mercoledì 10 dicembre 2008

Report sullo stato del movimento studentesco e sulla fase attuale

Col corteo nazionale degli universitari dello scorso 14 novembre, e all’indomani della due giorni di dibattito che ha coinvolto l’intero movimento a Roma, si può con ogni probabilità considerare esaurita la prima fase, quella più spontanea e genuinamente “caotica” dell’”Onda”. Come per tutti i movimenti di lotta e di contestazione, anche per quello universitario dell’autunno 2008 sembra essere giunta “l’ora della maturità”, cioè il momento di ragionare sui metodi di conflitto, sulle prospettive e soprattutto sui contenuti e obiettivi della mobilitazione.

In queste settimane praticamente tutte le organizzazioni della sinistra, politica e sindacale, di classe e non, hanno fatto a gara a chi tesseva meglio e di più le lodi del movimento, alcune sottolineandone quella carica di radicalità nelle parole d’ordine e nelle pratiche di lotta come da anni non se ne vedevano negli Atenei (e questo a noi è parso di gran lunga l’elemento più significativo e degno d’attenzione) altri ponendo invece l’accento, a nostro avviso oltremisura e spesso con intenti strumentali, sull’innovazione nei linguaggi e su una non meglio comprensibile “irrapresentabilità” del movimento.
Anche noi, come compagni appartenenti all’area comunista rivoluzionaria, abbiamo fin dal primo momento riconosciuto a questo movimento il merito (enorme!) della rottura di una pace sociale che negli Atenei regnava quasi ininterrotta da più di un decennio. Un merito che l’Onda si è conquistata sul campo, grazie a un proliferare di occupazioni e iniziative di lotta e a una partecipazione in piazza che l’ha resa, almeno nei numeri, il più grande movimento studentesco Italia dal 1990 (se non dal 1977) ad oggi.

Dopo due mesi di lotta e dopo due giornate di discussione nazionale (precedute e seguite da giorni e giorni di discussione nei singoli atenei e facoltà), sembrano tuttavia giunti al pettine una serie di “nodi” politici la cui risoluzione diviene per il movimento tutto ogni giorno di più necessaria e obbligatoria. Da comunisti, abbiamo a cuore non solo il presente, ma anche e soprattutto il futuro del movimento. E’ per questo che, pur nel rispetto totale dell’autonomia delle sue scelte, non intendiamo accodarci al carrozzone politicista di chi “liscia il pelo” al movimento pur di ricavarne qualche voto in più alle prossime elezioni universitarie o, in prospettiva, alle prossime europee, o di chi (peggio ancora!) “surfa” sul movimento con l’idea di poterne ricavare qualche ennesima, angusta briciola caduta dalla tavola dei baronati accademici, in termini di corsi “autogestiti” con tanto di crediti formativi (!!!).
Giunti alle soglie di dicembre (mese da sempre nefasto per le lotte studentesche), andrebbe fatto un bilancio della lotta come si è articolata finora, per individuarne le prospettive e proseguire la mobilitazione: al contrario, continuare con le tiritere dei tipo “tutto va bene, madama la marchesa” servirà solo ad accelerare il riflusso. Allo stesso tempo, pensiamo che una delle principali ricchezze del movimento consista nella sua pluralità, e soprattutto nella possibilità che questa pluralità emerga in maniera limpida agli occhi di tutti: cosa ben diversa da ciò a cui abbiamo assistito a Roma, dove due gruppi politici, disobbedienti-Uniriot e Sinistra Critica (senza dubbio maggioritari nell’Ateneo ospitante ma decisamente minoritari nell’insieme del movimento) hanno praticamente gestito a piacimento le assemblee, occupando le presidenze senza alcun mandato dell’assemblea, e dando vita, almeno sino alla rottura di sabato notte, a diplomazie segrete con tanto di rinvii reiterati delle plenarie: atteggiamenti i quali hanno infastidito non poco anche il grosso della platea “non politicizzata”.

Irrappresentabili, da chi e da cosa?

