possiamo permettere.

Il problema principale oggi è ribadire e trasmettere che - da comunisti (e quindi da antimperialisti) - non c'è NESSUNA equidistanza possibile tra aggressori e aggrediti, tra occupanti e occupati. E questo anche al di là del fatto che ci piaccia più Hamas, l'ANP o il FPLP. Al di là del fatto che "tutti i morti sono morti". E della comprensibile pulsione ad “approfondire” i temi dal punto di vista storico e teorico per “capire”, invece di schierarci sulle “sensazioni” o sugli elementi forniti dalla disinformazione imperialista. Anzi, come contributo al dibattito, allego un’interessante analisi che qualcosa in più ce la dice anche in questo senso. Soprattutto su come cominciare ad interrogarci sul ruolo dell’attuale Autorità Palestinese e non solo del grado di “terrorismo” di Hamas.

Intanto, però, fioccano le bombe sul popolo palestinese e noi dobbiamo chiarirci cosa fare e perchè. Nessuna particolare novità, d'altronde...è sempre stato l’atteggiamento dei comunisti da Marx, a Lenin, a Gramsci, a Ho Chi Minh fino a Guevara. Certo lo è un pò meno oggi dopo le ubriacature non-violente, post-moderne e anti-comuniste che hanno pervaso i principali partiti comunisti esistenti e tracimato nei movimenti (o quantomeno in parte del loro ceto politico).
Ma se l’obiettivo della ripresa del movimento comunista oggi nel nostro paese fosse segnato nel solco della continuità con la linea “bertinottiana” non avrebbero senso critiche e autocritiche sugli sbandamenti recenti, sugli arretramenti, sulla perdita di autonomia, nè su processi di ricomposizione o costituenti comuniste.

Dobbiamo dirlo. La soluzione “due stati per due popoli” è fallita - e sta continuando a fallire - non per l'azione di un presunto “terrorismo islamico” (o per gli effetti di una mitologica spirale tra “guerra e terrorismo”). Sta fallendo, innanzitutto, perchè dei due UNO STATO ESISTE (Israele) e l’altro NO (Palestina). E quello che esiste si è insediato nelle terre arabe con l’avallo delle maggiori potenze post-belliche, dopo anni di pressioni e terrorismo del movimento sionista, e con il suo schieramento economico-militare nel campo imperialista. Su questo non è possibile nessun “scurdámmoce ‘o passato” perchè quel passato recente è gravido di conseguenze sull’oggi.

Le forme della resistenza possibili, quelle migliori e quelle peggiori sono determinate dalle condizioni storiche interne ed esterne. Ma ai palestinesi non è stata mai data la possibilità di difendere i propri diritti al di fuori del quadro imperialista sopra descritto e di accordi che sanciscono la bantustizzazione delle proprie terre e misere risorse. Tra l'altro, accordi questi non solo imposti “con la pistola alla tempia” da Israele, USA e UE, ma anche spesso non rispettati dagli israeliani in primis. Basti vedere i pessimi accordi di Oslo franati sulla spianata delle Moschee nel 2001 con la repressione scatenata da Sharon.

Oggi siamo all’assurdo che gli unici che rivendicano l’attuazione ALMENO (ossia, come base minima) del principio “due stati per due popoli” sono PROPRIO i palestinesi. Non solo l’ANP, ma anche FPLP, Jihad e Hamas che - con prospettive storiche e per tattiche differenti - rivendicano QUANTOMENO l’applicazione in questo senso delle risoluzioni ONU (tutte disattese da Israele) che imporrebbero uno stato palestinese e il ritiro israeliano entro i confini del '67 (quindi riconoscendogli l'80% del territorio sotto occupazione), Gerusalemme divisa tra i due stati, ritorno di parte di profughi, ecc...

Questo dimostra due cose, a mio avviso:

1) L'unica prospettiva storica sensata (al di là delle imprevedibili strade tortuose e sanguinose che questa prenderà) è quella dello stato unico laico e multiconfessionale (quindi non "ripulito" etnicamente e senza "gettare a mare" né un ebreo né un musulmano) e la prospettiva – di fatto razzista – di “due stati per due popoli” è solo uno specchietto per le allodole per non far nascere l'unico dei due che non esiste (quello paestinese).

2) Gli accordi internazionali sono SOLO registrazione diplomatica dei rapporti di forza e quindi senza la RESISTENZA quello che si ottiene sarebbe ancora peggiore in questo contesto assai sfavorevole. Ossia, sarebbe l’annientamento della causa palestinese e la sua cancellazione dall’agenda politica. A meno che non si creda che sia il consesso internazionale delle potenze imperialiste a “regalare” quello che decenni di accordi al ribasso (tutti siglati SOLO quando c'è stata una forte RESISTENZA) non hanno imposto.

In questo senso l’aggressione a Gaza ha proprio l’obiettivo di ricavare il massimo sfruttando i rapporti di forza attualmente più favorevoli al regime di Tel Aviv grazie alla politica internazionale di frantumazione del fronte palestinese diviso tra “buoni” (l'ANP della Cisgiordania), disposti a concedere la propria indipendenza in cambio di un Bantustan, e “cattivi” (Hamas a Gaza e non solo) che si oppongono a questo tentativo.

Da comunisti dovremmo sapere che solo un connubio di effetti provocati da crisi internazionale, resistenza e crisi interna alla società israeliana faranno fare dei passi in avanti al riconoscimento dei sacrosanti diritti negati in quell'area (unica precondizione per una vera PACE). E se non da comunisti, almeno da “italiani” questo dovremmo saperlo bene visti gli esiti delle guerre (soprattutto la seconda).

E allora ognuno faccia la sua parte. Noi dobbiamo sostenere la resistenza del popolo palestinese, senza necessariamente sposarci questo o quel filone politico, ma anche senza NESSUNA equidistanza sulla contraddizione principale tra occupanti e occupati. Per fare questo bisogna essere in piazza anche contro qualsiasi sostegno alle missioni militari e agli accordi politici ed economici - che sostengono Italia ed i paesi imperialisti occidentali - con il paese occupante.
I cittadini israeliani con posizioni progressiste (ebrei e non) faranno la loro nelle terre dove abitano e i palestinesi sembra che siano già purtroppo abituati a farlo.
Qualsiasi persona intellettualmente onesta sosterrebbe la correttezza di questa posizione e chiunque potrebbe capire che - tra questi tre punti di resistenza – non è certo quello palestinese quello più arretrato.

Se invece di sostenere queste posizioni (che sembrerebbero l’ABC), applichiamo invece dei principi differenti (religiosi o filosofici che siano) e al contrario di quanto fatto nel passato con le resistenze dei popoli (dal Sud-Africa al Vietnam)... allora non si capisce proprio cose c’entriamo noi con comunismo, anticapitalismo, antimperialismo, ecc...Il nostro ruolo di “alternativa di società e non di governo” è del tutto inutile...abbiamo già orde di intellettuali liberali che giocano un ruolo in questo senso.

Comunque, anche su un terreno di visione “non comunista”, a ben vedere, ci sono fior fiore di posizioni oneste e di “buon senso” persino nel mondo della cultura ebraica o limitrofe (non comuniste e talvolta persino apertamente anticomuniste). Bisogna vedere se uno è interessato a cercarle e sostenerle coraggiosamente, almeno da questo punto di vista. O se codardamente ci si rifugia nell’equidistanza, contrariamente agli insegnamenti gramsciani sulla necessità storica della “partigianeria”.

