lunedì 29 novembre 2010
comunicato di Stefano Luciano sull'Italcementi
sabato 27 novembre 2010
Scuola: il futuro sarà a pagamento
Nella nostra regione la situazione non cambia. Una regione particolarmente colpita dai tagli. Tra le provincie sul fronte di guerra si distinguono particolarmente Reggio Calabria, che oltre a far i conti con i tagli deve anche vincere la battaglia morale e legale messa in luce, nei giorni scorsi, con l’ufficializzazione delle infiltrazioni mafiose da parte della Procura reggina; Cosenza dove le proteste continuano imperterrite e dove è stata occupata l’aula Magna. Ma tra tutto questo rimane nel buio, quasi assoluto, Vibo Valentia.
Sia la FGCI che il PdCI di Vibo Valentia sono vicini a tutti gli studenti che nonostante manganellate e arresti continueranno la loro lotta in nome dei diritti che noi tutti pretendiamo.
venerdì 26 novembre 2010
Risposta ai consiglieri regionali del PdL
MICHELANGELO TRIPODI
Ex Assessore regionale all’Urbanistica
Comunicato replica ai consiglieri regionali del PdL
MICHELANGELO TRIPODI
CONTRO IL PATTO SOCIALE, SCIOPERO GENERALE!
Tripodi eletto nel Consiglio Politico Nazionale della FdS
MENO TASSE PIU’ SERVIZI
martedì 23 novembre 2010
Nucleare? NO GRAZIE
lunedì 22 novembre 2010
Sistema previdenziale: il buco nero inghiotte i precari
Sono di nuovo i giovani a pagare il conto, sono di nuovo loro quelli nell’occhio del ciclone! Il motivo è quasi sempre lo stesso, dagli errori fatti in passato adesso a pagare sono le generazioni future, nel caso specifico la nostra generazione, quella dei nostri figli, dei nostri nipoti. Sono loro che a conti fatti, nel migliore dei casi si dovranno accontentare di trascorrere una quarta età fatta di stenti.
È di qualche giorno fa la dichiarazione del presidente dell'INPS Antonio Mastrapasqua:
"Se dovessimo dare la simulazione della pensione ai parasubordinati rischieremmo un sommovimento sociale".
Così com’è successo nel luglio di quest’anno per i dipendenti subordinati, nelle prossime settimane, saranno inviate circa 4milioni di lettere da parte dell’inps ai dipendenti parasubordinati per informarli della loro posizione previdenziale, dunque dei contributi versati. Non sarà possibile invece per gli stessi, consultare il sistema di simulazione della pensione che andranno a ricevere, così come succede per i lavoratori subordinati. Il perché dell’impossibilità alla consultazione? La risposta ce l’ha data il presidente dell’inps che con tono quasi ironico ha esternato l’affermazione sopracitata. Ma di ironico non c’è proprio niente perché col sistema contributivo infatti, il trattamento maturato dai parasubordinati e consulenti, spesso non arriva alla pensione minima.
Proviamo a capire qual è il motivo di questa situazione e soprattutto perché i precari che l’inps ama tanto chiamare lavoratori parasubordinati, molto probabilmente non arriveranno a ricevere un soldo dai contributi che stanno versando. Per farlo dobbiamo spostarci in un periodo non troppo lontano. Prima del 1995, il meccanismo di calcolo delle pensioni veniva effettuato secondo i criteri del sistema retributivo. La rata di pensione che un soggetto riceveva al momento di collocamento in quiescenza era data dal prodotto tra la media dei salari degli ultimi 5 anni, gli anni contributivi ed un’opportuna aliquota fornita dall’ISTAT. È facile pensare che un sistema dove i meccanismi di calcolo della pensione sono dati dai criteri esposti sia abbastanza “generoso”, è immediato infatti capire che la storia lavorativa di un soggetto non è legata solo agli ultimi 5 anni di lavoro e che con elevata probabilità lo stipendio che questo percepisce ad inizio carriera non è per nulla paragonabile a quello che lo stesso percepisce a carriera più avanzata. Ci sono molti fattori che fanno si che questo sia possibile, tra i quali l’adeguamento dei salari all’inflazione e gli aumenti salariali legati alla carriera stessa. Tenendo conto solo degli ultimi 5 salari, dunque i più elevati, si andava in pensione con una rata a volte maggiore del salario che si percepiva quando si era nella forza lavoro. È facile intuire dunque che un meccanismo di calcolo di questo tipo non poteva reggere, anzi già non reggeva perché se si tiene conto che il sistema previdenziale italiano non si occupa solo delle pensioni di vecchiaia e di anzianità ma anche di quelle di invalidità, inabilità e superstiti, inoltre degli assegni sociali, di maternità di disoccupazione e malattia, la spesa che risultava (e che risulta) dal nostro sistema non riusciva ad essere compensata dalle entrate.
