lunedì 30 agosto 2010

LA SCUOLA “AD ESAURIMENTO”

Quello della scuola, in Italia, è da sempre un argomento molto “caldo”: vi si intrecciano aspetti molto complessi e fondamentali per la vita del Paese intero. Come per ogni altro ambito dei servizi pubblici, parlare di scuola implica sia un approccio “politico”, per quanto riguarda la visione dell’istruzione in un progetto complessivo, sia un approccio più specificamente sindacale, per quanto riguarda l’aspetto del lavoro.
Da questo secondo aspetto vorrei iniziare, non perché sia meno importante, ma perché mentre il lavoro nella scuola pubblica interessa “solo” poche centinaia di migliaia di donne e di uomini, esperti ed altamente specializzati, la scuola pubblica nel suo complesso rappresenta una delle risorse fondamentali per l’intero Paese, per il suo futuro.

La riforma Gelmini (ma sarebbe più appropriato chiamarla de-forma), insieme ai più recenti provvedimenti inseriti nelle finanziarie del governo Berlusconi e dopo gli interventi di diversa natura dei governi precedenti, rappresenta l’attacco finale, da parte del capitale, all’istruzione pubblica, libera, democratica, gratuita, di qualità per tutti.
Nell’arco di 3 anni la scuola pubblica (e parliamo solo di scuola, da quella dell’infanzia alla secondaria superiore, esclusa l’istruzione professionale e l’università) sarà derubata di 8 miliardi di euro e circa 140.000 precari perderanno il posto di lavoro. Come? 1) Innalzamento degli alunni per classe: per formare una classe ci vuole un minimo di alunni più alto rispetto a prima, con la conseguenza che se questo minimo non si raggiunge, la classe non si forma, gli alunni vengono sparpagliati in altre classi, gli insegnanti perdono ore settimanali e intere cattedre, e anche gli assistenti tecnico-amministrativi, calcolati in base al numero di classi di un istituto scolastico, vanno in esubero. 2) Blocco del turn-over: se ad ogni pensionamento corrispondesse un’assunzione a tempo indeterminato, il male sarebbe minore. Peccato che il Ministero autorizzi, rispetto ai pensionamenti e quindi ai posti vacanti, solo un 10% circa di immissioni in ruolo, lasciando il resto ai perdenti posto e le briciole ai contratti a tempo determinato. Queste le misure più gravi che comportano, per es., solo per la Calabria e solo per l’anno scolastico 2010-2011, la perdita di circa 2300 posti di lavoro. Tanto per dare un’idea, gli operai FIAT a rischio licenziamento a Termini Imerese sono 1600!!! Tutto questo a fronte di una situazione sindacale che vede i confederali divisi tra gli“accondiscendenti” CISL e UIL e la CGIL che cerca di ritrovare l’unità spezzata dal tradimento di Bonanni e Angeletti coinvolgendo i lavoratori delusi e i precari disorganizzati. Questi ultimi persi nella selva di sigle che spesso sono più lunghe delle liste degli stessi aderenti, dei sindacati autonomi, risoluti e combattivi, ma sempre inconcludenti, e soprattutto dati in pasto a pseudo sindacalisti senza scrupolo che promuovono ricorsi su ricorsi e si arricchiscono sulle spalle dei disperati. I precari, appunto: migliaia di donne e di uomini, giovani, ma in molti casi anche di mezza età che lavorano da anni nella scuola, garantendo professionalità, impegno e dedizione, nonostante i continui saccheggi governativi alle risorse degli istituti, nonostante il fango gettato dal Brunetta di turno, nonostante la declassazione sociale, nonostante l’oggettiva difficoltà di lavorare in condizioni disagiatissime… Una classe, meglio: una sottoclasse sociale che ancora stenta a prendere coscienza di sé stessa. Perché disperata, da una parte, e in balia di profittatori senza scrupoli, dall’altra, che fanno leva sullo stato di bisogno dei lavoratori per metterli l’uno contro l’altro. All’orizzonte l’unica via credibile e seria è quella che sta mettendo in atto la FLC-CGIL con la costituzione di un Coordinamento dei Precari della Conoscenza unitario: staremo a vedere!

8.000.000.000 di euro, circa 140.000 lavoratori precari licenziati: queste le cifre impressionanti della gestione Gelmini al Ministero dell’Istruzione per il triennio 2009-2011!
Sulle spalle di chi studia e di chi lavora… La crisi economica è una, la principale forse, giustificazione di questa falcidia. Ebbene, mentre tutta l’Europa, mentre anche gli USA, proprio in periodo di crisi economica, investono di più nell’istruzione pubblica perché sanno bene quanto sia importante, per la stabilità e l’equilibrio sociale di un sistema/paese, l’Italia opera la più grande operazione di licenziamento mai vista nell’istruzione pubblica. A questo punto non è nemmeno più una questione di modelli economici contrapposti, il liberista e il comunista: si tratta di un non dichiarato, ma palese, attacco alla democrazia e alla libertà dell’insegnamento/apprendimento a favore del settore privato che, in questi anni, si è appropriato via via di fette sempre più grosse del “mercato” dell’istruzione dei nostri figli, dei nostri nipoti. Vorrei proporre alla vostra attenzione un brano d’autore: il giochino consiste non tanto nell’individuare l’autore, quanto piuttosto l’anno di pubblicazione.
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. […] ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. […] Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante […] (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. […] e comincia a favorire le scuole private. […] Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori - si dice - di quelle di Stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. […] Così […] il partito dominante [...] manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private. Attenzione, […] l’operazione si fa in tre modi: 1) rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. 2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico. Indovinato? Karl Marx nel 1848? Ernesto Guevara nel gennaio del 1959? Un volantino delle BR negli anni ’70? Sbagliato: queste cose le scriveva un signore, Piero Calamandrei, che comunista non era, bensì giurista, moderato, azionista, membro dell’Assemblea Costituente, nel 1950, quando al potere c’era la Democrazia Cristiana e cominciavano a nascere le scuole private, cattoliche naturalmente. Le cose sono cambiate da allora, ma è esattamente quello che sta succedendo oggi: alla pluralità delle idee si sostituisce il pensiero unico del berlusconismo, alla libertà di scelta si sovrappone l’asfissia della propaganda, la scuola pubblica viene tartassata e gradualmente azzerata a favore della scuola privata… Ora, è forse superfluo prefigurare lo scenario che potrebbe delinearsi da qui a qualche anno, ma proviamoci lo stesso: le scuole pubbliche, sempre più cadenti e squallide, sempre più dequalificate e ingestibili saranno frequentate dai figli di chi non potrà permettersi i costi della scuola privata e i titoli rilasciati saranno pressoché inutili nel mondo del lavoro che ricercherà direttamente dagli albi dei diplomati nelle scuole private più prestigiose. Un po’ quello che succede negli USA con le scuole pubbliche ghetto e le scuole private prestigiosissima culla dei rampolli della plutocrazia!

Tutto ciò che sta succedendo alla scuola, dunque, non riguarda solo chi perde il posto di lavoro, ma riguarda tutti noi: come comunisti non possiamo restare con le mani in mano a vedere lo scempio dei diritti per i quali hanno combattuto e sono morti i nostri padri. Dobbiamo fare qualcosa, ma cosa? Innanzitutto ritrovare l’unità: il capitale oggi, in Italia e in Europa, ha vita facile contro i lavoratori perché non è contrastato affatto: le sinistre sono impegnate a litigare al loro interno per accaparrarsi nicchie di potere. Un atteggiamento che non appartiene alla nostra storia e non deve appartenere al nostro futuro. Ritrovare l’unità, dunque, all’insegna dell’opposizione ferma al neocapitalismo imperante: la nostra storia ci insegna che non siamo una forza di governo, non possiamo gestire il potere in un sistema capitalistico e di mercato; semmai dovremmo rifondare quel sistema di contropotere che abbiamo creato nel dopoguerra e che si è trasformato in una lobby con lo scioglimento del PCI.

Giovanni De Sossi
(PdCI - Vibo Valentia)






