domenica 26 febbraio 2012
giovedì 23 febbraio 2012
Pecora è residente nella casa del boss
LE DICHIARAZIONI DEL COLONNELLO GIARDINA E LE SCOMPOSTE REAZIONI DI SCOPELLITI E DEL CENTRODESTRA
Le incredibili dichiarazioni che in queste ore esponenti grandi e piccoli del PdL stanno rilasciando in relazione alla testimonianza resa nel processo Meta dal colonnello del Ros dei carabinieri Valerio Giardina su Scopelliti e sul modello Reggio, destano grave sconcerto ed inquietudine.
Si tenta in tutti i modi di delegittimare un alto ufficiale dei carabinieri come il colonnello Giardina che ha svolto un ruolo fondamentale in diversi inchieste di mafia ed è stato tra i protagonisti dell’arresto del superlatitante Condello e di altri boss mafiosi.
Il colonnello Giardina, fino a ieri osannato da quegli stessi personaggi che oggi tentano di indicarlo al pubblico ludibrio, si è permesso di rivelare in una sede giudiziaria quello che a Reggio tutti sanno e nessuno dice. Egli si è macchiato del peccato di lesa maestà perché si è permesso di dire che nella città di Reggio Calabria esiste una lobby affaristico-mafiosa che domina sugli appalti e sulla vita della città, facendo i nomi e cognomi dei presunti responsabili a partire da quello dell’attuale governatore regionale Giuseppe Scopelliti.
Ovviamente si tratta di vicende e circostanze che dovranno essere approfondire e valutate nelle apposite sedi giudiziarie.
Ma non sarà il fiume delle dichiarazioni addomesticate pro-Scopelliti a cancellare la gravità dei fatti che vengono denunciati.
Sul piano politico è giusto e necessario evidenziare che al vertice della Regione Calabria è seduto un personaggio che non solo è plurindagato, ma che adesso compare anche nelle dichiarazioni ufficiali effettuate da un uomo delle istituzioni nel processo Meta.
Tutto ciò dovrebbe comportare un gesto che in altre realtà e per ragioni molto meno gravi avviene normalmente: le dimissioni dalla carica per poter liberamente e pienamente svolgere tutte le attività necessarie per la tutela della propria immagine.
Solo pochi giorni fa ci è giunta la notizia delle dimissioni del Presidente della Germania Cristian Wulff travolto dallo scandalo che lo ha visto coinvolto in relazione a un finanziamento a tassi di favore ottenuto da un imprenditore per costruire una casa in Bassa Sassonia. E qualche mese fa Chris Huhne, ministro dell'Ambiente britannico si è dimesso in seguito alla seguente, per gli standard britannici, "pesantissima" incriminazione: aver mentito alle autorità riguardo a una multa per eccesso di velocità nel 2003 poiché l’allora ministro avrebbe convinto la moglie ad addossarsi la colpa.
Come si vede si tratta di vicende di scarsissimo peso e importanza se paragonate alla gravità di tutto quello che riguarda il presidente Scopelliti. Ma saremmo illusi se pensassimo che in Calabria e in Italia possa vincere la normalità. Qui chi denuncia viene criminalizzato e chi è colpevole grida al complotto e fa la vittima.
Infine, noi che siamo esponenti di quella sinistra che il governatore Scopelliti nei giorni scorsi dai microfoni di una radio locale ha bollato come cialtroni, confermando anche nel linguaggio la sua ben nota arroganza e volgarità, vogliamo ancora una volta chiamarci fuori dal coro e conseguentemente esprimiamo solidarietà al Colonnello Valerio Giardina fatto oggetto di volgari attacchi e aggressioni di ogni genere da parte di vari esponenti del centrodestra reggino, calabrese e nazionale che sono contro la ndrangheta solo quando si arrestano i boss ma che si lasciano a scomposte reazioni quando le indagini toccano i rapporti tra mafia e politica.
Reggio Calabria, 22.02.2012
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI
MICHELANGELO TRIPODI
Si tenta in tutti i modi di delegittimare un alto ufficiale dei carabinieri come il colonnello Giardina che ha svolto un ruolo fondamentale in diversi inchieste di mafia ed è stato tra i protagonisti dell’arresto del superlatitante Condello e di altri boss mafiosi.
Il colonnello Giardina, fino a ieri osannato da quegli stessi personaggi che oggi tentano di indicarlo al pubblico ludibrio, si è permesso di rivelare in una sede giudiziaria quello che a Reggio tutti sanno e nessuno dice. Egli si è macchiato del peccato di lesa maestà perché si è permesso di dire che nella città di Reggio Calabria esiste una lobby affaristico-mafiosa che domina sugli appalti e sulla vita della città, facendo i nomi e cognomi dei presunti responsabili a partire da quello dell’attuale governatore regionale Giuseppe Scopelliti.
Ovviamente si tratta di vicende e circostanze che dovranno essere approfondire e valutate nelle apposite sedi giudiziarie.
Ma non sarà il fiume delle dichiarazioni addomesticate pro-Scopelliti a cancellare la gravità dei fatti che vengono denunciati.