Nel 1992 con la riforma Amato si cercò di ridurre in qualche modo questa spesa, facendo risultare il calcolo della pensione non come media degli ultimi 5 salari ma degli ultimi 10 e portando l’età pensionabile da 55 a 60 anni per le donna e da 60 a 65 anni per gli uomini.
Il vero cambiamento però si è avuto nel 1995 a seguito della legge Dini, che ha segnato il passaggio dal sistema previdenziale di tipo retributivo e a capitalizzazione (i contributi di oggi sarebbero stati utilizzati per pagare i pensionati di domani), ad un sistema previdenziale di tipo contributivo, in cui la rata di pensione non veniva più calcolata tenendo conto della media degli ultimi salari, ma del montante dei contributi che un soggetto versa durante tutta la sua attività lavorativa. Il montante dei contributi, ottenuto calcolando i contributi come un’aliquota del 33% (nel caso dei lavoratori dipendenti) dei salari annui e capitalizzati attraverso un indice fornito dall’ISTAT, si moltiplica per un coefficiente di trasformazione che appunto consente di individuare quale sarà la rata annua lorda di pensione. Si passa inoltre da un sistema a capitalizzazione ad un sistema a ripartizione e cioè la massa dei contributi pagati dalla forza lavora di oggi vengono utilizzati per pagare i soggetti che oggi sono pensionati. Cambiano i requisiti per il pensionamento di anzianità, bisognava avere almeno 57 anni di età e 35 di contributi, quindi si elimina il fenomeno dei “baby pensionati” che consentiva di andare in pensione con un’anzianità contributiva di soli 20 anni indipendentemente dall’età. Inoltre in merito ai coefficienti di trasformazione questi saranno più bassi quanto più bassa sarà l’età in cui il soggetto decide di andare in pensione
È del 2004 la controriforma Maroni-Berlusconi quella che introduce ulteriori trasformazione al meccanismo di pensionamento per anzianità: vengono introdotti i così detti “scalini” e cioè l’età di accesso alla pensione per anzianità viene incrementata ogni due anni di uno con uno “scalone” iniziale e cioè l’età passa da 57 a 60. Dunque ferma restando l’anzianità contributiva a 35 anni, a partire dal 2008 per poter andare in pensione per anzianità si devono avere 60 anni, per poi passare a 61 nel 2010 ed a 62 nel 2012. Verrebbe da osservare che andare in pensione per anzianità contributiva, ormai sta diventando solo una questione di facciata perché è abbastanza semplice notare che nel 2012 il requisito di accesso è 62 anni e che per quanto riguarda i coefficienti di trasformazione, a quest'età quello applicato è più basso dello stesso calcolato a 65 anni, è ovvio che si preferisce rimanere nella forza lavoro per altri 3 anni (sempre se non si raggiunge prima il limite massimo di anzianità contributiva di 40 anni). La riforma pone l’attenzione ai fondi pensione complementari, evidenziando come l’adesione ad essi sia necessaria non solo per dare alle famiglie italiane uno strumento che integri la minore pensione pubblica del futuro, ma anche per evitare che venga rimesso in discussione il principio contributivo, ossia il cardine stesso del nuovo sistema pensionistico.
La controriforma pensionistica Maroni-Berlusconi indebolisce il sistema pensionistico pubblico, il suo carattere universale e solidale che era già stato pesantemente picconato dalla legge Dini del 1995.