(Finanz)iaria d’estate

Giorni fa me ne stavo in spiaggia, sotto l’ombrellone, a leggere un bel libro. Ad un certo punto dall’ombrellone vicino al mio sento gente discutere della tremontiana manovra economica da 25 miliardi. Questi, giustamente, si lamentavano del fatto che i loro stipendi da dipendenti pubblici verranno congelati per 4 anni, che facendo così non se ne uscirà più dalla crisi perché se tu congeli gli stipendi poi il lavoratore non consuma e se scendono i consumi di conseguenza scende la produzione di beni (che mica l’imprenditore è scemo da produrre più di quanto i consumatori chiedono) e che la disoccupazione arriverà a livelli mai visti. Non se ne uscirà. E pronunciavano il loro addolorato mea culpa per aver votato Berlusconi. Al che uno di loro esclama: “Era meglio la vecchia DC. Almeno li rubavano tutti ma almeno mangiavamo tutti!!”. Questa frase mi ha costretto a fare delle riflessioni.
Anzitutto che gli italiani si ribellano solo quando gli viene toccato lo stipendio o, perlomeno, qualcosa di loro proprietà e che prima li votano e poi si lamentano. Anzi prima li votano e poi se ne dissociano. Storicamente. Come col fascismo, quando prima della sua caduta erano tutti camerati e dopo la liberazione tutti antifascisti, come con la Prima Repubblica (dopo Tangentopoli non si trovava in giro nessuno che dicesse di aver votato DC o PSI, nemmeno a pagarlo). Succederà lo stesso con Berlusconi, ne sono certo.
L’altra riflessione è di natura economica. L’Italia ha il debito pubblico più alto al mondo dopo la Grecia. Se si è arrivati a questo punto è proprio a causa di decenni di governi scellerati targati garofano&scudo-crociato, nei quali la spesa pubblica era lo strumento principale per poter essere eletti e mantenere il potere. Il clientelarismo di quegli anni basato sullo “spendi e spandi” ha causato il buco di bilancio che il centrosinistra della scorsa breve legislatura stava tendando di colmare tramite un risanamento dei conti e la lotta all’evasione fiscale. Detto questo non si può negare la necessità e l’urgenza della manovra finanziaria ma non per questo non si devono criticarne i contenuti. Devo dedurre che il genio del neo-liberismo Tremonti non ha mai letto o studiato Keynes e le sue teorie (tanto care invece al prof. Prodi, che di economia se ne intende davvero tant’è che viene chiamato a fare lezioni nelle università di una grande potenza economica quel’è la Cina). Se le avesse studiate certamente capirebbe che i tagli indiscriminati e il congelamento degli stipendi non portano da nessuna parte. O meglio, potrà fare cassa nel breve periodo ma senza un disegno di sviluppo per il futuro dell’Italia, ma tutto ciò a Tremonti non interessa. In tutto il mondo, in tempi di crisi, si investe nella cultura, nella ricerca, nell’università, nella sanità, nelle infrastrutture, da noi solo tagli. Non se ne uscirà.
In conclusione si può affermare che il capitalismo, il mito del libero mercato capace di autoregolamentarsi sono crollati sotto i colpi di una crisi economica, figlia proprio di questa
scellerata visione dell’economia. E’ necessario che la deregolamentazione finisca, che lo Stato funga da supervisore all’interno dei vari processi economici, che l’economia stessa sia finalizzata alla pubblica utilità e non alla massimizzazione del profitto, che l’economia reale sovrasti l’economia finanziaria. Il capitalismo è un’economia ciclica che alterna fasi di benessere a fasi di crisi. Se non ci sarà una riforma strutturale dell’economia, se non pagherà la crisi chi l’ha causata non se ne uscirà. Nella finanziaria in questione non c’è traccia di tutto ciò. I manager delle banche continueranno a percepire le loro laute liquidazioni anche dopo aver mandato sul lastrico migliaia di famiglie di risparmiatori, gli speculatori continueranno a giocare in borsa, e le fasce più deboli della società continueranno a pagare per loro. E mi risuona in mente una frase di una persona a me cara:”E’ dai tempi di Gesù Cristo che paga sempre il giusto per il peccatore”.
Ecco, forse sarebbe il caso che si invertissero i ruoli.

Salvatore Schinello
(fgci - Vibo Valentia)

I mille volti della volpe

«Mussolini è stato il più grande statista del secolo... Ci sono fasi in cui la libertà non è tra i valori preminenti» Sono queste le dichiarazioni rilasciate da Gianfranco Fini nel giugno del 1994 durante una delle innumerevoli interviste che lo videro convintissimo delle sue idee,tuttavia,oggi siamo invece abituati a vedere in televisione un Gianfranco quasi pentito di ciò di cui era precedentemente convinto. Fini oggi è un uomo nuovo che difende i diritti degli immigrati,è contro gli estremismi di destra,lo abbiamo visto addirittura piangere in Israele le vittime della Shoah alla quale contribuì anche il più grande statista del secolo che,lo stesso Fini, in tale occasione,guarda caso,rinnegò facendo scoppiare numerose polemiche all’interno del suo stesso partito,fascista per tradizione, e la scissione di esponenti come Alessandra Mussolini…ora sarà per via della mia naturale diffidenza o della mia cattiveria nei confronti di chi ha indossato una camicia nera e siede o si è seduto alla destra del superman Silvio Berlusconi ma qualcosa non mi quadra,il neo paladino della giustizia non era lo stesso che ideò,assieme a re Umberto di Padania,leggi sull’immigrazione come la famosa legge Bossi-Fini? E la legge in questione non era la stessa che perseguitava i clandestini anzi che integrarli?Tutto questo mi confonde,specialmente dopo aver udito in Tv le dichiarazioni rilasciate dal leader di AN in cui affrontava il problema sull’immigrazione in maniera ferma e decisa parlando di Rispetto,ospitalità e integrazione per tutti coloro che vengono in Italia, e qui la domanda nasce spontanea,ma come può un politico tanto convinto di tali ideali sedere accanto allo xenofobo per eccellenza Umberto Bossi e all’intrallazzatore d’Arcore?Tutto questo non avrebbe senso immagino,ma potrebbe anche illuminare le nostre menti,aprire i nostri occhi e farci notare non è oro tutto ciò che luccica. Oggi stiamo vedendo infatti gli effetti di un governo che fondamentalmente non è mai stato così solido come voleva far credere alle masse,dopo anni di soprusi e leggi vergogna,finalmente,l’armata delle tenebre guidata da Silvio Berlusconi sta barcollando e rischia la venuta di una nuova tangentopoli, e nel frattempo Fini cosa fa?Rinnega il nuovo Duce,come fece nel 2003,condanna questo governo ladro di cui ha fatto parte e ora si è messo a fare opposizione…sarà per via di tutti gli scandali che stanno scoppiando a causa della scoperta della nuova P3? Chi mai lo saprà,fatto sta che Gianfranco Fini non vuole proprio mollare,ieri rinnegava il Fascismo,oggi rinnega il suo nuovo Duce,domani cosa rinnegherà per entrare nelle grazie del popolo e fargli credere che Fini è un uomo in continua evoluzione? Lo scopriremo nelle prossime puntate,alla prossima…purtroppo!!!

Antonio D’Apa
(fgci – Vibo Valentia)


sabato 28 agosto 2010

Che fine hanno fatto gli ideali?

Il gioco delle sedie musicali

Quanti di noi da piccoli hanno fatto questo gioco, il gioco delle sedie musicali. Tutti a girare intorno ad una fila di sedie mentre suona la musica, pronti ad occuparne una quando la canzone finisce. Pronti a tutto pur di non perdere quel posto per paura di rimanere fuori dal gioco. Probabilmente per alcuni, nonostante abbiano raggiunto la maturità, la voglia di giocare non è finita. Nel mondo politico di oggi o per meglio dire dei “politicanti”, il gioco continua in larga scala e con un alto numero di concorrenti pronti ad occupare una poltrona.
Forse è questo che rende instabile qualsiasi governo, da quello nazionale a quelli locali, dove i premi sono minori ma evidentemente l'importante è vincere, ad ogni costo e con ogni mezzo. Non esistono squadre, ognuno gioca per conto suo e per se stesso. Esistono solo escamotage, schemi, freddi calcolatori e manipolatori che mirano alla vittoria finale sfruttando il supporto e la facile manovrabilità dei più deboli. Né rossi, ne bianchi, ne verdi, nessun colore. Solo i numeri contano. I numeri, che sono sempre serviti per eliminare le identità e che non permettono a nessuno di potersi distinguere dalla massa. Ogni concorrente vale un predeterminato numero di voti che riesce a raccogliere ed a spostare dal suo lato, qualunque esso sia.
Destra, sinistra, centro, non esiste più niente di tutto questo. Solo i giornali si preoccupano di collocare i politici in questo o quel movimento. Ormai è noto a tutti, ed in questi ultimi giorni la situazione sta diventando ancora più chiara a quanti vogliono capire. Il presidente del consiglio, ad esempio, non risponde al suo gruppo di maggioranza ma è il suo gruppo che deve rispondere al presidente. Non è un ideale che guida queste persone, ma è la persona che comanda la massa. Basta solo accontentare i suoi capricci e cercare di mantenere il posto. Non ultimi gli attacchi al capo dello stato accusato di non rispettare la costituzione nel caso si portasse avanti un'idea di governo tecnico, una “costituzione” in questo caso evidentemente “ad personam” che solo i bravi “sudditi” conoscono. Cosa che non è assolutamente vera, perché la costituzione garantisce la sovranità del popolo e non del “singolo”. Questo semplicemente perchè fondata sugli ideali e non su vantaggi “particolari” da riservare a singolari personaggi.
Servi del potere, zombie che con lo sguardo vuoto e senza idee si muovono pronti ad azzannare chi gli sta vicino. Ma per avere un'idea della situazione basta leggere sui simboli dei vari “partiti” delle passate elezioni governative: PDL Berlusconi presidente, UDC con Casini, Italia dei Valori per Di Pietro, PD per Walter Veltroni e tutti gli altri ciarlatani. Ma chi sono questi soggetti? Perché si proclamano salvatori della patria? Bastano nome e cognome per dare la garanzia di saper governare?
Nelle realtà locali e purtroppo anche e soprattutto a Vibo Valentia, la situazione è ancora più deprimente, una continua corsa alla poltrona. La sola speranza che nutrono i giovani è di affidarsi al politico di turno per usufruire dei suoi “favori”, in questo modo la “casta” locale non perde mai. Hanno paura solo di perdere il loro potere, per questo passano con facilità da destra a sinistra al centro, sempre pronti a salire sul carro dei vincitori. Politici perennemente in campagna elettorale pronti a schierarsi da un giorno all'altro contro i loro ex “amici” per assicurasi un altro incarico da cui, con la loro capacità di trasformare i “diritti” dei cittadini in “favori”, riescono ad ottenere voti ed a rimanere nel giro che conta. Seduti ai tavoli si vedono sempre le stesse facce, che si presentano però come fossero nuovi pionieri della politica.
E la sinistra in tutto ciò dov'è? Semplice, la sinistra non c'è più. Non è rappresentata in parlamento, ne tanto meno esiste a livello locale. I suoi pseudo rappresentati sono troppo impegnati a mettere la colla sulla loro sedia. Pensano di poter continuare a far credere alle persone che una sinistra ancora c'è e soprattutto che “loro” sono di sinistra, cosa che analizzando i fatti non è assolutamente vera.
Nel PD della provincia di Vibo Valentia non si riescono nemmeno più contare le innumerevoli fazioni interne. I membri di questo partito si guardano in cagnesco. D'altronde fanno bene a non fidarsi uno dell'altro, se hai una poltrona conti qualcosa altrimenti vieni subito scalzato e non ti considera più nessuno, quindi devi tenertela ben stretta e non abbassare la guardia perché non si sa mai! Gli altri, poi, che dicono di essere la sinistra radicale sono per certi versi ancora più ridicoli. Scioccati dai risultati delle ultime elezioni comunali, sorpresi da una, a loro modo di vedere, inaspettata sconfitta, ma anche voluta e cercata, si sono comportati come quando entri in una stanza, piena di scarafaggi ed appena accendi la luce li vedi scappare ognuno per conto proprio da una parte all'altra senza meta. Si salvi chi può, avranno pensato!
Se ci fosse davvero qualcuno di sinistra saprebbe che fare per farla tornare grande. Quelli di sinistra, quella vera, sanno che il loro posto è in mezzo alla gente. Tra i problemi delle persone, nelle piazze, nei cortei, dove veramente agisce la democrazia, sicuramente il miglior posto per capire cosa fare per aiutare veramente tutti i cittadini. Il vecchio PCI di Berlinguer non ha mai governato, ma ha ottenuto molte più cose per la gente comune dalle sue lotte di piazza, che quante ne abbiano realizzate questi fantasmi della sinistra al governo.

