lunedì 26 luglio 2010

Dal libro “Terroni” di Pino Aprile (Edizioni Piemme, 2010)

Io non sapevo che i piemontesi fecero al Sud quello che i nazisti fecero a Marzabotto. Ma tante volte, per anni.

E cancellarono per sempre molti paesi, in operazioni “anti-terrorismo”, come i marines in Iraq.

Non sapevo che, nelle rappresaglie, si concessero libertà di stupro sulle donne meridionali, come nei Balcani, durante il conflitto etnico; o come i marocchini delle truppe francesi, in Ciociaria, nell’invasione, da Sud, per redimere l’Italia dal fascismo (ogni volta che viene liberato, il Mezzogiorno ci rimette qualcosa).

Ignoravo che, in nome dell’Unità nazionale, i fratelli d’Italia ebbero pure diritto di saccheggio delle città meridionali, come i Lanzichenecchi a Roma.

E che praticarono la tortura, come i marines ad Abu Ghraib, i francesi in Algeria, Pinochet in Cile. Non sapevo che in Parlamento, a Torino, un deputato ex garibaldino paragonò la ferocia e le stragi piemontesi al Sud a quelle di «Tamerlano, Gengis Khan e Attila».

Un altro preferì tacere «rivelazioni di cui l’Europa potrebbe inorridire».

E Garibaldi parlò di «cose da cloaca». Né che si incarcerarono i meridionali senza accusa, senza processo e senza condanna, come è accaduto con gl’islamici a Guantánamo. Lì qualche centinaio, terroristi per definizione, perché musulmani; da noi centinaia di migliaia, briganti per definizione, perché meridionali. E, se bambini, briganti precoci; se donne, brigantesse o mogli, figlie, di briganti; o consanguinei di briganti (sino al terzo grado di parentela); o persino solo paesani o sospetti tali. Tutto a norma di legge, si capisce, come in Sudafrica, con l’apartheid.

Io credevo che i briganti fossero proprio briganti, non anche ex soldati borbonici e patrioti alla guerriglia per difendere il proprio paese invaso.

Non sapevo che il paesaggio del Sud divenne come quello del Kosovo, con fucilazioni in massa, fosse comuni, paesi che bruciavano sulle colline e colonne di decine di migliaia di profughi in marcia.

Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin.

Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.

Né sapevo che i fratelli d’Italia arrivati dal Nord svuotarono le ricche banche meridionali, regge, musei, case private (rubando persino le posate), per pagare i debiti del Piemonte e costituire immensi patrimoni privati.

E mai avrei immaginato che i Mille fossero quasi tutti avanzi di galera.

Non sapevo che, a Italia così unificata, imposero una tassa aggiuntiva ai meridionali, per pagare le spese della guerra di conquista del Sud, fatta senza nemmeno dichiararla.

Ignoravo che l’occupazione del Regno delle Due Sicilie fosse stata decisa, progettata, protetta da Inghilterra e Francia, e parzialmente finanziata dalla massoneria (detto da Garibaldi, sino al gran maestro Armando Corona, nel 1988).

Né sapevo che il Regno delle Due Sicilie fosse, fino al momento dell’aggressione, uno dei paesi più industrializzati del mondo (terzo, dopo Inghilterra e Francia, prima di essere invaso).

E non c’era la “burocrazia borbonica”, intesa quale caotica e inefficiente: lo specialista inviato da Cavour nelle Due Sicilie, per rimettervi ordine, riferì di un «mirabile organismo finanziario» e propose di copiarla, in una relazione che è «una lode sincera e continua». Mentre «il modello che presiede alla nostra amministrazione», dal 1861, «è quello franco-napoleonico, la cui versione sabauda è stata modulata dall’unità in avanti in adesione a una miriade di pressioni localistiche e corporative» (Marco Meriggi, Breve storia dell’Italia settentrionale).

Ignoravo che lo stato unitario tassò ferocemente i milioni di disperati meridionali che emigravano in America, per assistere economicamente gli armatori delle navi che li trasportavano e i settentrionali che andavano a “far la stagione”, per qualche mese in Svizzera.

Non potevo immaginare che l’Italia unita facesse pagare più tasse a chi stentava e moriva di malaria nelle caverne dei Sassi di Matera, rispetto ai proprietari delle ville sul lago di Como.