Qualcuno, in questi giorni, citava correttamente le importanti prese di posizione degli “Ebrei contro l’occupazione”, di Illan Pappe o Joseph Halevi. Ma potrebbe essere utile citare anche uno dei più insigni giudaisti israeliani del ‘900, Yeshayahu Leibowitz, che accusò Sharon ed il sionismo di fine ‘900 di “nazismo” dopo Sabra e Chatila e dopo la legge della metà degli anni ‘80 che legalizzava, di fatto, le torture contro i palestinesi (sotto forma di “pressioni consentite”).
Potremmo persino rileggere le posizioni di Hannah Arendt contro la visione sionista (anche nel filone cosiddetto “socialista”) dell’occupazione o dei rabbini contro lo Stato d’Israele che considerano una bestemmia imporre in terra il “regno dei cieli” e, per giunta, “manu militari” con un bagno di sangue. Certo in uno stato teocratico e militarizzato, come quello israeliano, il livello di consenso interno è per lunghi tratti altissimo, ma negli anni più aumenta l’aggressività verso i palestinesi – in un clima di forte crisi economica interna ed internazionale – e più aumentano anche le voci “fuori dal coro”.
Esempi di tali posizioni pubbliche ce ne sono a bizeffe (alcune condivisibili, altre meno), così come di motivazioni per essere contro l’occupazione e la repressione israeliana, non equidistanti ma al fianco del diritto del popolo palestinese a resistere e a lottare per un proprio stato indipendente. Basta volerle realmente trovare. Da “sinceri democratici”, come si diceva una volta.

Ne prendiamo alcune dal mucchio sperando che poche righe stimolino a collegare la propria coscienza di classe con il proprio cervello e non solo con il proprio credo religioso:

«Ariel Sharon, mi sono deciso a rivolgermi pubblicamente a lei, capo del governo d’Israele, perché sono arrivato alla conclusione che bisogna dire alto e forte che la po¬litica di ritorsione perseguita da Israele è giunta a un punto estremo di assurdità. Non si tratta nemmeno più di una politica – che implica un pensiero e un obiettivo riconosciuto come possibile – ma di una zuffa tragica in cui, disgraziatamente, tutti i nostri valori morali stanno sprofondando. (...) Noi, che abbiamo imparato attraverso il dolore e la sofferenza a sopravvivere contro la forza brutale, come potremmo aver dimenticato che un popolo non si inchina mai senza essersi prima battuto? Lei, che si richiama così fortemente alla tradizione ebrea, ricordi le parole dei nostri profeti: "Non è la forza che fa il vincitore", diceva Samuele, mentre alcuni secoli più tardi Zac¬ca¬ria proclamava: "Né con la forza né con l’esercito ma con lo spirito...". (...) Desidero riaffermare ad alta voce, alla vigilia della sua elezione: il primo passo da fare, che è anche una necessità storica ma è anche, indubbiamente, un imperativo morale, è di riconoscere ai palestinesi la libertà di proclamare il loro stato. Bisogna persino spingersi più avanti e reclamare per Israele il privilegio di essere il primo Stato a rico¬noscere la legittimità di questo Stato palestinese. Uno Stato col quale Israele deve spartire la terra comune.» (Thèo Klein, avvocato, presidente onorario del Consiglio delle istituzioni ebree in Francia, Ariel Sharon et l’honneur d’Israel)

«Diciamo senza rigiri, la questione del sionismo è superata. Eppure, la sistematica amalgama tra antisionismo e antisemitismo è diventata la nuova arma di intimi¬da¬zio¬ne degli "amici di Israele". Le accuse che le istituzioni ebree di Francia lanciano con¬tro i media francesi, la violenza passionale delle reazioni e l’obbrobrio gettato su qualsiasi atteggiamento critico nei confronti di Israele sono testimonianze della con¬fu¬sione e della sovraeccitazione degli spiriti. Confondendo nonsionismo con anti¬se¬mi¬tismo, queste reazioni si sono moltiplicate da quando le guerra coloniale in Palestina-Israele ha raddoppiato di violenza. Così, le istituzioni ebree in Francia fan¬no oggi pesare un pericolo sugli ebrei e sul giudaismo e più particolarmente sulla co¬abitazione tra francesi ebrei e musulmani nella Repubblica.»

«Nelle sinagoghe e nei centri comunitari ebrei, la bandiera israeliana e la raccolta di denaro a favore di Israele tendono a sostituire i simboli religiosi tradizionali. (...) E’ co¬sì che si opera uno spostamento dal campo politico a quello religioso. In questa confusione, identificati come istituzioni di sostegno a Israele, sinagoghe e centri co¬mu¬nitari divengono bersagli per attacchi criminali, che ovviamente vanno puniti in quanto tali. Ma, qualificando di antisemitiche le posizioni non sioniste e critiche nei confronti della politica israeliana e confondendo una posizione politica con un’o¬pi¬nio¬ne razzista, le istituzioni ebree fanno gli apprendisti stregoni e divengono esse stes¬se dei vettori di violenza. Per l’ebreo praticante, il giudaismo non è un problema. In¬vece, per degli ebrei laici, presi tra universalismo e contrazione identitaria, il sionismo è divenuto una religione sostitutiva. Yeshayahu Leibowitz, filosofo israeliano, reli¬gio¬so e sionista, diceva di questi ebrei in cerca di identità: "Per la maggior parte degli ebrei che si dichiarano tali, il giudaismo è soltanto un pezzo di chiffon blu e bianco issato su un’asta, nonché le azioni militari che l’esercito compie a loro nome con que¬sto simbolo. L’eroismo in combattimento e la dominazione, ecco il loro giudai¬smo".» (Eyal Silvan, cineasta israeliano, La perciolosa confusione degli ebrei di Francia)

«Essere ebrei è una faccenda terribilmente complicata. Io per esempio mi ritengo ebreo pur non essendo sionista e trovandomi bene tra gli italiani, di cui mi cullo nell’illusione che siano ‘brava gente’ e pur essendo ateo. (...) Perché allora mi ostino a definirmi ebreo? Per la semplice ragione che con minor fortuna sarei finito ad Au¬schwitz. Come afferma Sartre, non è l’ebreo che crea l’antisemitismo, ma l’anti¬se¬mi¬ta che crea l’ebreo. Come si situa nell’attuale costellazione del mondo, in cui c’è rischio che il conflitto del Medio Oriente si trasformi in una deflagrazione definitiva, un siffatto ‘ebreo non ebreo’, per riprendere il titolo dell’ultimo libro di Isaac Deut¬scher? Anzitutto, egli non farebbe finta che il conflitto cominci adesso. Per utilizzare un’immagine dello stesso Deutscher, si è trattato del salto di un individuo malconcio e azzoppato, sopravvissuto ad Auschwitz, sulle spalle di un altro che risiedeva da tempo in quel luogo. Sarebbe stato bello se avesse avuto ragione Max Nordau, con il suo slogan: "Una terra spopolata per un popolo senza terra". Purtroppo, la Palestina non era spopolata.» (Cesare Cases, Ebreo non ebreo)