Si andrà in pensione più vecchi e con una pensione più povera, infatti la rata di pensione che riceveranno tenderà ad essere sempre più bassa per effetto delle revisioni sui coefficienti di trasformazione, che essendo legati all’aspettativa di vita tenderanno ad essere più bassi di fronte ad un allungamento della vita media. La legge Dini prevedeva che tali coefficienti sarebbero stati rivisti ogni 10 anni, il 1° Gennaio di quest’anno, dunque 15 anni dopo l’applicazione dei primi sono entrati in vigore i nuovi coefficienti di trasformazione, più bassi rispetto a quelli della legge Dini del 95, perché la vita media si è allungata. Per avere dei coefficienti simili a quelli che erano fissati a 65 anni per la legge Dini, si dovrebbe allungare ulteriormente l’età di pensionamento. Ma niente paura perché a tutto ciò ci ha già pensato il nostro caro presidente del consiglio, infatti con la legge 102/2009 il governo Berlusconi ha varato una norma che prevede, a decorrere dal 2015, che i requisiti di età anagrafica per l'accesso al sistema pensionistico sono adeguati all'incremento della speranza di vita, con riferimento al quinquennio precedente. Si tratta dunque di un innalzamento dell’età pensionabile collegato alla speranza di vita che dovrebbe agire in controtendenza rispetto alla diminuzione dei coefficienti. Per i giovani e i neoassunti sarà dunque una vera catastrofe: si troveranno a lavorare fino a chissà quale età e a “scadenza” usufruiranno di un miserevole assegno pensionistico (il 50% circa dello stipendio) ed anche se decidessero di aderire ad un fondo integrativo, la rendita finale aumenterà di un misero 10-15%, al costo di dire addio alla buonuscita.
Ma, a questo punto viene da porgersi un’altra domanda: e la disoccupazione??? Se ci sarà sempre più permanenza della forza lavoro anche ad età abbastanza elevate, come si fa a fronteggiare un altro fenomeno che in Italia ha un carattere piuttosto rilevante??? O il precariato stesso??? Come si fa a divenire lavoratori subordinati se i posti sono sempre tutti così pieni e non si crea nuova occupazione??? Sembra di essere in un tunnel senza uscita o volendo usare un detto molto più popolare sembra di avere a che fare con “un cane che si morde la coda”. Ma non è questa la sede per affrontare il problema, dunque tornando al nostro sistema previdenziale si vuole precisare che il motivo di quest’intervento è quello di informare i lavoratori, o meglio i contribuenti, dello stato in cui versa il nostro sistema previdenziale, ed affermare che quando si legge o si apprende che nello stato attuale delle cose sarà già solo un miracolo percepire pensione, non è solo per fare notizia ma la situazione esiste davvero ed è molto più grave di quello che noi pensiamo. Basti pensare che il nostro sistema è a ripartizione, e che i diversi fondi che aderiscono: fondo dei coltivatori diretti, fondo degli artigiani e quello dei commercianti sono tutti in negativo, solo quello dei lavoratori dipendenti è in positivo ma se si aggiunge il fatto che la cassa dei dirigenti d’azienda, degli elettrici e dei trasporti (sempre tutte in negativo) vanno a finire nella grande cisterna dei lavoratori dipendenti allora quest’attivo smagrisce; che con tutto questo calderone di disavanzi negativi di bilancio, spese, spese e ancora spese, si continuano a pagare le pensioni di chi in pensione c’è già. E il futuro??? È come scorgere l’orizzonte e non vedere nulla, e si perché è meglio dire che non si veda nulla, è meglio omettere piuttosto che dire che la situazione si presenta difficile e comunicare alla gente, ai precari soprattutto, che devono provvedere al loro futuro in altri modi perché dopo una vita di lavoro incerto, dopo aver pagato fiumi di contributi, forse il sistema a loro la pensione non la darà!!!
Anita Porretta
Giuseppe Ambrosio (PdCI Vibo Valentia)
venerdì 19 novembre 2010
Diretta video del Congresso della Federazione della Sinistra
giovedì 11 novembre 2010
Vibo-Reggio solo andata.
Dovevo avere un contributo a dir poco qualificato di chi combatte la 'ndrangheta in prima linea, ma per ragioni di sicurezza, per il vento umido afoso e mafioso che soffia ultimamente in questa regione tale contributo verrà meno.
Comprendo le ragioni, comprendo la motivazione ed a tale persona, di cui non farò il nome, va tutta la mia piena solidarietà.
Vivere a perenne contatto con la scorta, annullare la propria vita privata e sociale per cercare di debellare il cancro 'ndrangheta è dura cosa da tollerare e sopportare.
Decido di recarmi in Reggio Calabria passando per Rosarno.
Il sole ha regalato da poche ore il suo calore alla nostra umana coscienza.
Entro in quella che sarà una vera odissea stradale la Salerno Reggio Calabria.
Vibo Valentia è distante da Reggio solo 100 km.
Tra deviazioni, rallentamenti e cantieri perenni, la media di velocità di percorrenza difficilmente supera i 50 km orari.
Prima di entrare dentro tale labirinto epocale, sulla mia destra sorge la prima pietra di quell'ospedale mai costruito, e sulla sinistra la cattedrale nel deserto, l'ennesima; la tangenziale est di Vibo. Enorme speculazione, devastante distruzione ambientale.
Lentamente, giungo in Rosarno.