Se quest’onda dev’essere davvero “irrapresentabile” (laddove per questo termine si intenda “non rappresentabile da alcuna forza politica o sindacale che in questi anni ha affossato le lotte e prodotto arretramenti generalizzati nelle condizioni di vita e di lavoro”) ebbene essa deve tanto più riaffermare l’indisponibilità a farsi rappresentare ed eterodirigere da gruppi politici che nell’ultimo decennio hanno prodotto solo sconfitte e fallimenti.
Ci sembra invece che dietro l’ammaliante slogan “siamo irrapresentabili”, si celi in realtà l’intento di una determinata area politica (ex-post-disobbedienti di Uniriot con l'aggiunta di qualche mummia vendoliana in uscita da Rifondazione) di impedire con ogni mezzo il contatto del movimento con la politica reale, con le altre lotte sociali in corso nel paese, con la necessità impellente di accompagnare lo slogan “noi la crisi non la paghiamo” (senz’altro dirompente) con un’analisi attenta e adeguata della crisi del capitalismo in atto e, soprattutto, con una pratica conseguente tesa a costruire l’unità di classe contro il governo Berlusconi, contro il padronato (sia esso di destra o di centrosinistra) e contro le burocrazie sindacali colluse col potere. In sintesi, chi ha in queste settimane abusato maggiormente di questo slogan, sembra in realtà voler dire “il movimento è cosa nostra, dunque saremo noi soli a rappresentarlo”… E così, chiunque “osi” avviare una discussione e un confronto sui contenuti e sulla necessità di unificare le lotte viene sistematicamente bollato come “m-l”, come “residuo del novecento”, e così via...
Come se poi le teorie “partecipative” dei disobbedienti fossero un’invenzione di oggi e non rappresentassero nient’altro che una versione riveduta e (s)corretta del socialismo utopistico pre-marxiano, dunque ottocentesco (do you remember Fourier?)…

La due giorni di assemblea

L’assemblea della Sapienza, da questo punto di vista, è stata paradigmatica e al tempo stesso indicativa dello stato del movimento.
Dopo una plenaria durata poco più di mezz’ora (con 4 interventi rigorosamente blindati), il dibattito si è subito trasferito nei tre gruppi di lavoro (welfare e diritto allo studio; didattica; formazione), non a caso ribattezzati “workshop” per sottolinearne il carattere più seminariale che decisionale.
In questa sede sono apparsi subito chiari i tentativi da parte delle presidenze (autoproclamatesi senza alcun mandato dell'assemblea) di eludere la discussione sui punti nevralgici: sulla modalità di partecipazione allo sciopero generale del 12 dicembre; sulla costruzione di momenti di confronto ed iniziative di lotta comuni col mondo del lavoro; sulla necessità di articolare una battaglia di lungo respiro contro il precariato nell’università e contro l'attacco al diritto allo studio (mense, residenze, trasporti, ecc.) inteso non come generica “sottrazione di reddito”, bensì come strumento di selezione di classe e di espulsione degli studenti lavoratori e proletari dagli atenei; infine, sulla necessità di una messa in discussione radicale del credito formativo, inteso come metro di valutazione di tipo produttivistico e aziendale, dunque padronale…

Non tutto però è andato come negli auspici delle presidenze autoproclamate: nel corso del dibattito pomeridiano, soprattutto nei gruppi welfare e didattica, si sono moltiplicati interventi di studenti e compagni che affrontavano in un ottica di classe le tematiche sopra accennate, al punto di costringere le presidenze a stravolgere più volte l’ordine degli interventi “per evitare che gli m-l prendessero il sopravvento nell’assemblea”. Lo stesso Raparelli, noto capo dei disobbedienti romani molto avvezzo alle presenze negli studi televisivi (un nuovo Caruso alle porte?), è stato notato mentre strigliava un gruppetto di accoliti ai bordi della sala del gruppo “welfare”, lasciandosi sfuggire che “l’assemblea gli stava sfuggendo di mano e non si poteva andare avanti così…”.