Lo slogan dei politicanti è: “gli ideali sono morti, non esistono più” seguito da una ghigno di chi la sa lunga. Niente di più falso, perché le idee e gli ideali non possono morire, non possono sparire. Sono idee, modi di pensare, emozioni, che vivono e superano qualsiasi difficoltà sfidando il tempo e lo spazio. Una vecchia canzone recitava:
“Se il vento fischiava ora fischia più forte
le idee di rivolta non sono mai morte
se c'è chi lo afferma non state a sentire
è uno che vuole soltanto tradire
Se c'è chi lo afferma sputategli addosso,
la bandiera rossa ha gettato in un fosso.”
È giunto il momento di svegliarsi e riprendersi quella bandiera per agitarla forte, più di quanto sia stato mai fatto. Perché ora più che mai ce n'è bisogno. Dobbiamo riprenderci il timone di questa nazione che va alla deriva. È ora di dare ascolto agli ideali e combattere perché siano applicati. Non possiamo più girarci dall'altro lato aspettando che qualcuno venga a salvarci.

Giuseppe Ambrosio
(PdCI Vibo Valentia)

martedì 24 agosto 2010

lunedì 23 agosto 2010

La sensazionale scoperta: il “santo Graal” si trova a Vibo Valentia

il PSC e i cavalieri dell'ordine comunale.
Si pensava non si fosse mai scoperto qual'era il segreto che in molti custodivano così gelosamente. Non si conosceva la vera natura dell'oggetto così segretamente nascosto. Oggi invece sembra che siamo vicini ad una sensazionale scoperta, che farà strabuzzare gli occhi a molti. Il “santo Graal”, quello che tutti cercano, potrebbe essere il “piano strutturale comunale” di Vibo Valentia. In questo modo tutto ci è più chiaro. È questo quindi il motivo, nonostante la legge urbanistica regionale del 2002 obblighi ogni comune a dotarsi di un PSC, del ritardo nell'approvazione del PSC da parte di ogni amministrazione succedutasi dal 2002 in poi a palazzo Luigi Razza. In breve, il PSC, sostituisce il vecchio “piano regolatore”, definisce il futuro dello sviluppo urbanistico del territorio comunale. La sua funzione è descritta in modo dettagliata nella “legge urbanistica regionale 2002” all'articolo 20.  Il lavoro di formulazione del PSC  del comune di Vibo Valentia è in cantiere da parecchi anni ormai, nel marzo 2007 l'architetto Francesco Karrer, incaricato per la formulazione del PSC, ha presentato la relazione per “documento preliminare” del PSC di Vibo Valentia. Da allora poche sono le informazioni, per lo più voci, che circolano sull'effettivo completamento del documento finale. La passata amministrazione aveva detto, probabilmente in un momento di eccitazione in vista della successiva campagna elettorale, che avrebbe approvato il PSC pochi mesi prima di lasciare il palazzo municipale. Giusto una promessa infatti, di quelle che i politici sono soliti non mantenere. Troppi sono gli interessi che girano intorno allo sviluppo urbanistico del territorio. Definire se una zona è edificabile o meno, fa si che quel terreno cambi il suo valore di mercato, nemmeno i professionisti dell'urbanistica credono che la tecnica possa battere la politica. Spesso gli interessi della città e del territorio lasciano spazio agli interessi della classe politica, che vede nel documento di zonizzazione una sorta di mappa del tesoro. È una cosa molto importante quindi, dopo anni d’attesa, ridefinire lo sviluppo del nostro territorio comunale, dove ormai sono state consumate quelle risorse che erano definite nel vecchio Piano regolatore. Soprattutto nelle frazioni, infatti, le zone definite edificabili dal PRG sono state sfruttate con la costruzione di edifici che erano necessari per sopperire all’aumento della popolazione ed alla nascita delle nuove famiglie. Ora, soprattutto noi giovani, stiamo attendendo di conoscere le nuove norme e le opportunità di poter costruire una casa nostra e sognare di dare una mano ai nostri paesi non facendoli scomparire; se i territori delle frazioni fossero esclusi dallo sviluppo urbanistico noi saremmo costretti ad emigrare e spostarci nelle città, sarebbe quindi una condanna a morte per le frazioni. La costruzione di nuovi edifici e delle altre opere invece vorrebbe dire un aumento del lavoro che risolleverebbe anche le sorti economiche del nostro territorio, che da questo punto di vista è molto sofferente; limitare la possibilità d’investimento nelle nostre zone vuol dire chiudere totalmente le porte alle opportunità di ripresa. Prima degli interessi politici però si dovrebbe guardare, soprattutto nel territorio comunale di Vibo Valentia, ai numerosi problemi di dissesto idrogeologico che affliggono il territorio. In effetti a questo tipo di problemi, dopo l'analisi del prof. Pasquale Versace e la redazione del famoso “piano Versace”, si erano già trovate le cause scatenanti e le soluzioni per contenerli. Forse spaventati dalle cifre che servivano per la realizzazione di tali opere, circa 87 milioni di euro, hanno scelto di nominarlo ma di tenerlo nascosto ai cittadini, usarlo come scusa per il blocco urbanistico nel comune di Vibo Valentia, fare di questo documento uno spettro che solo a nominarlo ci si spaventi più dei rischi del territorio stesso. L'applicazione del piano e la realizzazione delle opere necessarie metterebbe a nudo di sicuro l'incompetenza e la totale mancanza di rispetto per la natura che negli anni le varie amministrazioni hanno dimostrato di possedere. Ora forse è il momento che la nostra città abbia quel che si meriti, un PSC che rispetti le leggi dell'urbanistica e non quelle della politica, che serva a tutti i cittadini e non a pochi eletti, che renda il territorio un posto sicuro dettando regole che non permettano la costruzione selvaggia su zone a rischio. Che la politica lasci spazio alla tecnica ed alla competenza. In fondo è facile, basta mettersi una mano sulla coscienza e troveremo il “santo Graal” che porterà fortuna alla nostra città.

Giuseppe Ambrosio
(PdCI – Vibo Valentia)