Avevo già esperienza delle ferrovie peggiori al Sud che al Nord, ma non che, alle soglie del 2000, col resto d’Italia percorso da treni ad alta velocità, il Mezzogiorno avesse quasi mille chilometri di ferrovia in meno che prima della Seconda guerra mondiale (7.958 contro 8.871), quasi sempre ancora a binario unico e con gran parte della rete non elettrificata.

Come potevo immaginare che stessimo così male, nell’inferno dei Borbone, che per obbligarci a entrare nel paradiso portatoci dai piemontesi ci vollero orribili rappresaglie, stragi, una dozzina di anni di combattimenti, leggi speciali, stati d’assedio, lager? E che, quando riuscirono a farci smettere di preferire la morte al loro paradiso, scegliemmo piuttosto di emigrare a milioni (e non era mai successo)? Ignoravo che avrei dovuto studiare il francese, per apprendere di essere italiano: «Le Royaume d’Italie est aujourd’hui un fait» annunciò Cavour al Senato. «Le Roi notre auguste Souverain prend pour lui-même et pour ses successeurs le titre de Roi d’Italie.»

Credevo al Giosue Carducci delle Letture del Risorgimento italiano: «Né mai unità di nazione fu fatta per aspirazione di più grandi e pure intelligenze, né con sacrifici di più nobili e sante anime, né con maggior libero consentimento di tutte le parti sane del popolo». Affermazione riportata in apertura del libro (Il Risorgimento italiano) distribuito gratuitamente dai Centri di Lettura e Informazione a cura del ministero della Pubblica Istruzione Direzione Generale per l’Educazione Popolare, dal 1964. Il curatore, Alberto M. Ghisalberti, avverte che, «a un secolo di distanza (…), la revisione critica operata dagli storici possa suggerire interpretazioni diversamente meditate (…) della più complessa realtà del “libero consentimento” al quale si riferisce il poeta». Chi sa, capisce; chi non sa, continua a non capire.

Scoprirò poi che Carducci, privatamente, scriveva: «A Lei pare una bella cosa questa Italia?»; tanto che, per lui, evitare di parlarne «può anche essere opera di carità». (Storia d’Italia, Einaudi).

Io avevo sempre creduto ai libri di storia, alla leggenda di Garibaldi.

Non sapevo nemmeno di essere meridionale, nel senso che non avevo mai attribuito alcun valore, positivo o negativo, al fatto di essere nato più a Sud o più a Nord di un altro. Mi ritenevo solo fortunato a essere nato italiano. E fra gl’italiani più fortunati, perché vivevo sul mare.

A mano a mano che scoprivo queste cose, ne parlavo. Io stupito; gli ascoltatori increduli. Poi, io furioso; gli ascoltatori seccati: esagerazioni, invenzioni e, se vere, cose vecchie. E mi accorsi che diventavo meridionale, perché, stupidamente, maturavo orgoglio per la geografia di cui, altrettanto stupidamente, Bossi e complici volevano che mi vergognassi.

Loro che usano “italiano” come un insulto e abitano la parte della penisola che fu denominata “Italia”, quando Roma riorganizzò l’impero (quella meridionale venne chiamata “Apulia”, dal nome della mia regione. Ma la prima “Italia” della storia fu un pezzo di Calabria sul Tirreno).

Si è scritto tanto sul Sud, ma non sembra sia servito a molto, perché «ogni battaglia contro pregiudizi universalmente condivisi è una battaglia persa» dice Nicholas Humphrey (Una storia della mente). «Perché non riprendi una delle tante pubblicazioni meridionaliste di venti, trent’anni fa, e la ristampi tale e quale? Chi si accorgerebbe che del tempo è passato, inutilmente?» suggeriva ottant’anni fa a Piero Gobetti, Tommaso Fiore che poi, per fortuna, scrisse Un popolo di formiche. E oggi, un economista indomito, Gianfranco Viesti (Abolire il Mezzogiorno), allarga le braccia: «Parlare di Mezzogiorno significa parlare del già detto, e del già fallito».

Perché tale stato di cose è utile alla parte più forte del paese, anche se si presenta con due nomi diversi: “Questione meridionale”, ovvero dell’aspirazione del Sud a uscire dalla subalternità impostagli; e “Questione settentrionale”, di recente conio, ovvero della volontà del Nord di mantenere la subalternità del Sud e il redditizio vantaggio di potere conquistato con le armi e una legislazione squilibrata.