Vedo un cartello stradale bucato a colpi di lupara, e subito dopo quello che indicava la stazione dei carabinieri bucato a colpi di pistola.
Sinceramente a ciò difficilmente riesco ad abituarmi.
Come abiturarsi a ciò?
Come?
"Quando s'inizia una simile analisi è come se ci si recasse in un bosco non sapendo se c'imbatteremo in un brigante o in un amico".
Queste parole di Svevo tratte dalla Coscienza di Zeno ruotano nella mia mente con moto continuo.
Vedi persone ferme sul ciglio della strada a fumare le loro sigarette. Sembra che vigilino su chi entra nel loro territorio.
Già, il loro territorio recintato dal muro dell'omertà.
Tanti immigrati che camminano lungo la statale 18 intorno alla quale sorge Rosarno, ma anche altri centri abitati come Mileto ad esempio.
Motorini condotti da persone senza casco, auto che ti sorpassano con indifferenza.
Sembra di essere in una terra oltre confine ove le regole della c.d. società civile non esistono.
Vedo ancora immigrati seduti sul muretto.
Mi avvicino a loro.
Tutti in massa accorrono verso l'auto che conduco.
Pensano che sia lì per offrir loro lavoro.
Ma li deludo, non sono un mercenario del lavoro.
Gli chiedo se sono disponibili a rispondere a qualche semplice ed immediata domanda, garantendo loro l'anonimato.
" E' cambiato qualcosa dopo la rivolta?"
Mi risponde uno dei ragazzi...
" Se vieni qui dalle sei di mattina fino alle otto trovi tante persone che cercano lavoro e lo trovano".
" Non è cambiato nulla quindi?"chiedo ancora...
ed il ragazzo mi risponde... " tutto come prima mi dicono"
Tutto come prima!
Per avere conferma di ciò girovagando per il paese chiedo la stessa cosa ad altri immigrati.
Spiego loro che non sono lì per dare lavoro ma per avere informazioni.
Anche loro mi dicono tutto come prima.
Che quella rivolta vera o finta che sia , strumentalizzata o meno ; è stata a realmente anomala, irregolare, non conferma alla regola di quel sistema.
In tal gennaio 2010, due giorni dopo gli scontri, il numero dei feriti era di 53 persone, divisi tra: 18 poliziotti, 14 rosarnesi e 21 immigrati, otto dei quali ricoverati in ospedale.
Son convinto che per capire se le cose sono e siano veramente mutate dopo un periodo intenso di mobilitazione mediatica, in quel posto si deve tornare quando le telecamere sono andate via, dopo che il fuoco ha finito di bruciare la rabbia.
A Rosarno è tutto come prima.
Persone in cerca di lavoro, sfruttate dai padroni e non solo, in fila la mattina per essere caricate su camioncini per andare a lavorare.
Merceficazione pura della dignità umana, della persona umana.
" In qualche modo dobbiamo vivere", mi dice uno dei ragazzi con cui ho avuto modo di parlare.
Ognuno tragga le sue conclusioni.
Spero di esser smentito dai fatti, ma non comprendo il motivo per cui avrebbero dovuto mentirmi.
Due gruppi separati di persone , distante da loro vari km che mi confermano la stessa cosa, lo stesso dato, lo stesso modo di essere reclutate, lo stesso modo di vivere, la stessa realtà sociale in cui sono ingabbiate,imprigionate.
Dopo aver avuto conferma di quello che sospettavo da tempo, ovvero che a Rosarno la rivolta degli immigrati non era una rivolta spontanea, libera, ma condizionata e manovrata per altri scopi, decido di rientrare in quel labirinto autostradale.
Dopo varie deviazioni, gallerie senza illuminazione, strada ad una sola corsia, mi trovo all'improvviso sul ponte Carola dal quale si scorge Scilla e Cariddi.
Ovvero lo stretto di Messina, la Sicilia.
Un paesaggio a dir poco splendido, meraviglioso, suggestivo, reale, semplicemente vero.
Giungo a Reggio Calabria, in modo violento.
L'autostrada termina dentro la città.
Si entra direttamente in città, accolti da una lunga ed infinita fila di case a due piani .
E incredibile veder come vengano progettate le cose dalla mente umana.
Follia pura.
Follia mera.
Collocata sulla punta dello "Stivale", alle pendici dell'Aspromonte, al centro del Mediterraneo. Città dalla storia millenaria, divenne alleata di Atena ma Rhegium fu importante alleata e socia navalis di Roma.