venerdì 20 agosto 2010

ecco perchè non ci piace la nuova "guida" di Calabria Ora

L’irresistibile discesa di Piero Sansonetti

È di questi giorni [articolo pubblicato su "Senza Soste" il 29 Luglio 2010, ndr] la notizia che Piero Sansonetti, ex direttore di Liberazione ai tempi in cui nel PRC comandavano Bertinotti e l’”Obama bianco” Nichi Vendola, andrà a dirigere il quotidiano Calabria Ora. La carriera di Sansonetti ha degli aspetti decisamente divertenti, ma pone anche degli interrogativi seri su come un personaggio del genere abbia potuto dirigere il quotidiano del maggior partito della sinistra italiana. Nel 1990 Sansonetti arriva a L’Unità, dove sarà vicedirettore e poi condirettore. E gli anni Novanta per L’Unità sono stati quelli della crisi di vendite che ha portato, nel 2000, alla chiusura del giornale. Gennaro Carotenuto ricorda che “Quando morì Diana Spencer riuscì a disgustare tutti e ad accelerare il percorso verso il fallimento titolando ‘Scusaci principessa’ e dedicando una dozzina di pagine a quello che considerava l’evento del secolo”. Passato a Liberazione, si sente investito di una missione singolare: quella di sostenere posizioni di destra dalle pagine di un quotidiano di sinistra. I redattori di Liberazione raccontano di aver avuto difficoltà a riportare le difficoltà giudiziarie dei vari esponenti di Forza Italia, e in particolare di Dell’Utri: il direttore si opponeva sistematicamente a posizioni troppo ostili, bollandole come “giustizialismo”.
Ma la polemica più accesa scoppia a fine maggio 2007, quando sul quotidiano di Rifondazione compaiono alcuni articoli di tale Angela Nocioni contro Cuba, che offendono e sbeffeggiano il padre di Fabio Di Celmo, vittima di un attentato avvenuto nel 1997, e le famiglie dei cinque agenti dell’antiterrorismo cubano ingiustamente detenuti negli Stati Uniti. A sinistra c’è un’ondata di indignazione ma Sansonetti, difeso dall’area “innovatrice” del partito Bertinotti-Vendola, prosegue imperterrito sulla strada dell’esibizionismo e dell’anticomunismo. Nel febbraio 2008 si fa intervistare da Il Secolo d’Italia facendo una sviolinata a Gianfranco Fini e al sindacato di destra UGL: (“esprime posizioni originali e culturalmente interessanti”).
Liberazione ormai è un giornale allo sbando in cui nessuno si riconosce più: passa da 10mila copie, con punte di 13mila, a 4mila. Nel frattempo arriva la batosta della Sinistra Arcobaleno. Rifondazione rimane senza parlamentari e senza i relativi finanziamenti pubblici. Le perdite generate dalla gestione di Liberazione sono ormai insostenibili e imporrebbero un deciso cambio di rotta, ma nonostante i risultati fallimentari Sansonetti rimane al suo posto. I bertinottiani ad ogni tentativo di rimuoverlo gridano al colpo di stato e strepitano contro lo “stalinismo”. Sansonetti si scatena: nel maggio 2008 chiede la grazia per Anna Maria Franzoni, la donna condannata per il delitto di Cogne, uno dei tormentoni di Bruno Vespa. Nell’estate del 2008 difende a spada tratta la ministra Carfagna dopo l’intervento di Sabina Guzzanti al No Cav day, che definisce “fascistoide e barbaro”. Nel novembre 2008 dedica paginate entusiaste alla vittoria di Vladimir Luxuria nel reality L’Isola dei Famosi. Titoli imbarazzanti come “Grazie Simona Ventura”. In televisione e alla radio è onnipresente: un personaggio che si dichiara di sinistra ma dà sempre ragione alla destra non può mancare in nessun talk show, soprattutto in quelli più faziosi. Le comparsate a “Porta a Porta”, “La vita in Diretta” e “Zapping” si sprecano e si concludono sempre con figuracce epocali..
Alla fine del 2008 finalmente viene cacciato da Liberazione e sostituito da Dino Greco. Collabora con Il Riformista, altro giornale inutile che campa di contributi pubblici: costa al contribuente quattro euro di tasse per ognuna delle duemila copie che vende. Nel maggio 2009 Sansonetti ha di nuovo un giornale tutto suo. Apre L’altro, distribuito dalla Mondadori di Berlusconi in 80 città. “Farmemo riferimento a Sinistra e libertà ma senza esserne l’organo ufficiale”, dice il direttore.
A “Porta a Porta” c’è un simpatico siparietto con Berlusconi in persona: “Ma io non temo questo giornale perchè stimo davvero il direttore che so non si presta a operazioni che siano men che lecite” dice Silvio.“Questo non lo deve temere” assicura Sansonetti. Infatti alla prima occasione (caso “Noemi”) Sansonetti dimostra la sua amicizia al cavaliere: «Abbasso Santoro, viva le veline» titola L’altro, in linea con i quotidiani di famiglia, denunciando il «linciaggio pubblico» di Annozero nei confronti della favorita del Cavaliere, Noemi Letizia.
Quando si tratta di difendere gli amici di Berlusconi Sansonetti non si risparmia: anche il direttore del TG1 Minzolini secondo lui è vittima di un linciaggio. Non si è dimenticato neanche di Fini: “è l’uomo politico che ha detto le cose più interessanti degli ultimi tempi” dichiara.
Ma L’Altro si caratterizza soprattutto per l’ampio spazio che dedica all’estrema destra neofascista: nel giugno 2009 alcune realtà della sinistra romana denunciano: “Un’intervista a Iannone, capo dei “fascisti del terzo millennio” di Casapound, senza contraddittorio alcuno, quasi un volantino di propaganda, in cui si bercia contro l’antifascismo; il racconto dell’incendio di Casapound Bologna, con tanto di eroica descrizione del federale locale ‘personaggio interessante e controverso’: definizione perlomeno curiosa per chi, neanche due anni fa, è finito in carcere con l’accusa di associazione a delinquere con l’aggravante razzista per una quindicina di pestaggi.
Ma non c’e’ da stupirsi se su L’Altro a scrivere tutto ciò è Ugo Maria Tassinari, studioso della destra radicale che partecipa e promuove però le iniziative dei neofascisti stessi. Oppure se ad occuparsi di futurismo è Miro Renzaglia, animatore della galassia culturale della destra radicale e firma di NoReporter, sito d’informazione gestito da Gabriele Adinolfi, ex Terza Posizione, che ogni anno non manca di ricordare con un articolo il compleanno di Adolf Hitler. Sono questi gli steccati da superare?
Se è per questo ce ne sono anche altri di steccati da superare: in agosto L’altro titola: “Il nucleare? Basta fanatismi, non è il demonio”. Il 28 settembre 2009 due redattori esasperati scrivono una lettera aperta: “Ci vergogniamo, è dura ammetterlo, ma è così. Doveva essere per noi un’avventura nuova, appassionante e a tratti lo è stata. Ma ora ci vergogniamo di essere nella redazione de L’Altro. (…) 2 pagine “simpatetiche” dedicate agli sproloqui del fascista Iannone, l’unico articolo sulla Resistenza (ad esclusione dei “numeri zero”) affidato a un’ intervista a Giampaolo Pansa autore di quel ‘memorabile lavoro storico e storiografico’ che è Il sangue dei vinti, un articolo del sempre simpatetico Tassinari sulle aggressioni a Casa Pound, un interessantissimo contributo di Renzaglia sul futurismo fino ad arrivare agli ultimi interventi. (…) Una campagna continua contro tutto e tutti che dà la misura della supponenza con cui in cinque mesi abbiamo dato vita a un giornale gossipparo e provinciale”.
Nell’ottobre 2009 è costretto a cambiare nome a seguito di una causa e diventa “Gli Altri”, ma anche al plurale i risultati in termini di vendite sono gli stessi di sempre: due mesi dopo passa da quotidiano a settimanale.
Sansonetti conferma il suo impegno per aiutare la sinistra “a liberarsi delle scorie del passato e a misurarsi con i temi giganteschi che la modernità ci propone”.
Continua a tessere gli elogi di Berlusconi, stavolta sulla questione delle intercettazioni: “Secondo me, il consiglio dei ministri non ha fatto una cattiva legge”. La polemica più accesa scoppia nel maggio scorso, quando con altri “innovatori” dell’area bertinottiana e del PD firma un appello per la libertà di manifestare di Casa Pound e tratta da squadrista chi si oppone: “C’è una sinistra da legge Scelba”, scrive, fingendo di dimenticarsi che la ricostituzione del partito fascista è vietata dalla Costituzione e non dalla legge Scelba.
Contestato dovunque va, piagnucola titolando: “La sinistra squadrista che mi cerca”. Definisce il suo “un giornale di sinistra che – dichiaratamente – si misura con l’impresa dell’uscita dal comunismo”.
In questi giorni, come dicevamo all’inizio, va a dirigere Calabria Ora. Ed è interessante quanto scrive Il Manifesto sull’operazione: “Il giornale è nel caos dopo l’addio al vetriolo del vecchio direttore. Paolo Pollichieni si è dimesso meno di una settimana fa con un editoriale-denuncia contro la proprietà. Guarda caso, il 20 luglio Pollichieni aveva pubblicato alcuni articoli su presunti incontri tra il governatore del Pdl Giuseppe Scopelliti e alcuni boss delle cosche calabresi. Con lui se ne se sono andati due cronisti di punta minacciati dalle cosche, il caporedattore centrale e due vice, due capiservizio e il responsabile delle cronache politiche. In pratica tutta l’ossatura del giornale, che da allora è in stato di agitazione con il cdr sul piede di guerra. Al centro delle polemiche le pressioni continue sulla fattura del giornale dei due editori,Pietro Citrigno e Fausto Aquino, imprenditori ex Psi molto «trasversali» nelle amicizie politiche. Citrigno, in passato vicino a Nicola Adamo (Pd), ha interessi nell’edilizia e nella sanità privata convenzionata, è stato condannato in secondo grado per usura a 4 anni e 8 mesi. Aquino invece ha un profilo più «istituzionale»: è vicepresidente nazionale Piccola Industria di Confindustria, è nella giunta di Confindustria Calabria, ha interessi nel petrolio (è il distributore Agip in regione) ed è stato più volte candidato nelle liste di Lamberto Dini”.
Sansonetti troverà certamente altri steccati da superare. Intanto però (ma non è che porta male?) il progetto degli editori di Calabria Ora di rilevare anche la testata storica Paese Sera viene frustrato dai giudici che non gli concedono la possibilità di utilizzarne il nome. Una cosa è certa: Sansonetti continuerà a divertirci come ha fatto finora.
Per Senza Soste, Nello Gradirà

martedì 10 agosto 2010

Tagliano tutto ma non le proprie poltrone

Tagli, tagli e ancora tagli, per gli impiegati pubblici, per gli insegnanti, per i ricercatori, un taglio netto, cosi come la falce miete il grano, l’attuale governo ha mietuto le speranze della classe debole e più numerosa italiana; ha provato a toccare anche gli enti locali, facendo balzi e tarantelle passando per grandi contraddizioni nella loro maggioranza e stretta nella morsa della lega e di FINI, il governo nazionale è quasi al capolinea. Niente di nuovo, tutto vecchio come la politica di Berlusconi impiantata su vecchie logiche mediatiche e vecchie proclamazioni.

Nella città di Vibo, però, qualcosa stava cambiando……

Un sindaco “nuovo”, di una famiglia nuova e “estranea” alla politica, con idee “nuove” con persone “nuove” soprattutto, nuova gente “mai” vista in aula consiliare (senza ex vice sindaco), tutti giovani consiglieri di famiglie “nuove” che hanno dato una svolta al vecchio modo di fare politica. Ahinoi però….tutti figli di ex politici, sindaci assessori consiglieri ecc. Questa svolta ci hanno propinato, il cambiamento, il nuovo che avanza, su basi che ricordano la politica degli anni 50: CLIENTELARISMO. Basato sulla sola occupazione dei posti di potere. E poi? Chi governa?