Dopo centocinquant’anni, questo sistema rischia di spezzare il paese. Si sa; e si finge di non saperlo, perché troppi sono gl’interessi che se ne nutrono.

Così, accade che la verità venga scritta, ma non sia letta; e se letta, non creduta; e se creduta, non presa in considerazione; e se presa in considerazione, non tanto da cambiare i comportamenti, da indurre ad agire “di conseguenza”.

venerdì 16 luglio 2010

Appello Comunisti Uniti

L’appello “Comunisti Uniti” nasce con l’intento di ricomporre i comunisti sparsi nel territorio nazionale (e quindi anche per la nostra piccola provincia dimenticata da tutti) per dare avvio ad una nuova fase di rilancio e , appunto, di ricomposizione di tutte le forze comuniste che si riconoscono come tali. L’appello “Comuniste e comunisti cominciamo da noi”, che ha dato vita all’esperienza di Comunisti Uniti, era stato pubblicato sui principali quotidiani nazionali il 17 aprile 2008, all’indomani della sconfitta elettorale dell’arcobaleno, che per la prima volta aveva cancellato la presenza dei comunisti nel parlamento italiano, e rilanciato di nuovo negli ultimi mesi. Non cerchiamo scorciatoie organizzativistiche e rifiutiamo la contrapposizione “tutti fuori” o “tutti dentro” il PRC e il PdCI. Crediamo però che sia urgente costruire un cambiamento di rotta, a partire dall’apertura di sedi di dibattito e di iniziativa e dai loro meccanismi di funzionamento. Non chiediamo perciò a nessuno di uscire dai nostri rispettivi partiti o da altre organizzazioni, coordinamenti o federazioni ma ci rivolgiamo a tutti i comunisti e alle comuniste per costruire insieme un collegamento dal basso sui territori, prendendo consapevolezza che quanto oggi esiste non è sufficiente per rilanciare il nostro ruolo e per ricostruire un’organizzazione unitaria ed efficace. Servono intenti comuni e piattaforme condivise da cui ripartire e su cui organizzarci: di fronte alla crisi, abbiamo bisogno di costruire una strada per un’alternativa di sistema e non di mero “governo” delle cose presenti. Per questo compito immane non serve allora un ennesimo partitino ma è necessario andare tutti insieme verso la ricostruzione di un solo Partito, che sia Comunista, radicato nella società ed efficace nella lotta politica. Con questa nostra lettera intendiamo perciò rilanciare il progetto dei Comunisti Uniti anche nella nostra provincia, dove siamo già in tanti ad avervi aderito, per dotarci di uno strumento efficace nella lotta di classe e per il superamento della frammentazione. Costruiremo i Comunisti Uniti come un luogo di dibattito e di iniziativa politica condivisa, una Casa Comune che abbia una sua autonomia di analisi e di proposta e sia capace di parlare a tutti i comunisti e alle comuniste indipendentemente dalla loro collocazione. Come un movimento trasversale, i Comunisti Uniti comprenderanno allo stesso titolo compagni del PRC, del PdCI, delle altre organizzazioni e quelli privi di appartenenza, sforzandosi di unire tutti quei compagni che, anche da prospettive diverse, si riconoscano in alcune semplici priorità: Nonostante alle elezioni europee abbiamo assistito alla prima creazione di una lista comunista e anticapitalista, utilizzata anche alle ultime elezioni regionali, che si poneva come alternativa al Pd, questo non ci ha consentito di ottenere una rappresentanza in seno al Parlamento Europeo, secondo noi per le troppe lacerazioni interne in seno alle varie forze politiche che hanno consentito di comporre la suddetta lista. Per questo motivo ci rivolgiamo a tutti i comunisti sparsi per la nostra provincia di aderire all'appello Comunisti Uniti, per superare tutte le divisioni, per costruire una sinistra forte attorno a un solo Partito Comunista. Senza unità dei comunisti non c'è unità della sinistra. L’Unità dei Comunisti appartiene a voi, donne e uomini liberi, che volete far di nuovo sentire la vostra voce in questa provincia dove ancora, nel 2010, si emigra.