«Il Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebree in Francia (Crif) chiama a manifestare il 7 aprile non soltanto contro gli attacchi ai luoghi di culto, ma anche per "sostenere Israele". (...) Riprendendo la parola d’ordine degli americani contrari alle crociate imperiali, noi rispondiamo: "Non in nostro nome!". (...) Riconosciuto dall’Au¬torità palestinese e da diversi governi arabi, il fatto nazionale israeliano è ormai sta¬bi¬li¬to in modo irreversibile. Ma una pace duratura esige il riconoscimento reciproco dei due popoli e la loro coesistenza fondata su uguali diritti. Gli israeliani han¬no uno sta¬to sovrano, un esercito potente, un territorio; i palestinesi sono da mez¬zo secolo par¬cheggiati in campi, sottoposti a brutalità e a umiliazioni, assediati in un territorio a pelle di leopardo: grande come una regione francese, la Cisgior¬da¬nia è lacerata da stra¬de strategiche, crivellata da oltre 700 check points, irta di colonie. Non c’è sim¬metria tra occupanti e occupati. (...) Era prevedibile che a forza di assimilare il giudaismo alla ragione di Stato israeliana e di presentare le istituzioni ebree come delle ambasciate ufficiose di Israele, gli apprendisti stregoni del Grande Israele finissero per essere presi in parola, anche se questo non rende meno odiosi e inammissibili gli attentati alle sinagoghe e le scuole. Noi condanniamo le aggressioni che puntano contro una comunità in quanto tale e che rendono gli ebrei colletti¬va¬men¬te responsabili delle esazioni commesse dal governo israeliano. Condanniamo ogni deriva antisemita della lotta contro la sua politica, condanniamo per motivi mo¬ra¬li come pure politici gli attentati contro la popolazione civile in Israele. Le azioni contro le colonie e contro l’esercito di occupazione derivano invece da una resi¬sten¬za storicamente legittima e da una difesa di diritti imprescrittibili.» (Sostenere Israele? Non in nostro nome!, dichiarazione firmata da 21 intellettuali ebrei, su «Le Monde»)

«Come uscirne? Nel futuro che si profila, tre soluzioni sembrano logiche. La prima è l’espulsione dei palestinesi da ciò che si chiama Eretz Israel, cioè tutta la Palestina mandataria. Un ministro assassinato di recente preconizzava questa soluzione. Si possono seriamente immaginare quali crimini occorrerebbe compiere per sboccare su questo risultato? Si può credere che il mondo arabo lo ratificherebbe? Che reste¬reb¬be allora dell’universalismo dei profeti di Israele – quello del secondo Isaia, ad e¬sem¬pio – e della speranza del cittadino israeliano di vivere, un giorno, in pace in questa re-gione? L’altra soluzione è il contrario della prima: la partenza degli israeliani verso dei cieli più clementi, gli Stati Uniti o l’Europa. Essa è strettamente impossibile, nell’im¬mediato. Ma in futuro? (...) La terza soluzione è quella della coesistenza, sia che essa assuma la forma di due Stati separati, o quella di una federazione o confede¬ra¬zio¬ne.»

«Due princìpi fondamentali possono ancora, forse, renderla possibile. Il primo è quello dell’eguaglianza civica, ma anche sociale ed economica. Questo principio vale anzitutto per lo spirito che deve reggere ogni negoziato futuro. Vale per i palestinesi cittadini di Israele che, cinquant’anni dopo la creazione dello Stato, sono ancora lontani dal contare. Vale anche per gli israeliani che decidessero di restare in territorio palestinese e che non dovrebbero più esservi incastrati. Il secondo è quello della reciprocità. Ogni rinuncia alla sovranità di una delle parti contraenti deve trova¬re la sua contropartita presso l’altra parte. Questo vale per tutti i problemi in dibattito, compreso beninteso quello di Gerusalemme e dei rifugiati. (...) Noi speriamo, contro ogni speranza..» (Elias Sanbar, redattore della «Revue d’Etudes Palestiniennes», Pierre Vidal-Naquet, storico, Is¬raël - Palestine: contre toute espoir)

«Limor Livnat è legata alla storia della "lunga durata"; essa colloca l’inizio nel XII secolo prima della nostra era e la fine a metà del secondo millenario. L’attore prin¬ci¬pa¬le è un "popolo-razza" che era riuscito a conquistarsi un territorio all’inizio stesso del¬la storia, ma che, come accadde agli spagnoli dell’VIII secolo, aveva visto la sua ter¬ra occupata da quei cattivi degli arabi. Però, così come gli spagnoli espulsero gli arabi dopo otto secoli di presenza, gli ebrei riuscirono anch’essi a riappropriarsi della propria terra dopo mille e duecento lunghi anni. (...) Io faccio parte di quegli israeliani che hanno smesso di rivendicare per se stessi dei diritti storici immaginari; se, in effetti, per organizzare il mondo s’invocano delle frontiere o dei diritti che risal¬go¬no a duemila anni fa noi finiremo per trasformare il mondo in un immenso asilo psi¬chiatrico. Allo stesso modo, se continuiamo a educare i nostri figli israeliani in base a una memoria nazionale contraffatta sino a questo punto non arriveremo mai a un compromesso storico duraturo.»

«Nel 1993 Itzhak Rabin ha iniziato l’evacuazione dei territori occupati. La bandiera pa¬le¬stinese ha sventolato su Jenin e Ramallah. Perà, parallelamente a questo pro¬cesso politico, la maggior parte degli storici israeliani non ha avviato l’opera di smi¬namento della mitologia che ha indotto molti israeliani a credere che quei territori siano parte integrante della patria indivisibile. Con la riproduzione di queste men¬zo¬gne storiche, gli storici hanno anch’essi assunto la loro parte nel degrado attuale. I po¬litici di destra e di sinistra come la signora Livnat o il signor Barak, che hanno si¬ste¬maticamente perseguito una politica di colonizzazione nei territori occupati, per¬pe¬tuano l’impresa di costruzione della storia. Anche i palestinesi dovrebbero assorbire la ragione dolorosa secondo cui non si ripara a un’ingiustizia storica con una nuova ingiustizia. Benché questo per loro sia difficile bisogna dirlo: la proclamazione del di¬rit¬to al ritorno dei rifugiati nei territori di prima del 1948 equivale di fatto a un rifiuto di riconoscere lo Stato di Israele. Beninteso, gli israeliani debbono evacuare tutti i ter¬ri¬tori conquistati nel 1967, compresa la parte araba di Gerusalemme, mentre i diri-gen¬ti palestinesi debbono formulare un progetto di compromesso perché si tratta delle tragiche conseguenze del 1948 e non di continuare a nutrire le illusioni dei loro com¬patrioti.» (Shlomo Sand, docente di storia all’università di Tel Aviv, Israele: la nostra parte di menzogne)

«La comparsa dei 52 ufficiali e soldati che qualche settimana fa hanno firmato una lettera per affermare che non serviranno più nell’esercito che lotta per le colonie e l’occupazione, è un fenomeno nuovo. Dalla pubblicazione di questa lettera (oggi firmata da 250 riservisti, e con molte altre adesioni) non è passato giorno senza una discussione pubblica. Come ha ben spiegato un giovane religioso che mesi fa ha preferito la prigione: "Io sono stato laggiù, so cosa significa trattare esseri umani come fossero cani, deumanizzarli, privarli di ogni diritto. Posso capire il loro odio, i loro attacchi. Non sopporto di farlo, lo devo ai miei figli. Cosa dovrei rispondergli quando mi domanderanno se anch’io c’ero? E se il mio rabbino mi condanna, preferisco comunque non commettere gli atti terribili che sono il risultato della repressione".» (Zvi Schuldiner, Un terremoto politico in Israele)