Sul piano politico è giusto e necessario evidenziare che al vertice della Regione Calabria è seduto un personaggio che non solo è plurindagato, ma che adesso compare anche nelle dichiarazioni ufficiali effettuate da un uomo delle istituzioni nel processo Meta.
Tutto ciò dovrebbe comportare un gesto che in altre realtà e per ragioni molto meno gravi avviene normalmente: le dimissioni dalla carica per poter liberamente e pienamente svolgere tutte le attività necessarie per la tutela della propria immagine.
Solo pochi giorni fa ci è giunta la notizia delle dimissioni del Presidente della Germania Cristian Wulff travolto dallo scandalo che lo ha visto coinvolto in relazione a un finanziamento a tassi di favore ottenuto da un imprenditore per costruire una casa in Bassa Sassonia. E qualche mese fa Chris Huhne, ministro dell'Ambiente britannico si è dimesso in seguito alla seguente, per gli standard britannici, "pesantissima" incriminazione: aver mentito alle autorità riguardo a una multa per eccesso di velocità nel 2003 poiché l’allora ministro avrebbe convinto la moglie ad addossarsi la colpa.
Come si vede si tratta di vicende di scarsissimo peso e importanza se paragonate alla gravità di tutto quello che riguarda il presidente Scopelliti. Ma saremmo illusi se pensassimo che in Calabria e in Italia possa vincere la normalità. Qui chi denuncia viene criminalizzato e chi è colpevole grida al complotto e fa la vittima.
Infine, noi che siamo esponenti di quella sinistra che il governatore Scopelliti nei giorni scorsi dai microfoni di una radio locale ha bollato come cialtroni, confermando anche nel linguaggio la sua ben nota arroganza e volgarità, vogliamo ancora una volta chiamarci fuori dal coro e conseguentemente esprimiamo solidarietà al Colonnello Valerio Giardina fatto oggetto di volgari attacchi e aggressioni di ogni genere da parte di vari esponenti del centrodestra reggino, calabrese e nazionale che sono contro la ndrangheta solo quando si arrestano i boss ma che si lasciano a scomposte reazioni quando le indagini toccano i rapporti tra mafia e politica.
Reggio Calabria, 22.02.2012
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI
MICHELANGELO TRIPODI
E CHE ORA SI PROCESSI LA MARLANE *
*Tratto da il Manifesto di sabato 18 febbraio
Di Fosco Giannini – segreteria nazionale PdCI
Giorgio Langella - segretario Federazione PdCI Vicenza
Quella dell’Eternit è una sentenza epocale. Con essa si stabilisce che le malattie professionali hanno una causa e che questa causa è, principalmente, la ricerca del profitto ad ogni costo. Fa riflettere. Viviamo in una società dove tutto viene asservito al guadagno di pochi. I lavoratori sono strumenti che servono ai padroni per accumulare ricchezza, diventano ingranaggi. Non sono più persone. La tutela dell’ambiente e la sicurezza nei luoghi di lavoro sono costi che si devono abbattere. Con questa logica spaventosa vengono perpetrati i più odiosi delitti. Si mette a rischio la salute di chi lavora, dei loro familiari, di chi vive vicino agli stabilimenti. Si uccide. In nome e per conto del padrone. Questo è successo alla Eternit. Questo è successo e succede, in maniera più o meno estesa, ogni giorno in ogni parte d’Italia. Il processo Eternit e la condanna per disastro doloso accendono una speranza. La speranza di chi non vuole chinare la testa e con ostinazione lotta per ottenere verità e giustizia nonostante il silenzio, l’omertà, i ricatti, le connivenze che ci sono quando si mettono in discussione i privilegi di lorsignori .