Non importa, l’importante è esserci, occupare potere, poi a governare ci si pensa dopo, l’importante è esserci, nel nucleo industriale, nelle strutture regionali, il governo della città è solo un trampolino di lancio per l’occupazione delle poltrone. Questo è il cambiamento, il nuovo. Ma se la maggioranza nazionale di governo ha un uomo “capace” di fare, ahinoi, il brutto e il cattivo tempo con il proprio carisma e la sua verve, qui a Vibo non c’è nessun Berlusconi che può salvare, la fragile maggioranza comunale del centrodestra, che inizia a risentire le contraddizioni di un partito fondato sul nulla, che ha svenduto quel poco della storia della destra moderna italiana al “padron” Berlusconi.

Ma dicevamo, a Vibo Valentia nessun Berlusconi può salvare questa fragilissima maggioranza, inabile al governo della città, che quando vi è un problema da affrontare lo affronta alla “radice”, vedi la vicenda del mercato generale, senza nessuna logica di pensiero al futuro; sebbene vi siano tra voi punte d’eccellenza, che possiamo contare sul palmo di una mano, e, sebbene l’inesperienza può anche essere considerata, a volte,  non come un male, ma come un elemento positivo, poiché può portare novità nel governare, CARO SINDACO e cari consiglieri di maggioranza vi manca STABILITA’, PROGRAMMAZIONE, CONCRETEZZA e NOVITA’.

Agli occhi dei cittadini invece vi è la nomina di un vostro assessore a capo struttura, tra l’atro un assessorato importantissimo in questi anni in cui vi è un nuovo modo d intendere la pianificazione urbanistica, cosa che sicuramente saprete poiché conoscerete la legge 19/2002 della regione Calabria che vede il territorio verde come pezzo attorno al quale edificare, e non viceversa; niente in contrario ad avere più cariche, è legittima l’ambizione per tutti, ma ci si sarebbe aspettato un minimo di responsabilità in più da parte del sindaco, essendo la delega all’urbanistica delicata e che necessità di una presenza costante sul territorio appunto.

L’ultimo gingillo è infine l’aumento del numero degli assessori. Ma com’è possibile? Vi riducono lo stipendio, ottima cosa e plauso al governo centrale che lo ha fatto, anche se i veri tagli purtroppo arriveranno solo dalle prossime legislature come per esempio il taglio dei consiglieri comunali, tagliano agli enti locali per milioni di euro, vi è un momento di crisi internazionale, e voi aumentate il numero degli assessori? Per quale motivo?
Vorremmo avere da voi una motivazione politica per l’undicesimo uomo in campo. Siete in carica da più tre mesi e non abbiamo ancora visto il nuovo che avanza di cui dovevate essere portatori. Motivazioni politiche sappiamo che non ne arriveranno da parte vostra anche perché sappiamo che l’undicesimo giocatore serve come contentino a questa o a quell’anima del PDL o dell’UDC. UDC che al governo nazionale occupa una posizione ambigua, un po’ opposizione e un po’ niente di niente, mentre in questa città è in maggioranza. Ma la coerenza, si sa, non è da tutti.

Caro sindaco e cari consiglieri di maggioranza, caro Daffinà (uomo di destra e di sinistra per tutte le stagioni), siete tanti, la vostra maggioranza nel momento dell’elezione era numerosa, avete i numeri ed il tempo dalla vostra parte. Allora governate perché per quello siete stati eletti. Qualora non vi sentiate di far questo fatevi da parte, accantonate le vostre, seppure brevi esperienze politiche, prima di continuare a far danni, perché a questo punto, sull’onda di questi primi cento giorni di “buon” governo, preferiremmo più un commissario prefettizio che la vostra inabilità politico-amministrativa.

venerdì 6 agosto 2010

1^ Festa dell’ Unità dei Comunisti


Ebbene sì, il Movimento Comunisti Uniti organizza la 1^ Festa dell’ Unità dei Comunisti a Roma il 17/18/19 Settembre 2010.
L’iniziativa, sostenuta dal lavoro volontario dei/lle compagni/e di CU di Roma e Lazio è rivolta ai comunisti e agli anticapitalisti ovunque collocati di tutta l’Italia.
Una tre giorni di dibattiti su Partito, Lavoro e Ambiente.
Sul palco si avvicenderanno gruppi musicali che proporranno canzoni di lotta, folklore romano, cabaret/ teatro, liscio. Saranno presenti stand di associazioni e movimenti. Presso il ristorante la “Lanterna Rossa”, non mancherà la buona cucina casareccia e popolare. I giovani di GCU gestiranno il bar.
Noi vogliamo che sia un momento d’incontro/confronto politico, dove tanti/e compagni/e della diaspora, del PRC, del PdCI e delle altre organizzazioni comuniste discutano insieme di come raggiungere l’obiettivo comune della ricostruzione del Partito Comunista.
Inoltre, scopo non secondario, sarà di ottenere un sostanzioso autofinanziamento utile all'organizzazione dell’Assemblea Nazionale di Novembre c.a., per la costituzione nel Movimento Politico Comunisti Uniti per la Costituente.
E allora non mancare, vieni alla Festa, per dimostrare in maniera solidale e fattiva la tua vicinanza e/o internità al progetto di rilancio unitario di una forza comunista autonoma e alla costruzione di un Fronte Popolare di Resistenza al capitalismo e all’imperialismo.
Gualtiero Alunni
(Per il Gruppo di Lavoro Nazionale di ComunistiUniti)

COMUNICATO STAMPA SUL PIANO CASA REGIONALE

Il cosiddetto Piano Casa approvato ieri dal Consiglio Regionale della Calabria fa diventare la nostra regione maglia nera di tutte le regioni italiane.

Solo una Giunta ed una maggioranza che non hanno nessuna attenzione ed interesse sui temi dell’ambiente, del paesaggio e del territorio poteva realizzare uno scempio legislativo di questa natura.

D’altronde, quando un provvedimento di questa natura viene affidato a chi presumibilmente ne trarrà i maggiori benefici (cementificatori e palazzinari) è del tutto evidente che il risultato non può che essere un’aggressione sistematica delle nostre risorse naturali, del nostro patrimonio storico ed architettonico, del nostro incomparabile paesaggio.

Nella furia cementificatoria i governanti regionali del centrodestra, memori degli innumerevoli condoni e sanatorie varie che i governi Berlusconi hanno via via regalato agli speculatori nazionali, non si sono fatti pregare. Addirittura hanno stravolto perfino i limiti imposti dall’accordo Stato –Regioni dell’1 aprile 2009.

In Calabria l’ampliamento del 20% di superficie, e in alcuni casi anche del 35%, diventa indiscriminato e generalizzato: cioè può essere fatto dappertutto, in deroga a tutti gli strumenti urbanistici e di governo del territorio.

Nessuno era arrivato a tanto. Insomma la destra speculatrice e palazzinara calabrese assesta un colpo che potrebbe diventare irreversibile ai danni di beni comuni come paesaggio e territorio, valori su cui, invece, si potrebbe costruire un grande progetto di valorizzazione per restituire fiducia e speranza nel futuro.

Tutto questo avviene in una regione come la Calabria, che riassume in sé tutti i peggiori rischi e dissesti (sismico, idrogeologico e di frana) e che ha già subito nei decenni passati una pesantissima devastazione del proprio territorio, specie della fascia costiera, con uno sviluppo edilizio abnorme che non trova alcuna corrispondenza con la popolazione residente che ammonta a circa 2 milioni di abitanti, mentre il volume edilizio costruito potrebbe ospitare dai 6 agli 8 milioni di abitanti.

Dopo gli anni della cementificazione delle coste e del grande saccheggio edilizio nelle città, abbiamo tentato in questi anni in Calabria di sostenere con forza la necessità che si chiudesse questa brutta pagina nella storia calabrese. Abbiamo lavorato sodo scommettendo prioritariamente sul recupero e sulla riqualificazione come strumenti fortemente innovativi per rilanciare anche un’edilizia di qualità. Per questo avevamo coniato lo slogan: meno mattoni e più recupero.

Adesso Scopelliti e la sua Giunta vogliono riportarci indietro. La loro cultura di governo è davvero vecchia e stantia e ripropone ricette e strumenti che hanno già arrecato danni ingenti a questa terra.

Questa Piana Casa rappresenta una gravissima regressione culturale nella politica edilizia, abitativa ed urbanistica della regione.

Non servirà certamente a rilanciare l’economia, come dimostra il fallimento del Piano Casa nelle altre regioni. Non migliorerà la qualità architettonica ed energetica del patrimonio edilizio esistente. Non aumenterà la ricchezza, né l’occupazione e né il reddito procapite della Calabria. Forse si arricchirà la lobby del cemento mentre la ndrangheta potrà riciclare il suo denaro sporco. Ma questo Piano Casa ci lascerà tutti più poveri perché la regione sarà ulteriormente devastata e deturpata e il consumo del suolo, che ha già raggiunto livelli stratosferici, proseguirà impunemente ammantato di legalità in spregio a quelle che sono le reali esigenze e i concreti bisogni dei calabresi.

In questo contesto risulta assai singolare la circostanza di un provvedimento che incide profondamente sulla normativa urbanistica, senza il pieno coinvolgimento dei soggetti titolari di questa competenza. Infatti, il pdl in Giunta è stato presentato con la sola firma dell’Assessore ai Lavori Pubblici Gentile senza il necessario concerto con l’Assessorato all’Urbanistica.

Ma cosa potremmo aspettarci da una Giunta e da una maggioranza che come primo atto hanno bloccato il Quadro Territoriale Regionale Paesaggistico approvato dalla precedente Giunta e come secondo atto hanno sospeso l’entrata in vigore della legge sismica.