«L’occupazione, che dura da una generazione e che pesa sulla vita di oltre 3,5 milioni di palestinesi, è il motivo che ha spinto me e centinaia di altri obiettori nelle forze armate, nonché decine di migliaia di cittadini israeliani, a opporci alla politica e all’azione del nostro governo in Cisgiordania e Gaza. Il mio impegno ai valori democratici mi ha spinto ad agire contro l’occupazione – a firmare petizioni, scrivere annunci, prender parte a manifestazioni e veglie. Ma questi atti di opposizione non mi assolvono dal fare una scelta morale quanto a partecipare all’occupazione come ufficiale e ad ordinare a altri di fare altrettanto. Perciò, mentre continuo a servire nelle forze di difesa, io selettivamente rifiuto degli ordini militari se questi richiedono la mia presenza nei territori oltre i confini israeliani del 1967. (….) Io e gli altri che serviamo nelle forze di difesa non possiamo, con la nostra azione, cambiare la politica del governo o rendere più probabili dei negoziati di pace. Ma possiamo mostrare ai nostri concittadini che l’occupazione dei territori non è soltanto una questione politica o strategica. E’ anche una questione morale.» (Ishai Menuchin, maggiore della riserva e presidente di Yesh Gvul, il movimento dei militari israeliani per una rifiuto selettivo)

E se lo dicono forte loro, personaggi non certo tacciabili di antisemitismo e spesso persino convinti sostenitori dell’esistenza dello stato di Israele, perchè non dovrebbero dirlo i comunisti ed i sinceri democratici nel nostro paese?
Dalla parte della lotta del popolo palestinese...sempre!

Andrea

Dalla parte dei palestinesi contro l'aggressione militare di Israele

In questi giorni ore il Governo israeliano, con l’appoggio degli USA e la connivenza dell’Europa e dell'Italia, ha ucciso oltre 400 palestinesi, in gran parte civili.

Gli obiettivi militari sono in realtà scuole, ospedali e strade. Questi attacchi mirano ormai alla annessione dei territori palestinesi.
Da mesi Israele stava preparando una offensiva contro la striscia di Gaza (anche per vergognose esigenze elettorali interne legate alle imminenti elezioni politiche) per imporre un Governo disposto ad accettare tutte le imposizioni Israeliane.

I campi profughi palestinesi sono come i bantustan dell'apartheid, lo scrivono le organizzazioni umanitarie che denunciano la distruzione delle ultime scuole, delle rare centrali idriche ed elettriche ancora in funzione, le condizioni di assoluta miseria in cui vive la popolazione palestinese affamata dal blocco economico imposto dagli Usa e da Israele.

Il governo Italiano è complice del terrorismo di Israele con cui fa affari, militari e non. Dopo l'aggressione al Libano, prosegue la politica di Israele coperta all'ONU dai veti USA, una politica che mira apertamente alla distruzione delle istanze palestinesi negando il diritto a questo popolo di un proprio stato autonomo e indipendente. Per questo esprimiamo netta condanna della politica dell'unione Europea sempre più subalterna agli Usa, condanna del governo Berlusconi connivente della uccisione di tanti civili e della politica israeliana che ha portato solo guerra, fame, morte e distruzioni in Medio Oriente.

Per questo la Confederazione Cobas, insieme ad altre forze sindacali, politiche e varie associazioni, promuove le iniziative che si terranno il giorno 3 Gennaio in varie città Italiane a sostegno del popolo palestinese, perché Israele cessi i bombardamenti contro Gaza e ponga fine all'embargo che miete ogni giorno decine di vittime tra la popolazione palestinese.
Il massacro di bambini, donne, uomini palestinesi deve cessare immediatamente: denunciamo l'inerzia del Governo italiano, che avalla le operazioni militari israeliane, mentre chiediamo che tutti i cittadini, le forze politiche democratiche, il Parlamento, le Istituzioni intervengano e premano il Governo israeliano per far cessare i bombardamenti e impedire l'annunciato attacco di terra a Gaza, che provocherebbe migliaia di vittime annunciate tra civili inermi, oltre ai morti militari e miliziani palestinesi.

Chiediamo la fine degli accordi militari tra Italia e Israele ed il ritiro immediato delle truppe italiane dal sud del Libano, che forniscono una copertura oggettiva alle operazioni militari di Israele.
Chiediamo la revoca di ogni trattato tra Italia e Israele per costruire anche nella nostra città una mobilitazione a fianco del popolo palestinese.

Occorre fermare il massacro del popolo palestinese, subito!

Confederazione Cobas Pisa

FERMIAMO LA STRAGE DELL'ESERCITO SIONISTA TRIBUNALE INTERNAZIONALE CONTRO I CRIMINI DI GUERRA DEL GOVERNO ISRAELIANO

Dopo 60 anni di pulizia etnica e deportazioni, i Palestinesi rapinati delle loro case, della loro terra, della loro acqua, vengono oggi massacrati senza pietà, non solo soldati, ma donne, vecchi e bambini, dall'esercito sionista.
*CASA ROSSA* aderisce alla Manifestazione per fermare l'operazione dell'esercito sionista, PIOMBO FUSO.


Il quadro di una situazione di genocidio in un articolo di Patrizia Viglino

Cadaveri distesi per terra a mucchi, corpi dilaniati, volti esangui, le preghiere dei feriti in fin di vita. Bambini col cranio scoperchiato, grida di terrore, donne e uomini coperti di polvere, estratti dalle macerie degli edifici distrutti e tutto intorno quello che resta di vite umane spese nella sofferenza, nell'assedio, nella fame, nel sogno di vita e libertà che si trasforma in un fiume di sangue. Ospedali al collasso, privi di medicinali e di mezzi, corsie piene di cadaveri che giacciono fianco a fianco con i feriti, con i bambini che chiamano le madri sotto il flash delle macchine fotografiche.
Sanguina la Striscia di Gaza, sanguina e geme da tre lunghi giorni di furia omicida, aggredita da un esercito di sanguinari, sottoposta ad una pioggia di bombe che dal cielo e dal mare si abbatte sulla comunità di palestinesi rinchiusi nel più grande campo di concentramento del Mondo.
Ai confini del Gaza-Campo, soldati israeliani che si preparano all'invasione di terra, truppe che cantano e ballano, che esultano per gli oltre 350 morti palestinesi. Quale orrore maggiore ci stiamo preparando a guardare attraverso lo schermo delle televisioni nelle prossime ore? Quale raziocinante retorica saremo pronti ancora a digerire?
E intanto sentiamo ripetere l'odioso mantra dei carnefici del popolo palestinese, dal ministro israeliano della difesa Barak a quello degli esteri Livni, che in clima di campagna elettorale dicono di non voler fermare questa macchina da guerra chiamata "Israele" fintanto che Gaza non sia riportata indietro di dieci anni, fintanto che non rimarrà in piedi un solo edificio di Hamas, fintanto che non verrà annientato l'eterno nemico che oggi si chiama Hamas, come ieri si chiamava al-Fatah, come in passato si è chiamato OLP e come da sempre si chiama Popolo Palestinese.
Un'ombra sta scendendo sul mondo intero, sui giornalisti che se pur impressionati per la carneficina in corso non possono fare a meno di ripetere che Israele è in guerra con Hamas e che "una pioggia di razzi Qassam" ha colpito il sud di Israele.
Un'ombra si è già allungata sui governi occidentali, deboli pedine dello scacchiere della guerra totale che la potenza statunitense ha coltivato e accudito dagli anni Novanta ad oggi. Non è difficile comprenderlo. Il neo-eletto Barak Obama non ha fatto altro che seguire la linea di Bush in materia di politica mediorientale. Se qualche illuso ha creduto che essere un afro-americano significasse essere sensibile ai temi della pace si è sbagliato di grosso. Le dichiarazioni di Obama su questa strage degli inermi sono perfettamente in linea con la condotta dell'amministrazione Bush che dopo due giorni di guerra totale a Gaza ha ribadito che con Hamas, con i "terroristi" non si tratta. Come sempre e prima di tutto vengono gli interessi di Israele e per questo Israele ha qualunque diritto sul popolo palestinese, anche il diritto di vita e di morte, di imporre prigionia, fame, freddo, oscurantismo, disperazione.
Ogni opzione è aperta su Gaza, ogni soluzione è buona per annientare questo popolo che ha commesso il grande crimine di esistere.
3 miliardi di dollari americani all'anno in finanziamenti alla macchina da guerra israeliana che per dieci anni hanno attrezzato i criminali di guerra, stiamo certi continueranno anche nel 2009.