Ma quali i contenuti della proposta di Uniriot?
Sostanzialmente due, semplici semplici, i quali sono emersi in maniera chiara dall’intervento di tal Gigi Roggiero, proveniente dal nord-est:
1- Autoriforma, autoriforma, autoriforma: anche qui la parola sembra molto affascinante. Peccato che a pronunciarla siano in primo luogo coloro che già nel 1997, celandosi dietro questa innocua formuletta, accettarono la Riforma Berlinguer, che introduceva l’autonomia didattica e finanziaria per gli Atenei e il sistema del credito formativo. Ancora oggi Raparelli, Roggiero e compagnia continuano a vedere opportunità e spazi di “autoformazione” in quello che in realtà non è altro che un singolo tassello del puzzle messo a punto dalla borghesia negli ultimi vent’anni: un tassello che rende l’istruzione funzionale alla competizione capitalistica globale, dunque strumento per garantire e incentivare la tendenza costante all’abbassamento del costo del lavoro (salario diretto) allo smantellamento delle tutele sociali (salario indiretto) e delle pensioni (salario differito). Il credito serve esattamente a questo scopo: costringendo lo studente a offrire prestazioni lavorative gratuite o quasi, spesso attraverso la farsa degli “stages” non retribuiti, il capitale può abbassare più facilmente il costo del lavoro, attaccando i salari e le tutele di coloro che svolgono le medesime mansioni sotto contratto.
Per questo l’abolizione del credito dovrebbe essere in testa alle rivendicazioni del movimento, così come la cancellazione dell’autonomia finanziaria e didattica.

2 I lavoratori siamo noi (e basta!): uno dei passaggi più agghiaccianti dell’intera assemblea è stato quando Roggiero ha affermato a chiare lettere che per lui non c’è bisogno dell’unità tra lavoratori e studenti, poiché lo studente di oggi, vista la sua condizione precaria, è già lavoratore!!!
Dunque, secondo il nostro eroe, chissenefrega se nell’università attuale convivono ancora i figli di papà con la macchina di lusso da una parte, e dall’altra centinaia di migliaia di studenti che per pagarsi gli studi e gli affitti da rapina lavorano 5-6 ore al giorno per strada o nei ristoranti! Per il nostro eroe Roggiero siamo tutti studenti, volemose bene e cavalchiamo l’onda.
E poi, visto che lo studente è oramai l’unico, vero lavoratore (cognitivo, sia chiaro) del XXI secolo, che gliene frega a Roggiero dei 4 morti al giorno sui luoghi di lavoro: quelli tanto sono operai, residuati del novecento, quindi crepino pure e lascino spazio ai “ggiovani dell’esercito del surf”!
Che altro dire: di sicuro ci sentiamo di consigliare l’ascolto di tali interventi a chiunque ancora non si capacita di come i fasci del Blocco Studentesco si stiano radicando pericolosamente proprio tra settori significativi di studenti proletari…
In realtà se è vero, come è vero, che la condizione di molti studenti (ma non di tutti) diviene ogni giorno più simile, sia in termini di sfruttamento che di alienazione, a quella dei lavoratori, dovrebbe essere evidente a chiunque l'urgenza di riconnettere le lotte studentesche con quelle proletarie, a partire da alcune battaglie unificanti come il no alla precarietà e agli stages, la lotta contro il caro tasse e il caro-libri, nell'ottica di una vertenza generale contro il caro vita e per forti aumenti salariali. Ma si sa, per gli ultramodernisti di Uniriot questa è solo fraseologia novecentesca...

Il dibattito “reale”

Come dicevamo, fortunatamente buona parte degli interventi nei gruppi di lavoro del sabato pomeriggio sono andati in tutt’altra direzione, a dimostrazione che le farneticazioni interclassiste dei disobbedienti, seppur rappresentative di una buona fetta del movimento della Sapienza, sono del tutto minoritarie a livello nazionale. Ecco che allora, dopo aver perso il controllo dell’assemblea, Uniriot ha iniziato a perdere anche la testa. Non avendo altra arma che i loro “servizi d’ordine”, nel tardo pomeriggio sono iniziate le minacce e gli insulti nei confronti di numerosi compagni: il tutto col silenzio-assenso di Sinistra Critica, e soprattutto con l’occhio vigile ed interessato di qualche rottame dei giovani comunisti vendoliani e filo-PD. Un compagno ha addirittura raccontato di essere stato accerchiato da cinque persone per il solo fatto di aver criticato il sistema dei “corsi alternativi”… Ciò tuttavia non ha impedito a numerosi compagni di farsi ascoltare e comprendere da settori consistenti della platea.