Nicola Iozzo (Coordinatore PdCI Vibo Valentia) responsabile regionale Comunisti Uniti

Alessandro De Padova (Coordinamento prov. Giovani Comunisti PRC VV) responsabile regionale Comunisti Uniti

sabato 10 luglio 2010

Solidarietà a Pietro Comito

Il Partito dei Comunisti Italiani esprime la più viva solidarietà e vicinanza al giornalista di Calabria Ora Pietro Comito. Questi atti intimidatori dimostrano, per chi ancora non l'avesse capito, che la stampa libera fa paura ma sappiamo bene che nessuno riuscirà a bloccare e zittire le voci libere di questo lembo terra.
Il Parito dei Comunisti Italiani è dalla parte dei cittadini onesti e non sopporta, e non vorrà mai sopportare, chi con la violenza e l'arroganza cerca di imporre la propria legge e la sua "voce del silenzio e dell'omertà".

Iozzo Nicola
coordinatore PdCI

domenica 4 luglio 2010

Bentornata Radio Londra

La stampa italiana si è sempre contraddistinta per la varietà di testate giornalistiche presenti, tali da soddisfare i più disparati orientamenti di pensiero. Tutto ciò non può che essere un bene per quello che, almeno sulla Carta, è uno Stato democratico. La libertà di informazione, il pluralismo sono pilastri fondanti la democrazia, segnano la differenza tra democrazia ed autoritarismo, tra un’opinione pubblica che decide liberamente come informarsi ( e di conseguenza formarsi ) e la verità di regime. O ancora, tra cittadini e sudditi. Perché è questo ciò che contraddistingue la cittadinanza dalla sudditanza. Il cittadino è colui che si informa e che perciò è in grado di avere uno sguardo critico sulla società nella quale è immerso; ciò gli permette di essere cosciente di ciò che accade attorno a lui, di indignarsi per le ingiustizie e, di conseguenza di partecipare, con la forza delle proprie idee che la libera stampa ha contribuito a formare, alla vita sociale, politica e culturale del paese. Il suddito no. Egli preferisce sentirsi rassicurato dalla disinformazione di regime che puntualmente all’ora di cena gli sviscera dagli schermi della sua tv al plasma un’enorme quantità di menzogne, atte a tenerlo buono buono, rilassato sul suo divano in pelle, passivo. Il suddito non sa che c’è la crisi economia, non sa che la pagherà lui, non sa che si sta cercando di impedire alla magistratura di fare il suo dovere imponendo pesanti limitazioni alle intercettazioni, non sa che il 30% dei giovani è disoccupato, non sa che all’Aquila ancora c’è gente nelle tende e tra le macerie che ancora non sono state tolte. E potremmo continuare all’infinito. Purtroppo la maggior parte degli italiani non legge i giornali, non si informa su internet. La loro unica fonte di (dis)informazione sono i telegiornali che, a parte la lodevole eccezione del tg3, sono filogovernativi. E come se non bastasse la stampa libera italiana è minacciata dal ddl Alfano sulle intercettazioni che non solo pone delle forti limitazioni allo strumento più efficace ed essenziale nella lotta al crimine organizzato ma impedisce di fatto la libera circolazione delle notizie sulla carta stampata. Anzitutto, i giornalisti non potranno più pubblicare gli atti delle inchieste in versione integrale fino al termine dell’udienza preliminare, ma solo per riassunto. Le trascrizioni delle telefonate, invece, non si potranno più pubblicare in versione integrale e tantomeno per riassunto,fino al processo. Per non parlare delle multe salatissime agli editori che si troveranno costretti a fare pressioni per non far pubblicare determinate notizie scomode. Se la legge fosse già in vigore non avremmo saputo della “cricca”, della casa di Scajola, delle infiltrazioni negli appalti per la ricostruzione de l’Aquila, del caso-D’Addario ecc. I giornalisti sostenuti dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana sono pronti alla disobbedienza civile e a fare ricorso alla Corte di Strasburgo qualora il ddl passasse alla Camera, visto il già incassato voto di fiducia del Senato. Numerose sono le iniziative per eludere ed arginare questa legge autoritaria: dalla creazione di siti web di controinformazione fino al riprendere notizie successe in Italia e pubblicate da giornali stranieri. Un po’ come succedeva, con altri mezzi, durante la Resistenza da parte degli antifascisti rifugiati all’estero. Bentornata Radio Londra.