PALESTINA: DIVIDI ET IMPERA!

Gli israeliani colpiscono senza pietà bambini, donne, civili palestinesi a Gaza in nome della propria sicurezza

L’aggressione di Israele alla popolazione civile di Gaza è il nuovo capitolo di una guerra di sterminio di massa che l’imperialismo sionista, con la complicità statunitense e l’avallo europeo ed italiano, sta portando avanti contro il popolo palestinese.
Soffiando sul fuoco delle divisioni interne alle organizzazioni palestinesi, la strategia israeliana ha teso in questi ultimi anni a colpire le formazioni del fondamentalismo politico-religioso: dopo la vittoria di Hamas alle elezioni successive alla morte di Arafat, lo scontro tra Abu Mazen e Hamas è diventato esplosivo, tanto da aver provocato la divisione tra territori amministrati dall’OLP (i territori occupati militarmente da Israele e ridotti a riserve frammentate in Cisgiordania) e quelli di Gaza controllati da Hamas. La guerra santa lanciata da Israele contro Hetzbollah in Libano nell’estate di due anni fa e l’embargo contro Gaza per colpire Hamas hanno provocato catastrofi umanitarie sia nel sud del Libano che a Gaza. I bombardamenti di questi giorni e l’imminente attacco di terra contro Gaza sono l’inevitabile approdo della strategia israeliana.
L’obiettivo è la distruzione dei palestinesi come popolo, a cui è stata prima estirpata la terra (il 2008 sono 40 anni dalla Nakba, la catastrofe del 1948, anno della fondazione di Israele sulle terre da cui furono cacciati i palestinesi); poi occupate militarmente dall’esercito israeliano nel 1967 le terre assegnate dall’ONU in Cisgiordania; ancora nuovamente ridotte con il processo di colonizzazione avviato negli anni ’90, che ha portato alla frammentazione territoriale e la segregazione del Muro della Vergogna in Cisgiordania; infine, la divisione politica e territoriale dei palestinesi, che giocando sulla contrapposizione tra “buoni” (seguaci del Presidente Abu Mazen) e “cattivi” fondamentalisti di Hamas ha consentito agli israeliani di attaccare i palestinesi di Gaza con la giustificazione di “difendere la propria sicurezza” dai “micidiali” attacchi dei missili Kassam.
Risultato: al momento gli israeliani uccisi si contano sulle dita di una mano, mentre i palestinesi di Gaza massacrati sono oltre 400. Se partirà, come sembra quasi certo, l’offensiva di terra, le vittime civili saranno migliaia, oltre ai morti tra militari e miliziani palestinesi.
La strategia di Israele consiste nel rendere impossibile la costituzione anche solamente di un simulacro di Stato palestinese, e soprattutto di uno Stato autonomo economicamente e indipendente politicamente: a tale scopo devono eliminare Hamas e “punire” collettivamente i palestinesi che sostengono il movimento politico-religioso, il cui integralismo è frutto della devastazione di anni e anni di massacri, embarghi, umiliazioni e sottomissioni del popolo palestinese all’imperialismo sionista dello Stato di Israele, presidio fondamentale dell’imperialismo USA in Medio Oriente, su cui si fondano tutte le operazioni militari in Iraq e Afghanistan.

CHIEDIAMO:
- L’IMMEDIATO CESSATE IL FUOCO SU GAZA;
- LA FINE DELL’EMBARGO ECONOMICO E POLITICO DEL POPOLO PALESTINESE;
- LA DISTRUZIONE DEL MURO DELLA VERGOGNA;
- LA RESTITUZIONE DEI TERRITORI DELLA CISGIORDANIA OCCUPATI DAL 1967;
- LA FINE DEGLI ACCORDI MILITARI TRA ITALIA E ISRAELE;
- IL RITIRO DELLE TRUPPE ITALIANE DAL LIBANO, FUNZIONALI ALLE OPERAZIONI MILITARI ISRAELIANE.

ASSOCIAZIONE PIANETA FUTURO
per la COSTITUENTE COMUNISTA

Il Massacro di Gaza e l’abbuffata con rutto

Scriviamo queste due righe sul massacro sionista in Palestina mentre Marisa Laurito, sul secondo canale RAI, spiega agli italiani che il pandoro si taglia correttamente soltanto se lo si stende di fianco.
Da poco Claudio Pagliara, il corrispondente del TG1-2 e 3 dalla Striscia di Gaza ed uno dei pochi accreditati dal Governo Olmert a girare indisturbato tra i carri armati di Sion, anche oggi ha utilizzato il suo immenso potere mediatico per ricordare alla società “civile” italiana che l’intervento dell’aviazione israeliana si spiega facilmente con il “diritto all’autodifesa”.

Lo ha pure confermato, in un’intervista di cinque minuti concessa qualche giorno fa allo stesso Pagliara, la Ministra degli Esteri di Sion, Tzipi Livni. Secondo i tecnici del diritto internazionale Pagliara-Livni, spetta perciò all’occupante eletto da Dio esercitare questo Diritto, giammai all’occupato inerme. In un quadro morale prima ancora che politico così desolante, e dove la distorsione informativa sui tragici fatti di Gaza (occupato militarmente nel 1967 da Israele) è così clamorosa, diventa perfino commovente l’interessata dichiarazione del Balcanico Massimo D’Alema (“non bisognerebbe mai dimenticare che Hamas ha vinto le elezioni, certificate dalla comunità internazionale”) che, oggi all’opposizione, non potendo più bombardare per spirito umanitario, semplicemente si lagna.

Di contro, giornali, radio e televisioni non riportano alcun comunicato della frattaglia comunista (Diliberto, Rizzo, Ferrando, Turigliatto e, rigorosamente per la pace, Ferrero): e quasi non si sa bene se questo oscuramento si debba più alla volontà politica del Comitato d’affari che sta in Parlamento di continuare a calpestare, a prescindere, le idee della classe subalterna ovvero alla presa d’atto che queste stesse idee non sono egemoni nel paese.

E’, come sempre, un mescolarsi di entrambi gli interessi. Perché si dovrebbe parlare di ciò che pensano gruppetti e settine comuniste quando esse non trovano nemmeno la forza comune per ricordare, da un unico grande giornale (che non c’è), da un’unica grande radio (che non c’è), da un’unica e grande televisione (per carità, chissà se ci sarà mai), che la “tregua” è stata rotta da Sion il 4 Novembre 2008 con un bombardamento aereo su Gaza (e proprio perché la tregua reggeva)? Perché si dovrebbe rendere noto il pensiero di gruppetti e settine comuniste che non hanno nemmeno la forza di chiedere insieme (sottolineo, insieme) la cacciata di Sansonetti (che il mainstream, invece, sta passando come il martire da difendere, l’agnello da sacrificare ingiustamente) dalla Direzione di Liberazione?