La sinistra di classe inizia a parlarsi…
E’ di fronte a questo scenario che in serata ha preso vita, in maniera del tutto spontanea ed autoconvocata, una riunione delle realtà che non si riconoscono nella diarchia Uniriot-Sinistra Critica.
La riunione, seppur convocata in fretta e furia, ha visto la partecipazione di numerose realtà universitarie (singoli compagni della Sapienza, Tor Vergata di Roma, collettivi di Napoli, Firenze, Milano, Resistenza Universitaria, CSU) e diversi compagni della sinistra di classe (PCL, Unità Comunista, Militanz, Combat di Roma).
Un primo, embrionale momento di dialogo tra quelle realtà che a livello nazionale si muovono in maniera autonoma dalla sinistra istituzionale e in alternativa alle logiche interclassiste dei disobbedienti. Realtà spesso profondamente diverse tra loro, la cui possibilità di trovare punti di sintesi che tengano dentro tutti va tutta verificata, ma che a nostro avviso, nell’attuale fase, hanno il dovere di parlarsi e ricercare convergenze (seppur minime). In gioco oggi non è la sopravvivenza ne tantomeno il rafforzamento di questo o quel gruppo, quanto piuttosto la sopravvivenza e l’agibilità di un punto di vista autonomo e di classe nell’università, a fronte del tentativo condotto da riformisti ed opportunisti di fare terra bruciata attorno a chiunque osi parlare di comunismo.
La riunione, vista la ristrettezza dei tempi, non va molto oltre lo sfogatoio contro la condotta tenuta dalle presidenze e dai gruppi organizzati della Sapienza, ma si discute di dar vita a un azione congiunta in plenaria e di mettere in cantiere una riunione nazionale nelle settimane successive.

Ma dura poco…La finta bagarre “delegati si- delegati no”

Purtroppo, in serata, le cose cambiano. Sinistra critica, che finora aveva condiviso ogni scelta dei disobbedienti, di fronte alle difficoltà e vistasi “scavalcata a sinistra” da buona parte dell'assemblea decide di cambiare cavallo in corso d'opera, lanciando nella notte di Sabato la proposta di “fare come in Francia”, ovvero stabilire regole di rappresentanza certe e “democratiche”.
Proposta che trova subito concordi gli studenti del PCL e, almeno in parte, di RS; più fredda è la reazione del CSU, struttura che ha sempre fatto della questione delegati un cavallo di battaglia, ma che evidentemente nel contesto di Roma intuisce quanto la proposta di Sinistra Critica sia strumentale e dettata dal tentativo di eludere la sostanza delle questioni politiche; nettamente contrari invece gran parte dei collettivi e dell'area dell'autorganizzazione, in nome di un rifiuto “per principio” del metodo della rappresentanza.
Risultato: il raggruppamento di classe si divide di nuovo, tra “favorevoli” e “contrari” ai delegati, e congela il dibattito politico; Sinistra Critica tenta il colpaccio in plenaria proponendo la nuova forma organizzativa all’assemblea; i disobbedienti interrompono con la forza l’assemblea impedendone il proseguimento, e ripresentandosi la mattina seguente (domenica) blindatissimi e decisi a far passare per intero la loro linea. Nel frattempo la discussione politica evapora, coperta dal finto dibattito sulle forme organizzative, e la domenica non è più possibile neanche proporre correzioni ai “testi di sintesi” dei gruppi di lavoro scritti in nottata da una presidenza di fatto priva del benchè minimo vincolo di mandato.

