lunedì 28 aprile 2008

Tutti a casa, l’imbroglio è finito

PER UN BILANCIO FRANCO E TRASPARENTE DELLA SCONFITTA
PER UNA VERA COSTITUENTE COMUNISTA

Col tracollo elettorale e la scomparsa dal parlamento della Sinistra Arcobaleno si chiude definitivamente l’era dei compromessi al ribasso, dei governi “amici”, del riformismo senza riforme e dei tradimenti di un ceto politico che per 15 anni ha saputo tutelare solo le sue poltrone. Ora stà ai lavoratori, e in primis a quelle avanguardie comuniste che in questi anni, contro tutto e tutti, hanno faticosamente mantenuto in piedi un opzione di alternativa di sistema, prendere in mano il proprio destino dando vita ad un vero soggetto politico comunista, alternativo non solo al duopolio padronale PD-PDL, ma anche ai rottami politicisti del PRC e PdCI, artefici di dieci anni di disfatte.
Per far fronte al disorientamento e allo scoramento di ampi settori è necessaria una proposta di ricomposizione dei comunisti su basi politiche e programmatiche chiare, che evitino la riproposizione di modelli dimostratisi falliti e puntino senza mezzi termini al rilancio di una nuova stagione di lotte contro il governo più a destra dal dopoguerra ad oggi. Senza più mediazioni parlamentari e deleghe in bianco a nessuno.

Chiamarlo terremoto politico è forse un eufemismo: la tornata elettorale del 13 e 14 Aprile, accanto alla prevedibile affermazione del Popolo delle libertà berlusconiano e all’altrettanto prevedibile consolidamento del PD di Veltroni quale blocco di potere al servizio di Confindustria e della grande finanza, vede la completa estinzione della sinistra istituzionale.

Il crollo di consensi della Sinistra Arcobaleno, passata in soli due anni da più del 10% (cifra arrotondata per difetto sommando solo i voti di Prc, Pdci e Verdi e non tenendo conto della SD di Mussi) a un misero ed insignificante 3,1%, con più di tre milioni di voti in meno, ha superato ogni previsione, configurandosi come la più netta debacle mai verificatasi nella storia elettorale repubblicana.

Così ecco che, all’indomani della mazzata ricevuta dalle urne, i capi della Sinistra Arcobaleno, fanno a gara a chi si arrampica meglio sugli specchi.
Da un lato Giordano ricollega la disfatta al “voto utile” a favore del PD, additando come responsabile proprio quel partito veltroniano di cui il Prc è fedele alleato in tutta Italia; dall’altro Diliberto che sbraita contro l’eliminazione della falce e martello dal simbolo, compiendo un clamoroso autogol politico, in quanto il segretario del PdCI dimostra ancora una volta di essere interessato ai simboli storici dell’emancipazione del lavoro solo nella misura in cui gli permettono di lucrare qualche voto e qualche scranno parlamentare in più!

Come se non bastasse, ai due generali senza più esercito né poltrone si aggiunge poi lo stuolo di commentatori della sinistra radical-chic stile-“Manifesto”, i quali si affannano a voler dimostrare che il soggetto unico sarebbe nato troppo tardi, e che magari andava coinvolta di più la cosiddetta società civile (ovvero qualche altro intellettuale in cerca di fortuna, come se non ce ne fossero già abbastanza in circolazione…).

Come recita un vecchio adagio, non c’è peggior stolto di chi non vuol capire.

Lasciamo dunque perdere pennivendoli e mestieranti della politica che cercano di nascondersi dietro la foglia di fico, e proviamo a ricostruire le ragioni reali di quanto accaduto.
E’ evidente che una tale fuga di massa dagli apparati della sinistra arcobaleno trova le sue radici in una molteplicità di fattori.

1. E’indubbio che ci sia stata un travaso di voti dalla sinistra istituzionale al PD di Veltroni. Bisognerebbe però chiedersi perché ciò sia stato possibile. La verità è che da 15 anni a questa parte l’elettorato genericamente di sinistra è stato ad ogni elezione l’oggetto di una martellante propaganda mediatica, orchestrata proprio da Rifondazione Comunista e dalla cosiddetta “sinistra radicale”, ispirata alla logica del meno peggio, del voto utile, dell’unità con chiunque e a tutti i costi contro Berlusconi, dall’assillante retorica del “battere le destre”.
E’ dunque chiaro come oggi quest’arma propagandistica, che per anni è servita ad assicurare una comoda rendita di posizione agli apparati della sinistra istituzionale, oggi si sia rivoltata contro coloro che l’hanno usata finora. La scelta di Veltroni di correre da solo, da questo punto di vista è stata un’abile ed astuta mossa, che ha permesso al PD di accaparrarsi in un sol colpo quel vasto arcipelago “antiberlusconiano”, composto da milioni di elettori oramai allenati da anni a votare “contro qualcuno” e non “per qualcosa”.