Sansonetti, per anni la principale articolazione giornalistica del vuoto pneumatico politico di Fausto Bertinotti, che non molla e continua a dichiarare, spudoratamente, di non avere ricevuto condizionamenti da nessuno. Soltanto per questa balla andrebbe cacciato immediatamente a pedate!

Che c’entra Gaza con Sansonetti? C’entra. E’ necessario riprendersi Liberazione (tutte/i, non soltanto i compagni che sono rimasti nel PRC) come “voce della classe” così come è necessario ripensare, rinnovare e centralizzare tutto il disarticolato sistema mediatico di informazione comunista nel nostro Paese, rinunciando per sempre alla fastidiosa gara di chi è più comunista dell’altro.

La spensieratezza oltraggiosa con cui le/i tante/i Marisa Laurito di questo paese cialtrone stanno per cuocere o mangiare il cotechino dell’ultimo dell’anno mentre nel recinto di Gaza centinaia di innocenti stanno morendo sotto le incursioni sioniste dipende (anche) dal fatto che le/i comuniste/i italiani, genericamente intesi, prima ancora che in Parlamento, sono fuori dal faticoso lavoro di analisi, comprensione e rappresentazione della società italiana, spendendo invece la gran parte del tempo e delle energie nella costruzione di nicchie di apparato politico parafamilistico per l’esaltazione orgiastica del sé come capobastone.

Francesco Fumarola, 31 Dicembre 2008

Regione Basilicata : “Come prima, più di prima …”

E’ inaudito, nessuno poteva immaginarlo ed ancora oggi si stenta a crederlo che la Giunta De Filippo succedesse a se stessa . Non si può dire nemmeno che la montagna ha partorito il topolino, perché questa volta si tratta di pura clonazione .
Lo scandalo petrolio non esiste, non è vero che le fabbriche chiudono e gli assessori avevano solo fatto finta di dimettersi, scherzavano . I giornali hanno fatto un sogno di mezzo inverno, hanno scambiato il loro desiderio di rinnovamento per la realtà, che invece è rimasta perfettamente immutata .
Se la politica industriale ed occupazionale presentava qualche crepa, la colpa era del solo Folino che giustamente è l’unico che non c’è più ed ora ci penserà il Presidente che ha avocato l’incarico ad interim ed avendo la doppia personalità ( De Filippo e Capoluongo ) ha potuto assumere il doppio incarico e farà vedere lui come si fa a far riaprire le fabbriche, senza cambiare politica .
Ne parliamo così perché, a parte le scelte discutibilissime, loro non sono proprio seri e nemmeno il risultato elettorale dell’Abruzzo li ha indotti a qualche riflessione .
Hanno varato una Finanziaria berlusconiana, concedendo qualche elemosina ai meno ambienti, giusto per tentare di farli arrivare vivi al 2010, ma dimenticandosi puntualmente dei braccianti forestali, dei lavoratori della Valbasento, dei cassaintegrati, degli interinali, dei giovani disoccupati, come del C.A.R., della Daramic, della Mahle, della Mister Day, della Standartela, dell’ Indotto di San Nicola ecc. ecc. ma possono vantare il consenso di Rifondazione e dei Comunisti Italiani che per manifestare il loro entusiasmo hanno dichiarato che è una “buona base per ripartire”. Per dove è scontato, verso il disastro occupazionale e della sinistra .
All’indomani dell’indecente voto parlamentare che ha negato gli arresti domiciliari a Salvatò Margiotta, si sono proprio esaltati ed hanno negato che in Basilicata esiste una questione morale ( facendo rigirare Berlinguer nella tomba ) che starebbe solo nella testa di Don Marcello Cozzi e nel fumus persecutorio di Woodkoch che fra poco se ne andrà e li lascerà in pace . E su questo godono anche dell’appoggio dell’ineffabile Lapenna e di tutto il centrodestra a dimostrazione di quanto questo Consiglio Regionale, nella sua interezza, non rappresenti più il popolo lucano .
Per Rifondazione lucana sembra che il Congresso di Chianciano non si sia mai svolto e che la Segreteria Nazionale abbia chiesto esplicitamente che in Basilicata fosse messa in atto la “discontinuità”, alla Simonetti poco importa e per difendere il posto di sottogoverno del fratello si è di nuovo prontamente allineata con De Filippo . Loro non aspettano che Vendola sciolga gli ormeggi, il nuovo partito socialdemocratico se lo sono già fatto insieme a Nardiello, collocandosi a destra di Vincenzo Folino,
che almeno ha dimostrato di avere dignità .
Accettando il ritiro, dopo le scudisciate di Romualdo Coviello, dell’emendamento sulla moratoria dell’attività petrolifera ( che era solo una sortita spiritosa per buttare fumo negli occhi ) la Simonetti e Nardiello hanno dimostrato che il loro vero capogruppo è Erminio Restaino .
Sinistra Democratica aveva chiesto un “nuovo centrosinistra” e visto che siamo di fronte alla riproposizione del vecchio ed indagato centrosinistra, ora ne dovrebbe prendere le distanze ma dubitiamo seriamente che ciò avverrà perché resteranno accucciati buoni, buoni nell’attesa che qualche consigliere di maggioranza passi ad altro incarico affinché il loro coordinatore provinciale possa diventare Consigliere Regionale per qualche mese, realizzando il sogno della sua vita .
Noi riteniamo che per i comunisti è tempo di opposizione, nelle istituzioni e nelle piazze per dare forza e direzione politica al conflitto sociale che non può più ammettere ambiguità e finti appoggi a mezzo stampa da parte di chi si è schierato nuovamente con De Filippo .
Debole ci appare il dissenso interno a Rifondazione, che crediamo esista e debba farsi sentire con forza se non si ferma alla sola ex deputata Angela Lombardi . E’ arrivato il momento di non distinguere con le tessere di partito e di riprendere a fare i fatti . Sono i lavoratori a chiedercelo .

Lì 26. 12. 2008
Per la Segreteria Regionale di Unità Popolare
( Leonardo TRICARICO )

Unità Popolare
Coordinamento Regionale
Via Aceronia, 33 – 85050 BRIENZA (PZ)
Tel. 339-7519609 - Fax 0971-81563

STATO D’ISRAELE STATO D’ASSASSINI

In queste ore il governo dello stato sionista d’Israele stà attuando un massacro indiscriminato nei confronti della popolazione palestinese di Gaza.
In meno di 2 giorni le vittime sono già più di 300: una delle peggiori carneficine degli ultimi decenni su quella che oramai definire “terra santa” sembra quasi macabro umorismo.

Da 60 anni Israele opprime la Palestina per mezzo di un occupazione tanto violenta quanto illegittima, perpetrando i peggiori soprusi ai danni del suo popolo e sabotando con tutti i mezzi la nascita di uno stato Palestinese: ciò grazie al sostegno degli USA, al silenzio complice di gran parte di quei governi europei che con Israele fanno affari commerciali e militari, e soprattutto alla massiccia campagna di disinformazione e falsità messa in atto dagli organi di stampa e dei mass media filoisraeliani, compresa la RAI.

Israele in questi giorni, servendosi del proprio imponente arsenale di armi di distruzione di massa, prova per l’ennesima volta a mettere in ginocchio l’eroica resistenza del popolo palestinese. E per giustificare agli occhi del mondo la distruzione di Gaza e l’assassinio indiscriminato di vecchi, donne e bambini, fabbrica ad arte la versione dell’autodifesa da presunti attacchi ad opera dei palestinesi di Hamas, presentata come l’unica responsabile della fine di una tregua di 6 mesi.