Il nostro punto di vista nel merito: non c'è forma senza sostanza

Sulla vicenda dei “delegati” nel movimento pensiamo sia necessario fare chiarezza.
Come comunisti rivoluzionari non siamo mai stati contrari per principio alla definizione di forme di rappresentanza, purchè esse siano compatibili col principio e con la pratica della democrazia diretta: quindi definizione di portavoce revocabili e vincolati sempre e comunque al mandato delle assemblee, e non invece “deleghe in bianco” attraverso cui dar vita a nuove burocrazie e nuovi politicanti di mestiere, o peggio ancora a parlamentini blindati che si risolvono in intergruppi di strutture politiche che vivono come corpo separato dal movimento reale e dalle sue capacità di autorganizzazione.
Il punto però, a nostro avviso è un altro: non si può parlare di forme organizzative senza aver prima chiarito l'identità e la collocazione di classe del movimento. Prima vengono i contenuti, poi gli involucri organizzativi: fin quando, a partire dalle singole facoltà non sarà chiara la prospettiva politica che il movimento si prefigge, ovvero di alcuni minimi comuni denominatori che siano davvero“costituenti”, parlare di delegati equivale a discutere di aria fritta.
Almeno per quanto ci riguarda, riteniamo che il dibattito sull'analisi e gli obiettivi non si sia affatto risolto con le poche righe prodotte dai “workshop” di Roma, poiché, come vedremo, monche nell'analisi ed ambigue nei contenuti e nella proposta di lotta. Del resto, nel corso della due giorni è balzata agli occhi l'assoluta carenza di analisi organiche e di documenti politici da parte delle singole facoltà. Una carenza che, occorre costatarlo, è presente anche in quelle facoltà e in quelle aree di movimento collocate nel campo della sinistra di classe. Non è un dramma, se si considera il fatto che l'onda ha travolto e in parte colto di sorpresa la quasi totalità delle strutture preesistenti, ma a distanza di due mesi dallo scoppio delle mobilitazioni sarebbe il caso di iniziare un lavoro organico, possibilmente prima che il movimento rifluisca.
Dunque, la bagarre sui delegati, alla luce del profilo politico ancora primordiale con cui il movimento si è presentato a Roma, è servita soltanto a sviare ulteriormente la discussione, e ad offrire a Sinistra Critica un alibi per sottrarsi alle proprie responsabilità politiche.

Gli “esiti” di domenica mattina

In sostanza l’assemblea si chiude con un sostanziale nulla di fatto per ciò che riguarda alcune scelte fondamentali, su tutte il percorso che porterà il movimento all’appuntamento con lo sciopero generale del 12 novembre: la scelta di non scegliere fa evidentemente comodo a chi, dal quartier generale della Sapienza, proverà ancora una volta a decidere in nome di tutti
Tale approssimazione, unita al caos prodotto dalla querelle sui delegati, ha portato gran parte degli studenti “non schierati” ad abbandonare la plenaria di sabato notte confusi e disorientati, per poi non ripresentarsi la mattina seguente (alla plenaria conclusiva erano presenti meno di un quarto dei partecipanti di sabato mattina!); gli stessi resoconti dei gruppi di lavoro, pur essendo più avanzati rispetto agli orientamenti iniziali (la presidenza evidentemente non ha potuto non tener conto di quanto emerso in gran parte degli interventi) hanno provato a far convivere in maniera raffazzonata ipotesi ed opzioni politiche distanti tra loro anni luce.
Su tutto, desta particolare perplessità il fatto che nel report sulla ricerca emerga per ben due volte (al punto 3 “reddito, diritti, contratti” e al punto 6 “reclutamento”), l'accettazione dei contratti a tempo determinato per i ricercatori. Ma l'onda non doveva travolgere con la sua forza le logiche di precarietà? Se l'obiettivo finale di una lotta di tale portata diventa quello di passare dalla giungla attuale a forme di precarietà temperate con contratti della durata di due anni (che è più o meno ciò che chiedono CGIL-CISL-UIL), ci troveremmo davvero di fronte alla montagna che partorisce il topolino!

Che fare? Alcune considerazioni conclusive

E’ evidente, alla luce di quanto detto, che il movimento è a un bivio: o si rende capace di fungere da traino per la generalizzazione del conflitto ad altri settori sociali, o è destinato inevitabilmente al riflusso e alla sconfitta. Una sconfitta di cui sarebbero responsabili unicamente quei gruppi organizzati che finora si sono autonominati a capo della protesta, sfruttando i vantaggi logistici e l’esposizione mediatica della Sapienza.
I primi segnali di riflusso si sono avvertiti già nel corso di questa settimana: a Napoli l’occupazione della Federico II ha chiuso i battenti, e quella dell’Orientale si avvia sulla stessa strada a seguito di una lacerazione politica profonda tra gli occupanti e soprattutto della controffensiva di un baronato accademico parassitario, da sempre interessato unicamente a trarre vantaggi di casta dalle proteste studentesche; a Firenze la situazione è identica; nella stessa Sapienza l’occupazione sembra trascinarsi stancamente verso il traguardo…delle elezioni universitarie (a cui Uniriot tra l’altro partecipa con una propria lista: a quanto pare il rifiuto della delega va bene solo quando fa comodo…).
Se le occupazioni segnano il passo, non è detto però che debba rifluire anche la lotta, tuttaltro. Un vero movimento universitario, di classe e non studentista, dovrebbe avere la capacità di leggere la fase attuale e muoversi di conseguenza.