Tutto il contrario di quello che serve alla Calabria: non una nuova micidiale colata di cemento ma una pianificazione moderna del territorio con strumenti avanzati e capaci di aprire la regione al futuro della sostenibilità ambientale e della valorizzazione delle risorse culturali, storiche, ambientali, agricole e paesaggistiche.

Reggio Calabria, 5.8.2010

IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI

MICHELANGELO TRIPODI

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SEGRETARIO NAZIONALE OLIVIERO DILIBERTO DIREZIONE NAZIONALE ALLARGATA – ROMA 18/19 LUGLIO

Care compagne e compagni, credo che non sfugga a nessuno la rilevanza della riunione di oggi. Non a caso l’abbiamo voluta nella forma di un attivo del Partito, coinvolgendo il quadro militante e dirigente.
Questa riunione apre la stagione che darà il via prima al congresso della Federazione della Sinistra e poi a quello del Pdci, previsto per la prima metà del 2011. Si tratta della scadenza prefissata, potremmo discutere se anticiparla o meno: la mia opinione, che ha avuto il consenso della Direzione Nazionale, è di rispettare la scadenza naturale. Ma, lo ripeto, è tema di discussione e ne parleremo. In questa riunione dovremo prendere decisioni che riguarderanno la vita del Partito a tutti i livelli. Vi invito ad un discussione che sia la più aperta possibile. Subito dopo essa andrà riportata nei territori perché ci sia un riscontro da parte del maggior numero di quadri e militanti. La fase politica è evidentemente molto complessa, ma vorrei offrire ai compagni qualche elemento non usuale di riflessione. La crisi è generale, non ciclica ma sistemica, lo riconosce persino Trichet, il presidente della Banca Centrale Europea, ed ha caratteri internazionali. Ma io avverto una crisi specifica italiana che colpisce tutti i livelli istituzionali ed è allarmante.
Due dei principali vertici delle forze dell’ordine hanno subìto pesanti condanne. Gianni De Gennaro, già capo storico della polizia italiana e oggi a capo dei servizi segreti, e il comandante-generale dei Ros, cioè dei Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri, uno degli uomini più importanti d’Italia e d’Europa, condannato in primo grado a 14 anni per traffico internazionale di stupefacenti.
Ho voluto citare questi due casi e non ho parlato della cosiddetta cricca perché per alcuni versi li
considero anche più gravi. Il capo dei servizi segreti e il comandante generale dei Ros sono vertici
istituzionali di prima grandezza. Ci si aspetta da loro che siano i garanti, i custodi della sicurezza e
della legalità. E invece sono anche loro nella lunga fila di personaggi coinvolti nella corruzione.
E’ in atto un impazzimento generale del sistema. Non si salva nessun livello. Non si salva la
magistratura, non si salvano le forze dell’ordine, le forze armate, non si salvano l’imprenditoria e il sistema politico. Il livello nel quale è sprofondata la società italiana non ha precedenti nella storia repubblicana. E’ lo scenario inquietante di un Paese che ha la classe dirigente peggiore del mondo capitalistico. In questo quadro è evidente la sfiducia profonda della popolazione non solo nei confronti del governo, ma complessivamente verso le istituzioni, rispetto alla stessa democrazia.
Nella degenerazione del sistema politico e istituzionale, si affermano sempre più la personalizzazione e il leaderismo populistico, sia a destra che a sinistra, devastanti per chi intende la politica nelle forme della lotta fra le classi e non tra le persone. Prevale la logica del più forte, del più ricco, del più famoso, di chi ha appoggi nel mondo che conta, tra i poteri forti. E succede che quello che Fausto Bertinotti definiva un “imprenditore illuminato”, Sergio Marchionne, porti a compimento nel disinteresse del governo l’operazione Pomigliano aprendo la strada alla devastazione dei diritti del lavoro. Quando lo scambio è tra il posto di lavoro e la tutela dei diritti costituzionali, si è alla fine di ogni forma di relazioni industriali. Quando un diritto costituzionale viene azzerato da un accordo di diritto privato tra imprenditore e lavoratori, si verifica l’inversione della gerarchia delle fonti del diritto.
La Costituzione diventa secondaria, vince il primato del mercato. E questo, sul piano sostanziale, apre la strada a qualsiasi ricatto: prima il diritto di sciopero, poi il salario, le ferie, la mensa, la pausa fisiologica.
La situazione è molto più seria di quanto noi stessi percepiamo. Io non so se il governo terrà.
All’interno ci sono contraddizioni molto violente che possono portare ad una sua caduta. Ma
Berlusconi ha dimostrato in questi quindici anni tenuta e capacità di resistenza molto robuste. Non sono inoltre certo che l’alternativa che si sta profilando sia auspicabile. Il Pd, e in particolare l’attuale gruppo dirigente del Pd, sta lavorando per un governo istituzionale o di transizione o tecnico che abbia il compito di cambiare la legge elettorale. Si pensa al modello tedesco, che è proporzionale e rappresenterebbe la fine del bipolarismo, ma che ha la soglia di sbarramento al 5%. Per noi sarebbe letale.
Io auspico che il governo cada per il bene del Paese. Non abbiamo alcuna arma visto che non siamo in Parlamento, possiamo solo auspicare che ciò accada. Ma dobbiamo sapere che qualunque ipotesi di governo di transizione, di decantazione istituzionale o altro è per noi mortale. Porterebbe inevitabilmente a una scomposizione del centrosinistra ed a sue alleanze con pezzi di destra. E non mi riferisco soltanto all’Udc.
In questa situazione difficile e drammatica avanzo una linea di azione che, se i compagni saranno
d’accordo, proporrò al dibattito congressuale. E’ la linea che ho esposto in Direzione e che è stata
approvata all’unanimità con un astenuto.
E’ fondamentale per noi ridare vita ad un sistema di alleanze per raggiungere due obiettivi che
consideriamo vitali. Il primo, la costruzione di uno schieramento di centrosinistra in grado di liberare il Paese da Berlusconi. Il secondo, il ritorno dei comunisti in Parlamento. Se questo non sarà possibile, se la coalizione non si farà, o se si farà e noi ne saremo fuori, le conseguenze saranno per noi esiziali. Ma ammettendo che la coalizione ci sia e che noi ne facciamo parte, esistono le condizioni per un patto di governo tra noi e le altre forze democratiche come il Pd, l’Idv ed eventualmente l’Udc? Secondo me, no. Lo dico con nettezza anche se con rammarico perché sono convinto che i comunisti sono tali se sono un partito di governo. Cioè se si pongono leninisticamente il problema del potere.
Ma oggi non vedo le condizioni per un patto di governo. Ci scontreremmo, il giorno dopo aver vinto le elezioni, con politiche economiche restrittive, forse meno violente di quelle della destra, ma altrettante aggressive sul piano dei tagli. Abbiamo già durissimamente pagato le politiche monetarie di Padoa Schioppa e del governo Prodi nel 2006-2008. Per questo sono convinto che ad oggi non esistano le condizioni per un patto di governo. E vi confesso che mi appassiona assai poco l’idea di scrivere un programma di 400 pagine in cui il non detto prevale sul detto affinché tutti possano trovarsi d’accordo.
Insisto su questo punto perché invece nel dibattito interno dei partiti nostri alleati, nella Federazione della Sinistra, c’è chi ritiene che le condizioni ci siano. E’ bene quindi, prima di aprire un confronto con le altre forze politiche, che questa assise dia un mandato a me e ad ai compagni che andranno a trattare. Propongo dunque che nel documento che varerà l’accordo per la Federazione della Sinistra non venga scritto che ci sono le condizioni di un accordo di governo con il centrosinistra. Tuttavia non sono neanche d’accordo con alcuni autorevoli rappresentanti di Rifondazione che pensano ad un accordo con il centrosinistra al solo scopo di cambiare la legge elettorale. Non ci capirebbe nessuno. Perché se ci limitassimo a dire agli italiani, che vivono condizioni drammatiche di vita e di lavoro, che accettiamo il governo per fare una nuova legge elettorale e tornare quindi al voto, ci prenderebbero per pazzi, per incoscienti. E’ vero che il bipolarismo obbliga ad alleanze innaturali ed ha dato risultati pessimi, ma per i cittadini e i lavoratori questo non è un argomento sufficiente. Quando accadono episodi come quello
di Pomigliano sono ben altre le cose che la gente si aspetta. Davvero non ci comprenderebbe nessuno.
Io propongo un’altra strada. A mio avviso un patto con il centrosinistra va negoziato. Ma non un
accordo di governo, solo alcuni punti programmatici qualificanti. Penso alle questioni sociali ed al
grande scandalo del fisco, il cui 90% degli introiti fiscali viene dal lavoro dipendente; penso al lavoro ed al precariato; penso a scuola e università. Tre grandi questioni da negoziare; tre obiettivi da rendere concreti. I nostri obiettivi. Questo ci permetterebbe una campagna elettorale seria ed onesta, in cui sarebbe del tutto chiaro cosa vogliono i comunisti. E se il centrosinistra vincerà e governerà, noi sosterremo il governo in nome di quei tre obiettivi. Un accordo complessivo, invece, ci obbligherebbe a discutere di tutto, sapendo che ci sono punti in cui trovare un’intesa sarebbe impossibile. Pensate, per dirne uno, alla politica estera.
La linea che vi propongo ci consente di affrontare correttamente l’opinione pubblica, senza entrare in una impossibile gestione della politica economica. Impossibile, care compagni e compagni, perché il Pd, o almeno la sua parte liberista, non ha una linea così diversa da quella di Tremonti.