Ancora una volta Israele mente spudoratamente: sono stati loro in questi mesi a violare ripetutamente la tregua, uccidendo quasi 50 palestinesi; è stata Israele ad impedire persino il passaggio di viveri e medicinali a Gaza, riducendone alla fame a popolazione e provocando la morte di circa 300 malati gravi: tutto ciò al fine di umiliare il popolo palestinese.
Ma questo in occidente nessuno lo dice!
La violenza cieca messa in atto da Olmert e dagli occupanti sionisti stà mettendo in luce l’effettiva natura terroristica dello Stato d’Israele: uno stato razzista su base confessionale, la cui unica ragion d’essere è quella di servire come avamposto militare dell’imperialismo statunitense, e che fin dalla sua nascita ha stravolto la pacifica convivenza dei popoli del Medio Oriente.
Mentre gran parte dei governi occidentali, con alla testa il neo-presidente USA Obama, si uniscono al coro sionista, gli ambienti “di sinistra” invocano pilatescamente una pace astratta, senza distinguere tra carnefici (Israele) e vittime palestinesi.

Noi da che parte stare lo sappiamo:
senza riserve al fianco del popolo palestinese, vittima di 60 anni di terrore sionista!
Stop al massacro di Gaza
Intifada fino alla vittoria

Associazione Marxista Unità Comunista
Movimento campano per la Costituente Comunista

Occupazione Palestina, la RAI disinforma: Claudio Pagliara deve andarsene a casa

Scritto da Campagna 2008 Anno della Palestina



BASTA CON LA DISINFORMAZIONE DELLA RAI! VIA CLAUDIO PAGLIARA!
Di fronte alle incredibili manipolazioni sulla tragedia in atto a Gaza operate dal cosiddetto “servizio pubblico”, in particolare dall’inviato CLAUDIO PAGLIARA, non è più possibile tacere. Pagliara non si comporta da giornalista, ma da zelante propagandista del governo israeliano. QUELLO CHE PAGLIARA E LA RAI NON CI FANNO SAPERE
Tutto il mondo sa che Hamas non ha “rotto la tregua con Israele”, come ripete ossessivamente Claudio Pagliara, ma che la ripresa del lancio di missili artigianali è avvenuta allo scadere della tregua, dopo che Israele ha violato per tutti i sei mesi della tregua stessa le condizioni concordate. Israele non ha aperto i confini di Gaza al passaggio di viveri e medicinali, riducendo alla fame un milione e mezzo di persone e provocando il collasso degli ospedali e la morte di almeno 275 malati gravi.

Israele ha continuato le incursioni militari all’interno della striscia di Gaza, uccidendo almeno 25 Palestinesi. In Cisgiordania e a Gerusalemme, Israele ha continuato i rastrellamenti, le uccisioni, gli arresti arbitrari, la demolizione di case, la distruzione di uliveti e piantagioni, la moltiplicazione dei posti di blocco e la costruzione dei Muri dell’Apartheid, che isolano le città e i villaggi palestinesi, trasformandoli in tante prigioni a cielo aperto.

Tutte queste cose, e molte altre, Pagliara e la RAI non ce le fanno sapere. Pagliara e la RAI non ci hanno detto che fra le vittime dei bombardamenti israeliani ci sono anche sette operatori dell’ONU, anzi continuano a ripetere che “secondo la stessa Hamas” la maggior parte delle vittime sono miliziani e combattenti del movimento islamico, mentre simili dichiarazioni non risultano da nessuna parte, se non nelle veline dell’esercito israeliano.

La realtà, che Claudio Pagliara e la RAI offendono quotidianamente, è che i morti di Gaza sono poliziotti, cittadini comuni, donne e bambini, persino detenuti, visto che – oltre alle scuole, alle università, alla sede del parlamento, ai palazzi di civile abitazione ed alle moschee – l’aviazione israeliana ha bombardato anche le carceri. Questa stessa mattina, nel suo servizio trasmesso dal TG1, Claudio Pagliara è riuscito a nascondere anche la notizia dei sei bambini assassinati nella notte dai bombardamenti, nonostante fosse stata diffusa anche dalle agenzie italiane!

Claudio Pagliara e la RAI non possono continuare impunemente a violare il nostro diritto ad un’informazione equilibrata e veritiera. Noi non possiamo continuare ad essere presi in giro ed a pagare, con il canone RAI, lo stipendio di chi ci nasconde la verità.

Boicotta i prodotti israeliani: codice a barre 729

Cominciamo con qualcosa di piccolo... ma, in questo mondo governato dal capitale, efficace: quando andate al supermercato, nei negozi, nei mercati controllate la provenienza dei prodotti che acquistate.
Se il codice a barre riporta il numero 729 non comprateli.
Cominciamo a togliere qualche arma a chi ne sgancia a tonnellate sulla popolazione palestinese.




Lista prodotti israeliani:

AHAVA: prodotti estetici e dermatologici distribuiti in Italia da P.M.
CHEMICALS S.R.L./Milano
AMCOR: purificatori e condizionatori d'aria, insetticidi
ALBATROSS: fax e sistemi di posta elettronica
CANTINE BARKAN Ltd: vini con etichetta Reserved, Barkan e Village
CANTINE DELLE ALTURE DEL GOLAN: vini con etichetta Yarden, Gamla e Golan distribuiti in Italia da GAJA DISTRIBUZIONE, Barbaresco (Cuneo)
CARMEL: prodotti d'esportazione come avocados, fiori recisi e succhi di frutta
CALVIN KLEIN: alcuni capi di vestiario sono realizzati in Israele
DATTERI DELLA VALLE DEL GIORDANO varietà Medjoul e Deglet Nour
EPILADY/MEPRO: epilatori
HALVA: barrette di sesamo
INTEL: microprocessori e periferiche
JAFFA: agrumi
MOTOROLA: prodotti di irrigazione e fertilizzanti
MUL-T-LOCK Ltd: porte blindate, serrature di sicurezza, cilindri e attrezzature
NECA: saponi
PRETZELS: snack salati della Beigel
SALI DEL MAR MORTO: prodotti cosmetici
Società Gitto Carmelo e Figli Srl di Messina: ha costruito una strada che passa nei territori occupati ed è a solo uso dei coloni
SODA-CLUB Ltd.: sistemi per carbonare e sciroppi per la preparazione di
soda e soft drinks
SOLTARN Ltd: pentole e tegami in acciaio antimacchia
VEGGIE PATCH LINE: hamburger di soia e prodotti alternativi