Vieni accolto, dopo aver evitato più di una macchina parcheggiata in doppia fila, da quello che è stato definito il lungo mare più bello d'Italia.
In verità è splendido , curato, ordinato.
Infatti, la mia attenzione viene catturata da una statua dedicaca a Ciccio Franco. Si legge : " Leader di boia chi molla, Senatore della Repubblica, giornalista, sindacalista".
Un lungo silenzio pervade il mio essere.
Percorro qualche via interna e vengo accolto dalla musica suonata da un signore anziano.
Suona musica calabrese.
Ma viene suonata con malinconia, con tristezza d'animo.
Ecco il duomo di Reggio, ed alle sue spalle sorge la Procura Generale della Repubblica.
Accanto alla Procura si nota la chiesa degli Ottimati, con impianto architettonico bizantino databile al x secolo, ma noti soprattutto l'esercito .
Sì, l'Esercito inviato dal Governo per proteggere il palazzo di giustizia e non solo.
Non hanno armi tra le mani, sono tesi, si pongono in modo che possano essere visti, in modo che possa filtrare il messaggio l'esercitò c'è.
Lo Stato di guerra è vivo e presente.
Strana sensazione.
Provo a chiedere alla gente di Reggio cosa pensano della venuta dell'Esercito.
Non nascondo che è stato difficile strappare qualche dichiarazione.
Provo ad esempio con uno dei tanti edicolanti di corso Garibaldi, sì quel Garibaldi a cui tante vie centrali sono state dedicate in molte città italiane.
«Un piede è posto al fin sulle ridenti sponde di Reggio e di novella gloria ornar la fronte gli argonauti invano spesseggian folti incrociatori e invano oste nemica numerosa, il dito di Dio conduce la tirannicida falange e oste e baluardi e troni son rovesciati nella polvee e riede sulle ruine del delitto il santo dell'uom diritto e libertade, e il cielo alla redente umanità sorride.»
Ecco quanto scrisse Garibaldi su Reggio Calabria.
Ma se solo la gente sapesse che la sua opera, impresa, è stata finanziata e come dire coperta, protetta dalla massoneria inglese, non credo che sarebbero contenti di vedere il corso principale delle loro città dedicato al dittatore Garibaldi...
Comunque, ritornando al discorso di prima, provo a "strappare" qualche impressione all'edicolante a cui garantisco l'anonimato.
All'inizio sembra essere disponibile, ma non appena pronuncio la parola che non si deve sentire, ascoltare, 'ndrangheta, testualmente mi dice: " non vi so dire, non sono addentrato in queste cose , non mi riguarda".
Detto in poche ma chiare parole, non vedo, non sento, non parlo.
Ritorno sul lungo mare.
" L'esercito è una brutta immagine per la nostra cittadina, sembra militarizzata, anche se è messo in pochi posti, è un problema".
Questo è quanto mi rifersice un passante disponibile. a cui domando se il problema principale è l'immagine e non altro.
" Si l'immagine della città è compromessa".
Certo l'apparire è cosa che deve essere tutelata, ovvio.
" Ci sentiamo più protetti come cittadini".
Questo è quanto mi riferisce una ragazza seduta su una delle tante pachine di quel particolare lungo mare di Reggio, accanto ad un ragazzo, con cui stavano discutendo di normativa, di leggi.
Il ragazzo mi dice:" Può essere utile l'esercito solo se vengono liberate le forze dell'ordine dalla vigilanza. Quello della presenza dell'esercito è un falso problema."Però mi dice anche: " nelle scuole le cose lentamente cambiano, si organizzano corsi, contro questa cosa particolare che c'è qui, si parla di più".
Gli chiedo si riferisce al crimine, alla 'ndrangheta?
" Si."
Quanto è difficile pronunciar tale parola nella terra ove comanda e spadroneggia il crimine.
Una terra dove però esistono realtà che la combattono, dove esistono persone che vogliono altro sistema ponendo a rischio ogni giorno la propria incolumità psicofisica, la propria vita.
Il suono del mare addolcisce quel senso di gusto amaro che ha depredato il mio ottimismo in tale giornata calabrese.
Vedo l'orizzonte definito dalla terra di Sicilia, vedi sulla spiaggia ragazzi che si rincorrono spensierati, vedi persone che scambiano il loro primo bacio e vivono il loro primo e vero amore.
Vedo scorrere la vita quotidiana fatta di emozioni e sentimenti, di passioni ed amori, di dolori e reticenze.
Vibo- Reggio solo andata perchè è lì, a Reggio, che oggi è rimasta la mia mente.
Marco Barone