Salvatore Schinello

FGCI - Vibo Valentia

TRIPODI REPLICA AD ORSOMARSO, PRENDE LUCCIOLE PER LANTERNE! AL COMUNE DI REGGIO APERTA QUESTIONE MORALE GRANDE QUANTO UN MACIGNO

Dei gusti e anche della capacità di comprendonio non si può discutere. E, infatti, non discuto affatto la vaporosa affermazione del vice capogruppo vicario del PdL al Consiglio Regionale della Calabria Fausto Orsomarso, che annuncia la “rinascita della Calabria, inaugurata da Giuseppe Scopelliti”. Ma discuto, e come, nonostante la navigazione senza bussola del nostro contraddittore, la tesi secondo cui avrei chiesto lo scioglimento del Consiglio regionale.
E quando mai? Orsomarso prende lucciole per lanterne!
Semmai, e giustamente, ho chiesto lo scioglimento del Consiglio comunale di Reggio Calabria, alla luce dei fatti gravissimi e scandalosi che emergono dall'inchiesta giudiziaria denominata “Operazione Meta” - che ritengo di grande spessore e di grande valore, condotta brillantemente dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e dai carabinieri del Ros - che apre uno spaccato inquietante sulla vita cittadina al punto da poter affermare con decisione che il Comune di Reggio è una vera e propria melma. Senza dimenticare che già altre importanti iniziative giudiziarie di questi anni, come l'arresto del consigliere comunale di Alleanza Nazionale Labate, avevano già messo in evidenza la situazione torbida e puzzolente che esiste nel comune di Reggio Calabria.
La mia richiesta, peraltro, è stata ben compresa dagli esponenti reggini del PdL a tal punto che abbiamo potuto registrare reazioni assai scomposte, segno di un pesante nervosismo che si sta facendo strada nel file della destra reggina.
Solo Orsomarso, insomma, non ha capito che ho chiesto lo scioglimento del Consiglio Comunale di Reggio Calabria.
Ma non c’è solo questo errore di fatto nell’iroso attacco di Orsomarso, che predica il confronto evangelico e, al tempo stesso, lancia contro di me improperi, e mi qualifica come chi “vuole mestare nel torbido” e “seminare zizzanie”. C’è che il vice capogruppo vicario del Pdl al Consiglio Regionale della Calabria, con mossa decisamente prepotente, si erge a gran corte di Cassazione e assicura, a inchiesta giudiziaria aperta, che “non c’è alcun elemento giudiziario che riguardi i nostri amministratori, per come emerge nell’ordinanza della magistratura”. Di quale ordinanza della magistratura parli Fausto Orsomarso davvero non sappiamo e non abbiamo curiosità di sapere. Con uno che legge e non capisce quel che legge non è possibile discutere. Tanto più con uno che scambia la propria immaginazione con la realtà.
Infine, voglio ricordare che nella mia nota sull'operazione Meta, non mi sono richiamato ad alcun provvedimento giudiziario né l'ho richiesto. Mi sono solo limitato a prendere atto che a Reggio è ormai aperta una questione etica e morale grande quanto un macigno a cui la politica, quella con la p maiuscola, ha il dovere di dare le risposte che i cittadini attendono per impedire che la città di Reggio Calabria sprofondi definitivamente in una condizione di malaffare, di degrado, di corruzione e di illegalità nella quale sono cancellati i diritti di tutti e il futuro della città rischia di essere condizionato da un sistema di potere espressione dell'intreccio tra 'ndrangheta, massoneria deviata, politica e affari.

Reggio Calabria, 20 giugno 2010
Michelangelo Tripodi
Segretario Regionale PdCI Calabria

OPERAZIONE META, IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PDCI TRIPODI CHIEDE LO SCIOGLIMENTO DEL CONSIGLIO COMUNALE DI REGGIO CALABRIA