Generi : marche
Abbigliamento: Ask Retailer; Gottex, Gideon Oberson, Sara Prints, Calvin Klein
Aromi e spezie: MATA, Deco-Swiss, Israel Dehydration Co. Ltd.
Bevande: Askalon, Latroun, National Brewery Ltd., Carmel, Eliaz Benjamina
Ltd., Montfort, Yarden Vineyards, International Distilleries of Israel
Ltd. (Sabra), Gamla, Hebroni
Budini: OSEM, MATA, Israel Edible Products Ltd. -Telma
Cipolle: Beit Hashita, Carmit, Sunfrost
Formaggi: Kfir Bnei-Brak Dairy Ltd., Tnuva, Central Co-op, MATA, Haolam
Frutta: Assis Ltd., Carmel Medijuice, NOON, PRI-TAIM, Agrexco USA Ltd.,
Yakhin, PRI-ZE, FIT (Federation of Israel Canners), Jaffy's Citrus
Products
Prodotti a base di pomodoro: FIT, Medijuice, Pardess, Yakhin, VITA
Prodotti dolciari (caramelle e noccioline): Carmit, Elite, Geva, Rimon,
Karina, Lieber, Oppenheimer, OSEM, Taste of Israel, Israel Edible
Products - Telma
Olive: Beit Hashita, H&S Private Label, Shan Olives Ltd. (Hazayith)
Marmellate, conserve, sciroppi, miele e frutta candita: Assis Ltd., I&B
Farm Products, Meshek Industries (Beit Yitshak 778) Ltd., VITA
Pesce: Noon, Yonah, Carmel, Ask retailer/frozen fillets
Prodotti a base di tacchino: Hod Lavan, Soglowek, Yarden, Ask retailer/butcher/Deli
Prodotti dietetici: Elite, Froumine, OSEM, Israel Edible Products - Telma, Kedem, Afifit Ltd., Magdaniat Hadar Ltd., Tivon
Prodotti di forneria: Affifit Ltd., Barth, Elite, Einat, Froumine, Hadar, Israel Edible Products - Telma, Magdaniat Hadar Ltd., OSEM, Taste of Israel

Prodotti vegetali:
Yakhin, PRI-TAIM, PRI-ZE Growers/MOPAZ, Sanlakol, Carmelit Portnoy, Tapud, Sun Frost
Salse per pizza: Jaffa-Mor, VITA, H&S Private Label, MATA
Zuppe, salse e dadi: Israel Edible Products Ltd. - Telma, OSEM, MATA, Gourmet Cuisine

Software e componenti per computer: Four M, Cimatron, Eliashim Micro Computers, Sintel, Ramir (Adacom), Rad, Orbotech, Shatek, Scitex, 4th Dimension Software Ltd., magic Software, 32-bit

Condannare le «due parti»: peggio degli assassini!

di Michel Warschawski*

Barak, Olmert, Livni e Ashkenazi un giorno dovranno rispondere di crimini di guerra davanti a una corte di giustizia, come altri criminali. Di conseguenza, è nostro dovere informare sui loro atti e dichiarazioni per essere sicuri che paghino per i massacri che hanno ordinato e commesso.
Ma un’altra categoria di criminali potrebbe sfuggire ai tribunali. Questi non si sporcano le mani del sangue dei civili, ma forniscono le giustificazioni intellettuali e pseudo morali agli assassini. Formano l’unità di propaganda del governo e dell’esercito di assassini.
Gli scrittori israeliani Amos Oz e A. B. Yehoshua sono gli esempi tipici di simili miserabili intellettuali, e non è la prima volta! Ad ogni guerra si offrono volontari nello sforzo militare israeliano, senza neanche l’arruolamento ufficiale. Il loro primo compito è quello di fornire delle giustificazioni all’offensiva israeliana, poi, in un secondo tempo, piangono la verginità perduta e accusano il campo avverso di averci costretto ad essere brutali.
La giustificazione fornita da Oz sul Corriere della Sera e da Yehoshua su La Stampa è chiaramente di dover reagire ai missili su Sderot, come su tutto fosse iniziato con questi missili: «Ho dovuto spiegare agli italiani – scrive Yehoshua su Haaretz del 30 dicembre 2008 – perché l’azione israeliana era necessaria…»
Yehoshua e Oz hanno dimenticato i 19 mesi di brutale assedio israeliano imposto a un milione e mezzo di esseri umani, privandoli delle forniture più elementari. Hanno dimenticato il boicottaggio israeliano e internazionale verso il governo palestinese democraticamente eletto. Hanno dimenticato l’isolamento forzata tra Gaza e la Cisgiordania, separazione imposta per isolare e punire la popolazione di Gaza per la sua scelta democratica scorretta.
Dopo aver scelto di riscrivere la cronologia degli eventi, Oz e Yehoshua usano l’argomento della simmetria: la violenza è usata dalle due parti e risono vittime innocenti a Gaza come in Israele. In effetti, ogni civile ucciso è una vittima innocente. Allo stesso tempo, la cronologia e i numeri non sono fuori luogo: 3 civili israeliani sono stati uccisi nel sud di Israele, ma solo dopo che l’aviazione israeliana aveva messo in atto il massacro pianificato nel centro della città di Gaza, ammazzandone oltre 300.
Questa posizione degli intellettuali più noti di Israele serve da giustificazione morale al sostegno che il partito della sinistra sionista Meretz offre all’aggressione criminale del ministro della difesa Barak. A tempo debito anche Meretz esprimerà la sua opposizione alle uccisioni, ossia quando la comunità internazionale esprimerà la propria preoccupazione per le colpe di Israele. Per il momento questa comunità internazionale resta silenziosa e sembra anche felice del contributo israeliano alla propria santa crociata contro la minaccia islamica globale.
Per dimostrare preoccupazione, l’Europa invia un’assistenza sanitaria (simbolica) alla popolazione di Gaza. Sentendo il ministro degli Esteri francese, Bernard Kouchner sostenere l’azione israeliana, mentre annuncia la decisione di inviare generi umanitari a Gaza, non ho potuto fare a meno di ricordare le informazioni sulle delegazioni della Croce Rossa Internazionale che avevano visitato i campi di sterminio nazisti con cioccolata e biscotti. So che non è la stessa cosa, ma nessuno può determinare le associazioni mentali.
Bernard Kouchner ha comunque una circostanza attenuante: i regimi arabi, in particolare quello di Hosni Mubarak, sostengono l’aggressione israeliana. E anch’essi manderanno cioccolato e biscotti ai bambini di Gaza, salvo, ovviamente, a quelli che giacciono morti all’ospedale di Shifa.

*Alternative Information Center – Beit Sahour/Gerusalemme

31 dicembre 2008

La lotta paga

Nel pomeriggio del 23 dicembre è stato revocato il provvedimento con cui il PM lo scorso 9 dicembre aveva decretato il sequestro dell’intera area in concessione alla Coop. Cantieri Navali Megaride, consentendo la riapertura del cantiere.

Il GIP, rendendosi conto dell’assurdità delle accuse mosse a Megaride (a detta del PM non vi sarebbe stato un corretto stoccaggio di alcune tonnellate di lamiere provenienti dalla recente demolizione di navi), non ha potuto non prendere atto della tendenziosità delle suddette accuse, anche a fronte dell’ingente documentazione testimoniale e fotografica presentata dalla difesa.

Ancora una volta la lotta dei lavoratori ha pagato: i lavoratori della Cooperativa Megaride con la loro denuncia hanno messo a nudo questo ennesimo tentativo di boicottaggio da parte dei poteri forti nei confronti di chi si autorganizza e produce fuori dalle logiche del profitto.

La sentenza del GIP è significativa in quanto rende ancora più palese la faziosità e l’arroganza di alcune autorità del porto di Napoli, da sempre serve degli interessi di quegli speculatori e affaristi che anche nel Porto hanno interesse a monopolizzare l’intera attività produttiva.

Anche su questa vicenda la sinistra “istituzionale” che governa (non si sa ancora per quanto) città, provincia e regione, si è tenuta alla larga dal denunciare le malefatte dei poteri forti, con cui evidentemente essa è collusa: ciò conferma ancora una volta come i lavoratori e i proletari per far valere i propri diritti debbano “fare in proprio”.


Napoli, 23-12-2008