Il nostro obiettivo è duplice: il primo, costruire una coalizione che consenta al centrosinistra di vincere, cacciare Berlusconi e ristabilire regole democratiche in un Paese ormai alla deriva, senza legalità, sconquassato dal malaffare. Il secondo, riportare i comunisti in Parlamento. E, aggiungo, che strettamente connesso alla difesa della democrazia ed al ritorno dei comunisti in Parlamento è il rilancio e il rafforzamento del Pdci.
C'è, sul tema dell'unità a sinistra, una discussione un po’ surreale. Una parte del nostro Partito, ma soprattutto di Rifondazione, immagina l'unità a sinistra come una svendita della propria identità. E’ vero che l’esperienza dell’Arcobaleno è ancora viva e ogni volta che si parla di unità a sinistra viene voglia di mettere mano alla pistola. E’ una vecchia citazione andreottiana, anche se prima di lui lo aveva detto Goebbels. La sinistra che abbiamo conosciuto con l’Arcobaleno ci ha, per alcuni versi, segnato a vita. Una sinistra incolore, debole, anticomunista. Ma guai a noi se quell’esperienza diventasse un freno alla nostra iniziativa politica. L'idea che l'unità della sinistra metta in discussione l'identità dei comunisti è espressione di debolezza, non di forza. Non c’è alcuna contraddizione tra l'unità delle sinistre e il rilancio dei comunisti. Se la tua identità comunista è forte, chiara, se hai un tuo pensiero strutturato, che rischio c’è? Di cosa dovremmo avere paura? Ci sono tanti uomini e donne di sinistra ma non comunisti. Con loro è necessario e importante dialogare per costruire un fronte ed obiettivi comuni. Sull’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, c’è una sinistra non comunista che dia battaglia assieme a noi? Certo che c’è! Ed è più larga e convinta di quanto non si creda. Cos’è che ci differenzia dal resto della sinistra? Per schematizzare: cosa ci differenzia da Sinistra e Libertà? Un fatto ontologico, direbbe Aristotele, perché noi non siamo generalmente riconducibili alla sinistra, siamo strutturalmente una cosa diversa. E’ una questione di Dna. La sinistra non si pone il cambiamento del sistema economico, sociale e istituzionale della società nella quale vive, non vuole superare il sistema capitalistico. La sinistra ha obiettivi parziali che possiamo condividere o non condividere. E per quegli obiettivi, seppur parziali, si può fare insieme molta strada, si può costruire consenso, organizzare lotte.
Lo schema che vi propongo è dunque il seguente. Il congresso del Pdci si baserà sulla linea della unità dei comunisti, quella che abbiamo lanciato a Salsomaggiore e che resta la nostra linea di fondo. Tre anni fa proponemmo a Rifondazione un unico partito comunista. Rifondazione non ha mai condiviso la nostra proposta. Dobbiamo prenderne atto. Ma questo non significa rinunciare all’obiettivo di un unico e più grande partito comunista. E allora io vi propongo di mettere a disposizione di tutti coloro che si ritengono comunisti, che si percepiscono comunisti, il nostro partito, il Pdci. Non è un mistero che alcuni compagni di Rifondazione guardano con favore a questo progetto. Non stiamo parlando di masse, tuttavia è un segnale interessante e positivo. Il nostro primo obiettivo è dunque il consolidamento e l’allargamento del Pdci, senza volontà egemonica, mettendo laicamente a disposizione l’unica forza comunista che esiste in Italia.
Ultimamente, tra le nostre fila, è ripartita una sorta di tormentone. “Facciamo la costituente dei
comunisti”, propongono alcuni compagni. Rispondo a quei compagni, senza alcuna volontà polemica, fotografando la realtà per quella che è: ma con chi la vogliamo fare la costituente? La costituente si fa se pezzi consistenti si mettono insieme e individuano un percorso comune. Sarebbe stato possibile se tutta Rifondazione comunista avesse accettato la nostra proposta. Avremmo dato avvio alla costituente dei comunisti in maniera seria e credibile.
C’è poi qualcuno che vagheggia la costituente della sinistra: noi, Rifondazione, Sel, un pezzo di Italia dei Valori… Io non ci parteciperei, vi dico con grande sincerità che questo obiettivo non mi interessa, non è il mio, ma riconosco che in questo caso si tratterebbe di una costituente. Non mi interessa perché voglio costruire un’altra cosa, che per il momento si traduce nella massima disponibilità del partito di mettersi a disposizione di chiunque voglia ancora dirsi ed essere comunista.
La storia - per un incidente, forse - ha messo sulle nostre spalle una enorme responsabilità. Siamo un piccolo partito che mantiene una straordinaria irriducibilità comunista. Alla riunione di oggi siete venuti in tanti e questo mi dà grandi speranze, è una bella risposta del Partito, unica forza comunista presente in tutte le province, le città, le regioni: questo piccolo partito ha l’enorme responsabilità di tenere aperta la questione comunista in Italia. La bizzarria della storia ci ha assegnato questo compito.
Abbiamo il dovere di provarci.
E’ tutto questo in contraddizione con la costruzione di una sinistra più larga? Questa è la domanda di fondo. Temiamo davvero che la costruzione della Federazione della Sinistra inquini la nostra identità? A me sembra una sciocchezza e insieme una debolezza politica. Il processo di allargamento dei comunisti impedisce che parallelamente vada avanti un processo di unità della sinistra? E perché? Perché i non comunisti inquinerebbero o indebolirebbero la nostra identità?
Ma perché, compagne e compagni, siamo così pavidi nel dialogo con gli altri? Io non ho alcuna paura di essere inquinato perché la mia è un’identità forte. Non c’è contraddizione se, insieme al processo di unità dei comunisti, proseguiamo nella costruzione della Federazione della Sinistra. Le due cose si combinano. Tanto più perché d’ora in avanti, con le leggi elettorali approvate e con quelle che si intendono approvare, sarà difficile immaginare percorsi in cui il Pdci o Rifondazione si presentino da soli.
La nostra azione deve essere ispirata al massimo della duttilità. La Federazione della Sinistra è
un’opportunità? Secondo me, secondo noi, secondo il gruppo dirigente, secondo la direzione, sì. E’
un’opportunità da perseguire senza peraltro mettere in discussione la linea dell’unità dei comunisti. E’ questa la nostra bussola.
Apro una parentesi per dare risposta ad una domanda che mi è stata rivolta da molti compagni. In questi giorni è circolato un appello per l’unità della sinistra firmato da compagni del nostro partito, di Rifondazione e da alcuni di Sinistra e libertà. L’appello sostanzialmente dice cose già dette in altre occasioni. C’è qualcuno che è contrario all’unità della sinistra? Probabilmente qualcuno c’è, ma sbaglia. Qual è allora il punto? Il punto è che oggi quell’appello viene strumentalmente usato da un pezzo di Rifondazione per polemiche interne in vista del congresso e di conseguenza ha cambiato la sua natura originale. Quelli che lo hanno firmato prima che fosse strumentalizzato hanno fatto bene, ma oggi è diventato un’altra cosa e non è nostro costume entrare in battaglie del tutto legittime ma non nostre. E di tutto abbiamo bisogno tranne che di complicarci la vita. La linea del partito è rappresentata dall’unità dei comunisti e dalla Federazione della Sinistra. Invito le compagne e i compagni a concentrarsi su questi due percorsi. Le lotte interne di altri partiti a noi non interessano.
C’è un altro tema che voglio trattare, il rapporto con Sinistra e Libertà. E’ stato ed è oggetto di molte discussioni tra i compagni. Se vogliamo essere all’altezza del nome che portiamo, “comunisti”, dobbiamo fare ragionamenti non rozzi su chi riteniamo diverso da noi. Sinistra e Libertà è una cosa, Nichi Vendola è un’altra. Per me è scontato, ma nella vulgata Sinistra e Libertà sembra coincidere con Vendola e viceversa. In realtà Vendola sta giocando un’altra partita. Si candida a fare il leader del centrosinistra e non il leader di Sinistra e Libertà. Stanno per iniziare i tre giorni delle “Fabbriche di Nichi” e non di Sinistra e Libertà! L’ambizione di Vendola è infinitamente più grande di ciò che rappresenta Sel ed è una delle facce della personalizzazione della politica, di quel leaderismo che ha contagiato destra e sinistra. Poiché non siamo rozzi, dobbiamo riconoscere che Vendola è molto bravo.
Ha appoggi potenti e sta riscuotendo una simpatia di massa analoga, e per certi versi più larga, di quella di Bertinotti all’inizio della sua segreteria in Rifondazione. Lasciatemi dire che considero Vendola oltre che bravo anche molto abile: non dire nulla può piacere a tutti, ma quel nulla che dice lo dice benissimo. Chapeau! Nessuno di noi è stato in televisione o sui giornali quanto è riuscito e riesce a starci lui, che fra l’altro ha approfittato magistralmente degli errori drammatici del Partito Democratico.
Sono state le primarie in Puglia che gli hanno dato l’abbrivio. E Vendola è riuscito a sfruttarle al
massimo. Ma, lo ripeto, è cosa diversa da Sel. Sinistra e Libertà, lo dico a mo’ di paradosso, può essere per Vendola l’ancora di salvezza ove gli vada male l’operazione con il centrosinistra. Ma intanto lavora alle Fabbriche di Nichi che si tengono nelle sedi del Pd!