2. L’abbandono dei simboli della falce e martello ha di sicuro inciso, ma in misura decisamente inferiore a quanto si possa pensare. Se così non fosse, le liste di Sinistra Critica e del PCL di Ferrando, le quali hanno affidato gran parte delle loro fortune elettorali proprio sull’uso esclusivo del simbolo, sarebbero andate ampiamente al di là dei modesti risultati ottenuti (rispettivamente 0,4 e 0,5%, che sommate fanno meno di quattrocentomila voti).
Questa argomentazione viene in realtà, come dicevamo prima, usata surrettiziamente da chi, come Diliberto, vuol nascondere il reale nodo della questione. La falce e il martello sono state in realtà archiviate dai valori e dai programmi di PRC e PdCI prima ancora di sparire dalle schede elettorali. L’allontanamento dai luoghi di lavoro, il frenetico tentativo di derubricare la lotta di classe dall’agenda politica di questi due partiti, la totale assenza di operai e lavoratori nei loro gruppi dirigenti, sono tutti elementi di sostanza, dei dati di fatto che hanno svuotato da diversi anni a questa parte di ogni profilo classista sia la struttura di Rifondazione che quella dei Comunisti Italiani. Evocare la falce e martello senza fare i conti con questa cruda realtà si riduce a mero feticismo, privo della benché minima corrispondenza tra forma e sostanza, ed utile solo a chi, come Diliberto, vuol trovare un facile escamotage per nascondere i suoi fallimenti e quelli del suo partito.

3. Ciò che i diretti interessati cercano invece di nascondere in tutti i modi è proprio il dato più massiccio e significativo di questa tornata elettorale: l’astensionismo di massa da parte di ampi settori della sinistra di classe.
E’ infatti fuori discussione che quel 3,1% in più di astensionismo (pari a circa un milione e mezzo di elettori) sia composto in larghissima parte da quel popolo di sinistra e da quei lavoratori e proletari disillusi da due anni di governo Prodi e stanco di sostenere ad ogni tornata elettorale partiti e coalizioni che, siano esse di centrodestra o di centrosinistra, una volta al potere sfruttano, affamano, fanno guerre e cancellano i diritti al pari di quelle che l’hanno precedute.
Il vero dato degno d’attenzione per i comunisti è proprio questo: dopo più di un decennio di bipolarismo coatto, di false contrapposizioni tutte interne alle compatibilità capitalistiche, di truffe ai danni dei lavoratori, costretti ad appoggiare Prodi, Dini, Padoa Schioppa e De Benedetti in nome dell’antiberlusconismo, oggi questa tiritera per milioni di operai, studenti, precari e disoccupati non attacca più.

La crisi economica e sociale in atto da qualche anno, e che rischia di aggravarsi con la crisi finanziaria internazionale, vede il PD e il PDL uniti nell’intenzione di far fronte all’emergenza con nuovi tagli e nuove politiche di massacro sociale per milioni di famiglie.
Di fronte a tutto ciò, le vacue promesse di riforme “progressiste” e di politiche redistributive sbandierate in questi anni dalla sinistra arcobaleno si sciolgono come neve al sole, e lasciano questo cartello elettorale totalmente a corto di proposte su come uscire da una crisi che è sistemica e non certo congiunturale.

L’aumento vertiginoso del costo della vita e l’impennata dei prezzi dei generi di consumo cui stiamo assistendo in questi mesi, e che almeno a breve non appare destinata a fermarsi, porterà inevitabilmente ad una crescita del malcontento e quindi del conflitto sociale.

Ad essere incerte sono invece gli esiti di questa crisi e la direzione che prenderanno questi conflitti. L’avanzata esponenziale di organizzazioni razziste e reazionarie come la Lega Nord è un sintomo di come nel nostro paese ampi strati popolari, nel tentativo di evitare gli effetti più perversi della barbarie in atto, cerchino un facile quanto illusorio rifugio nel populismo e nei proclami securitari laciati da un manipolo di mediocri fascistoidi.

Di fronte a questo stato di cose, e alla luce dell’impressionante vuoto di rappresentanza politica e sociale dei lavoratori, delle vere e proprie rovine lasciate dalla sinistra istituzionale dopo anni di tradimenti e compromessi al ribasso, diviene non più prorogabile la ricostruzione di uno spazio politico autonomo ed alternativo alle compatibilità capitalistiche. Uno spazio politico che eviti la riproposizione di sterili assemblaggi di ceto politico, e punti invece a rappresentare le migliaia di giovani e di lavoratori che in questi anni sono scesi in piazza per la difesa dei propri diritti, contro la guerra, la precarietà, e i licenziamenti, in difesa dell’ambiente e contro gli scempi e le speculazioni affaristiche (TAV, grandi opere, inceneritori, ecc.), al fine di riunificare quelle forze fino ad oggi disperse e frammentate.

Uno spazio politico che, nel 2008, all’indomani di vent’anni di truffe, di abiure e prese in giro, non possiamo non chiamare comunista, laddove la parola comunista non è un simulacro formale, ne tantomeno un mero richiamo simbolico-nostalgico da sfruttare a fini elettorali, quanto piuttosto un ritorno a quelle radici autenticamente rivoluzionarie e classiste che, esse sole, hanno saputo garantire a milioni di lavoratori più di un secolo di conquiste e di successi.

Senza aver bisogno di nessun governo amico.


Associazione Unità Comunista

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