COMUNICATO STAMPA

Nelle diverse reazioni di esponenti del pdl e della destra sulla brillante operazione giudiziaria denominata “META” condotta con successo dalla Procura Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria e dal Ros dei Carabinieri, c’è sempre un comune denominatore che colpisce : viene apprezzato il lavoro investigativo della Procura ma contemporaneamente si comunica che non c’è alcun avviso di garanzia nei confronti dell’ex Sindaco ed attuale Presidente della Regione Giuseppe Scopelliti. In effetti appare evidente che queste numerose dichiarazioni siano state fatte solo allo scopo di annunciare “urbi et orbi” che Scopelliti non è indagato, anche se non bisognerebbe mai dimenticarsi la famosa locuzione latina “excusatio non petita, accusatio manifesta”. A parte il fatto che costoro non spiegano come mai in questa come in altre recenti clamorose operazioni giudiziarie siano numerosi i sindaci, amministratori, consiglieri comunali e circoscrizionali della destra coinvolti e raggiunti anche da provvedimenti di custodia cautelare.
Ma quello che sta emergendo dal provvedimento della Procura è ancora più grave ed inquietante dell’emanazione di un mero avviso di garanzia a chicchessia.
Per la prima volta, dopo le tantissime denunce politiche che noi abbiamo fatto in questi anni, viene alla luce in modo chiaro e netto un sistema di potere e di governo della cosa pubblica (fino ad oggi il Comune di Reggio, ma domani tutto questo potrebbe investire l’intera Regione Calabria?) profondamente corrotto e degradato, che ha dissestato il comune e lo ha trasformato nell’orticello privato di un gruppo di potere assai vasto ed articolato che lo ha gestito a piacimento con mezzi leciti e, molto spesso, illeciti ed illegittimi. Il comune è diventato una vera e propria melma. Questo è il tanto decantato “Modello Reggio” che adesso vorrebbero estendere a tutta la regione.
Questo sistema si è impadronito della città di Reggio Calabria e della sua massima istituzione elettiva dando vita ad un formidabile intreccio politica – massoneria deviata - ndrangheta – affari, che fa tutt’uno con un sottobosco cittadino che vive nei gangli fondamentali del potere comunale in cui dominano faccendieri, affaristi, mazzettisti, imprenditori senza scrupoli, professionisti collusi e invischiati, burocrati asserviti, politici legati alle cosche, prestanome insospettabili, boss e affiliati.
Del resto l’arresto dell’ex consigliere comunale di alleanza nazionale, il poliziotto Labate, si poteva già considerare come la punta dell’iceberg di una situazione fortemente compromessa e condizionata dalle cosche della ndrangheta che spadroneggiano nella città in tutti i campi e che decidono i candidati e gli eletti, umiliando, in ogni modo e con ogni mezzo, noi e tutti quelli che non intendono piegarsi.
Al di là degli avvisi di garanzia che non ci sono stati, si pone, quindi, un’enorme questione etica e morale che non si risolve e non si affronta solo in sede giudiziaria, ma riguarda la città, la sua coscienza pubblica e collettiva, il suo bisogno di ritrovare la via della legalità e della trasparenza, il suo rifiuto netto e categorico di una trasformazione del comune, inteso come casa di tutti, nel palazzo degli affari e degli imbrogli per pochi, la sua volontà di aprire una nuova fase della sua vita.
E’ davvero normale quello che è avvenuto in questi anni nel comune e di cui l’operazione Meta rappresenta uno spacccato o il “modello Reggio” della destra di Scopelliti non è invece il punto più basso di caduta verticale della legalità, della trasparenza, del diritto e della democrazia quale mai si era stato toccato a Reggio, ancora peggio della stagione di tangentopoli.
Obbligo della politica è dare queste risposte. Per parte nostra cerchiamo di presentare una proposta credibile ed alternativa capace di cambiare radicalmente questa condizione. Riteniamo che questo sia il modo migliore per sostenere concretamente l’azione della magistratura e delle forze dell’ordine affinché vadano avanti indagini e processi e vengano individuati e colpiti i responsabili politici e mafiosi di questo sistema che ha ridotto la città in terreno di conquista e di dominio, in cui perfino il pane diventa affare della ndrangheta.
Quello che sta venendo fuori ci interroga tutti e ci pone la necessità di avere uno scatto di orgoglio e di dignità per rovesciare una situazione puzzolente e torbida in cui gli interessi comuni e generali sono stati totalmente cancellati e tutto è stato piegato alle logiche ndranghetistiche, affaristiche e clientelari dalle assunzioni nel comune e nelle società miste alle forniture, dagli appalti, alla manutenzione, ai contributi alle associazioni, alle nomine, ecc.
Del resto non ci vorrebbe poi tanto, basterebbe solo ricordarsi qualche volta che questa città nel suo recente passato, dopo gli anni della “città dolente” che sembrano tornati di moda, ha conosciuto un sindaco eccezionale come Italo Falcomatà e una stagione indimenticabile che è stata chiamata “la primavera di Reggio”.
Ciò significa che la prima cosa fare, nel prendere atto che il Comune è diventato una melma, è lo scioglimento del Consiglio Comunale, azzerando una classe dirigente che sta portando Reggio alla rovina.

Reggio Calabria, 26.6.2010
MICHELANGELO TRIPODI
SEGRETARIO REGIONALE PdCI