Sinistra e libertà è divisa tra chi vorrebbe partecipare alla Federazione della Sinistra e chi si è buttato anima e corpo nel progetto di Vendola. Si sono lacerati, in particolare il gruppo dirigente che viene dalla storia comunista e quindi anche i fuoriusciti da Rifondazione. Questa divisione a noi interessa o no? Domanda retorica, ovviamente. Noi facciamo politica, non proclami. Se ci sarà un pezzo di Sinistra e Libertà che vuole rimanere a sinistra del Pd e che non ha intenzione di seguire Vendola, abbiamo il dovere di provare a costruire un’interlocuzione. L’idea che non dobbiamo interessarcene perché non sono comunisti è profondamente sbagliata. Sapete quanti ce ne sono dentro Rifondazione che non sono comunisti? Per paradosso ci sono più comunisti in Sel che in Rifondazione, con la quale tuttavia teniamo un rapporto che vogliamo consolidare. Il rapporto con pezzi di Sel è importante. Giochiamo d’attacco, compagne e compagni. Non restiamo in trincea a difendere qualcosa che non c’è più. Usciamo dalle sedi, offriamo dibattiti, terreni di lavoro, raccolte di firme in comune, facciamo politica, facciamo scoppiare le contraddizioni degli altri. Vendola non ci vuole nel centrosinistra. Per noi sarebbe un suicidio. Ma siccome non abbiamo alcuna intenzione di suicidarci, dobbiamo lavorare politicamente perché nel Pd non prevalga l’idea dell’autosufficienza. Ma se Vendola vince le primarie e diventa il capo del centrosinistra, dobbiamo sapere che farà del tutto per non averci nella coalizione. Perché? Perché siamo comunisti. E allora come avere un rapporto con uno che non ti vuole? Con l’intelligenza della politica, non regalandogli rendite di posizione. Se noi ci autoescludessimo, se pensassimo ad un polo alternativo al Pd, regaleremmo a Vendola una rendita di posizione, quella di rappresentare la sinistra del centrosinistra.
C’è poi un altro punto di discussione, rappresentato da un fantasma che s’aggira per l’Europa e che, in questo caso, non è lo spettro del comunismo. Si chiama Die Linke ed è la sinistra che qualcuno in Italia propone. Sto schematizzando molto. È la proposta di pezzi di Rifondazione che dicono: “Dobbiamo far sì che i comunisti, cioè la Federazione della sinistra, si associ con Sinistra e Libertà per costruire insieme la Linke italiana”. Ma cosa è davvero la Linke? Lo dico ai compagni che non seguono le vicende europee. La Linke è l’unificazione tra i comunisti della Ddr dell’ex Germania dell’Est e i socialdemocratici di sinistra dell’Ovest. Alle ultime elezioni hanno avuto un grande successo, con percentuali che veleggiano oltre il 7%. In qualche stato, regione, Länder tedesco, raggiungono percentuali notevolissime. Ma la situazione è profondamente diversa da quella italiana, lì pesa ancora la storia della Germania dell’Est. Un’ipotesi simile non è ripetibile. Provo a ragionare in maniera oggettiva, cioè indipendentemente dal fatto che a qualcuno piaccia oppure no. In Germania la Linke scaturisce, prima ancora che da due partiti, dall’unificazione di due paesi, due stati diversissimi l’uno dall’altro, la DDR e la Germania occidentale. Quando c’è stata la riunificazione dei due stati si è posto il problema di due partiti che esistevano a livello territoriale, sia ad Est che ad Ovest, e che solo insieme potevano dare vita a un partito di sinistra e nazionale. In Germania l’operazione di Lafontaine aveva dietro l’Ig Metal, cioè il sindacato metallurgico tedesco, lavoratori in carne ed ossa che hanno appoggiato una linea socialdemocratica di sinistra. Vi sembra, compagni, che lo stia facendo anche la Cgil? La Cgil è il convitato di pietra. Mi auguro che prima o poi faccia qualche scelta visto che il Partito Democratico l’ha lasciata sola persino nella vicenda di Pomigliano. Sel rappresenta oggi quello
che è la Lafontaine in Germania? Nemmeno per sogno. In Italia l’unificazione della Federazione della Sinistra con Sel significherebbe tutto tranne la riedizione della Linke. E dunque è una cosa che semplicemente non c’è.
Io chiedo a tutto il partito una grande capacità tattica: la costruzione della più larga unità a sinistra, anche fuori della Federazione della Sinistra. Abbiamo sperimentato nelle regionali che dove ci siamo presentati in coalizione abbiamo preso voti, mentre dove ci siamo presentati da soli gli elettori ci hanno puniti. Tranne in un caso, laddove non abbiamo scelto noi di andare da soli, come nelle Marche, ma sono stati gli altri a volerci fuori dalla coalizione. Nelle Marche si è costruito un polo di sinistra, anche con la presenza di Sel, e il risultato è stato molto buono. Ma è stato chiaro fin dal primo momento che eravamo spinti da una forte vocazione unitaria che il Pd aveva rifiutato ed osteggiato.
L’ultimo punto riguarda il profilo della nostra ricerca di comunisti. Io sento molto questo problema, anche personalmente, anche per questa contingenza della storia che ci assegna una responsabilità. Ma, care compagne e cari compagni, bisogna che entri nella testa di ciascuno di noi tutti, a cominciare da chi vi parla, che sul comunismo abbiamo troppo spesso gli occhi rivolti al passato. Forse è inevitabile, ma è mortale. Non è possibile parlare di comunismo e di comunisti come negli anni 30 o negli anni 50.
Il mondo è cambiato, e sono cambiati innanzitutto i paesi comunisti. Con loro dobbiamo iniziare a
interrogarci, a scambiarci opinioni, ad affrontare una serie ricerca sul comunismo nel terzo millennio, nell’epoca del web, delle telecomunicazioni di massa. È questo il motivo di fondo per cui è nata l’associazione culturale Marx XXI, che il 12 giugno a Roma ha tenuto il suo primo convegno sulle riforme istituzionali. E’ stato un convegno importante. Perché essendo noi comunisti affrontiamo il tema delle riforme istituzionali in modo diverso dagli altri, compresa la sinistra non comunista. Per noi le questioni istituzionali sono una delle facce del conflitto
sociale. Da quest’intreccio scaturisce la proposta dei comunisti.
Quali sono i contenuti nuovi, innovativi, l’aria fresca che immettiamo da comunisti nella discussione e nella battaglia politica? Dobbiamo riprendere a studiare, compagni. Pubblicheremo i materiali del convegno sulle riforme istituzionali e sono curioso di vedere - anche questa è una domanda retorica - quante delle nostre organizzazioni territoriali li ordineranno per usarli nella formazione dei nostri giovani, nella discussione, nella ricerca.
E’ la nostra pochezza intellettuale, e non la vicinanza o l’alleanza con i non comunisti, che ci espone alla contaminazione, possibile laddove abbassi la guardia della tua identità. Nel confronto di merito con quelli della sinistra non comunista, se noi fossimo quelli di una volta vinceremmo e invece abbiamo spesso difficoltà e spesso sono gli altri ad esercitare egemonia nei nostri confronti.
L’Associazione Marx XXI offrirà, a chiunque lo vorrà tra di noi, gli strumenti adeguati. Non è
un’associazione del Partito, ci sono dentro comunisti di altre forze politiche e tanti che non hanno
appartenenze partitiche. C’è una intellettualità diffusa che chiede luoghi di discussione e di studio. Da tempo non ce ne sono più. Questa associazione metterà a disposizione non cose astratte, ma proposte e materiali affinché il profilo identitario non sia più costruito con gli occhi rivolti al passato ma al futuro.
Due ultime cose telegrafiche. La prima riguarda le nostre finanze. Spesso affrontiamo il problema
distrattamente. E invece il partito sta finendo i soldi. La Tesoreria e l’Amministrazione stanno facendo i salti mortali. Abbiamo messo compagne e compagni in cassintegrazione, abbiamo chiuso il giornale e la tv. Me ne assumo ogni responsabilità. Queste misure non sono state prese, come qualche scellerato ha detto, perché “si sta chiudendo” il partito. È esattamente il contrario. Stiamo facendo drasticamente economia per poter arrivare al 2013, data delle elezioni nazionali. Abbiamo qualche piccola risorsa, ma siamo all’osso. Dobbiamo aiutarci reciprocamente, perché ci sono regioni che hanno consiglieri e assessori e gestiscono un po’ di risorse, mentre altre regioni non hanno nulla. E sapete come ci si aiuta?
Evitando che, anche nel nostro partito, si applichi il federalismo fiscale. Una regione che ha avuto
eletti alle regionali non può tenersi i soldi senza pensare al resto del partito. Dobbiamo creare un
circolo virtuoso, non lasciato alle singole regioni ma coordinato dal nazionale. Dobbiamo istituire un fondo di solidarietà che possa aiutare chi è in cattive condizioni. Naturalmente si tratta di una decisione che deve essere assunta dalla Direzione del Partito. Io mi limito a proporla alle compagne e ai compagni in modo che si possa dare un mandato alla Tesoreria per procedere ad un piano di ripartizione delle risorse.
Ed infine l’ultimo punto. Abbiamo affrontato varie difficoltà e ci sono stati momenti di grande
scoraggiamento nel Partito, anche in relazione al mio incidente. E’ sbagliato, compagne e compagni, legare ad una singola persona i destini di una comunità. Io non amo la politica personalizzata, tuttavia da qualche giorno sono, ancorché zoppicante, pienamente in campo. Sono riuscito a tenere il primo attivo regionale in Toscana, farò il congresso dell’Umbria la prossima settimana. Intendo partecipare al maggior numero possibile di attivi regionali recuperando questi mesi di inattività forzata. Ci stiamo giocando una partita che va infinitamente al di là del Pdci, che riguarda una generazione intera, forse un pezzo di storia comunista in Italia. E allora dobbiamo guardarci in faccia per sapere chi ci sta e chi non ci sta. Chi ci sta, ventre a terra e inizi a correre, perché la specificità dei comunisti rinsalda oggi un patto collettivo che è quello che fonda la nostra comunità. Che a vederla oggi, attraverso i vostri occhi e la folta presenza a questa riunione, forse sta meglio di quanto avessero preventivato tanti uccelli del malaugurio.