A nostro avviso, la fase odierna è segnata da una crisi sistemica del capitalismo: se ciò è vero, il movimento studentesco e dei ricercatori precari di questo autunno rappresenta solo l’antipasto di ciò che potrebbe esplodere nei prossimi mesi. Le prime avvisaglie già possiamo scorgerle: la crisi finanziaria si è abbattuta sull’economia reale ben prima di quanto potessero prevedere i santoni dell’economia e della finanza. Ondate di licenziamenti già sono in atto nel settore manifatturiero e in quasi tutte le principali industrie automobilistiche del vecchio e del nuovo continente; le operazioni maestose di salvataggio di istituti bancari verranno pagate ancora una volta dai soliti noti i lavoratori e le loro famiglie, attraverso un ulteriore taglio della spesa sociale. Questa miscela esplosiva potrebbe prefigurare un ondata di mobilitazioni inedita e mai vista dalla nostra generazione. Il capitalismo è al collasso, ma non si farà da parte facilmente.
E’ per questo che il movimento studentesco, per battere la congiuntura fisiologica del riflusso ed uscirne rafforzato e in condizioni di vincere, non ha altra strada che una saldatura sempre più profonda con i luoghi di lavoro e con le lotte contro lo licenziamenti, precarietà e sfruttamento.

Il dibattito della due giorni di Roma, nonostante gli innumerevoli limiti sopra elencati, ci ha consegnato un'indubbia certezza: la sinistra di classe c'è, anche nell'università, e la storia e le battaglie portate avanti dalla parte migliore del movimento studentesco (ed operaio) negli ultimi cinquant'anni continuano a rappresentare una bussola per l'orientamento politico, sia a livello teorico che pratico, per migliaia di studenti. E' da quel filo rosso, e non certo in contrapposizione ad esso, che bisogna partire, provando ad aggiornare l'analisi, i contenuti e le forme di lotta alla luce delle nuove dinamiche dell'accumulazione capitalistica e delle nuove contraddizioni da esse prodotte. Le lotte di questi mesi, in un quadro di collasso del modo di produzione capitalistico, portano inevitabilmente a ri-mettere all'ordine del giorno la necessità di un'alternativa di sistema.
Di questo occorrerebbe iniziare a discutere. E bisognerebbe iniziare prima del 12 Dicembre.
Alcuni piccoli passi in questa direzione si stanno già muovendo: in numerose facoltà si stanno organizzando dibattiti sulla crisi (come a Napoli e Milano) e assemblee unitarie studenti-lavoratori (come a scienze politiche a Firenze, dove sono intervenuti, tra gli altri, lavoratori Elektrolux e Gkn, a psicologia e a Tor Vergata a Roma, ecc.). Questi passi vanno incentivati: una prima idea potrebbe essere quella di dar vita ad assemblee unitarie studenti-lavoratori che diano voce, all'interno degli atenei, ad esperienze di lotta reale sui luoghi di lavoro fuori e contro il collaborazionismo concertativo di CGIL-CISL-UIL. Ma è altrettanto chiaro che questi passaggi vanno coordinati: e per farlo serve un soggetto che adempia a tale scopo, e che abbia pochi comuni denominatori, ma chiari: l’anticapitalismo, la necessità di comporre un fronte unitario e combattivo studenti-lavoratori; la centralità e l'irriducibilità del conflitto capitale-lavoro, discrimine quanto mai attuale nella fase storica odierna; infine, l’antifascismo di classe come pratica fondante, in contrapposizione frontale con le logiche qualunquiste del “ne rossi ne neri” o “il movimento è apolitico”.

Di tutto il resto si può discutere. Se non ora, quando?

Contro l'università dei padroni: lotta di classe!

Roma, 23-11-2008


Studenti autonomi per l’unità proletaria

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