Un altro, drammatico caso, di cui si parla e si scrive poco, è quello della Marlane-Marzotto di Praia a Mare. Uno stabilimento tessile di proprietà prima del conte Rivetti, poi dell’Eni (Lanerossi), infine della Marzotto, che è stato chiuso definitivamente nel 2004. In qusta fabbrica è successo qualcosa di molto grave. Talmente grave che è in corso un processo che vede imputati i vertici della Marlane, della (ex) Lanerossi, della Marzotto. Il processo della Marlane doveva iniziare il 19 aprile 2011. Viene continuamente rinviato per cavilli procedurali. La prossima, ennesima, prima udienza dovrebbe esserci il 24 febbraio. Questi continui rinvii non hanno mosso all’indignazione, sono stati diluiti nell’indifferenza dei più. Gli imputati sono “persone importanti, che contano”, dirigenti e “grandi imprenditori” che sono accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e disastro ambientale. Perché tra le circa 1.000 persone che hanno lavorato nella Marlane di Praia a Mare oltre cento si sono ammalate di cancro e decine ne sono morte. Perché nei pressi dello stabilimento (in un’ottica padronale per la quale il sud è la pattumiera d’Italia) sono stati sotterrati rifiuti pericolosi e tossici che hanno inquinato l’ambiente. Una strage di lavoratori e un disastro ambientale di enormi proporzioni. L’accusa è che le norme di sicurezza, alla Marlane, non venivano applicate, anzi “semplicemente” non esistevano. I lavoratori venivano considerati “strumenti” da sfruttare per guadagnare di più e meglio. Quando si ammalavano e arrivavano alla fine della loro vita veniva chiesto loro di firmare il proprio licenziamento. Lo si faceva, dicevano i servitori di lorpadroni, per “favorire” l’ottenimento della pensione di reversibilità da parte delle future vedove o per semplificare l’assunzione dei futuri orfani nella stessa fabbrica. Tutto questo è documentato da interviste e memorie raccolte da chi ha iniziato e continuato con ostinazione a credere nella giustizia. Persone normali, veri e propri eroi del nostro tempo come Luigi Pacchiano, ex operaio della Marlane e uno dei sopravissuti, come lo scrittore ambientalista Francesco Cirillo e la documentarista Giulia Zanfino. È grazie a persone come queste se oggi possiamo conoscere quanto è accaduto alla Marlane-Marzotto. Una storia di “ordinario sfruttamento”. È grazie a loro se si è riusciti a costruire un “ponte” tra Praia a Mare e Vicenza, dove è iniziato un costante lavoro di informazione promosso dal PdCI e che poche settimane fa ha prodotto un appello firmato da personalità del mondo della cultura, della scienza, dello spettacolo, della politica (ricordiamo tra i tanti Margherita Hack, Giorgio Nebbia, Franca Rame, Valentino Parlato, Oliviero Diliberto, Giuseppe Giulietti, Ascanio Celestini), lavoratori in lotta (il presidio permanente della IMS SRL – ex Emi di Caronno Pertusella), cittadini non indifferenti e, ancor più importante, parenti delle vittime della Marlane, come Teresa La Neve. Testimonianze “alte” di una politica fatta per passione da chi riesce ancora ad indignarsi per le ingiustizie e l’indifferenza imperante. La sentenza Eternit ha aperto una porta, ha squarciato un velo, ha fatto conoscere che di lavoro si dovrebbe vivere e che, invece, si può morire per l’avidità dei padroni. Oggi nessuno può chiudere gli occhi. Nessuno può dire di non sapere. Nessuno può giustificarsi. Quello che è successo alla Eternit, alla Marlane e in tutte gli altri posti dove è “normale” ammalarsi e morire (da Vicenza vogliamo ricordare l’esempio della Tricom-GalvanicaPM di Tezze sul Brenta) ci coinvolge tutti. Non ci si può fermare nella ricerca della verità. È tempo di fare giustizia.
Di Fosco Giannini – segreteria nazionale PdCI
Giorgio Langella - segretario Federazione PdCI Vicenza
Quella dell’Eternit è una sentenza epocale. Con essa si stabilisce che le malattie professionali hanno una causa e che questa causa è, principalmente, la ricerca del profitto ad ogni costo. Fa riflettere. Viviamo in una società dove tutto viene asservito al guadagno di pochi. I lavoratori sono strumenti che servono ai padroni per accumulare ricchezza, diventano ingranaggi. Non sono più persone. La tutela dell’ambiente e la sicurezza nei luoghi di lavoro sono costi che si devono abbattere. Con questa logica spaventosa vengono perpetrati i più odiosi delitti. Si mette a rischio la salute di chi lavora, dei loro familiari, di chi vive vicino agli stabilimenti. Si uccide. In nome e per conto del padrone. Questo è successo alla Eternit. Questo è successo e succede, in maniera più o meno estesa, ogni giorno in ogni parte d’Italia. Il processo Eternit e la condanna per disastro doloso accendono una speranza. La speranza di chi non vuole chinare la testa e con ostinazione lotta per ottenere verità e giustizia nonostante il silenzio, l’omertà, i ricatti, le connivenze che ci sono quando si mettono in discussione i privilegi di lorsignori .
Un altro, drammatico caso, di cui si parla e si scrive poco, è quello della Marlane-Marzotto di Praia a Mare. Uno stabilimento tessile di proprietà prima del conte Rivetti, poi dell’Eni (Lanerossi), infine della Marzotto, che è stato chiuso definitivamente nel 2004. In qusta fabbrica è successo qualcosa di molto grave. Talmente grave che è in corso un processo che vede imputati i vertici della Marlane, della (ex) Lanerossi, della Marzotto. Il processo della Marlane doveva iniziare il 19 aprile 2011. Viene continuamente rinviato per cavilli procedurali. La prossima, ennesima, prima udienza dovrebbe esserci il 24 febbraio. Questi continui rinvii non hanno mosso all’indignazione, sono stati diluiti nell’indifferenza dei più. Gli imputati sono “persone importanti, che contano”, dirigenti e “grandi imprenditori” che sono accusati di omicidio colposo plurimo, lesioni gravissime e disastro ambientale. Perché tra le circa 1.000 persone che hanno lavorato nella Marlane di Praia a Mare oltre cento si sono ammalate di cancro e decine ne sono morte. Perché nei pressi dello stabilimento (in un’ottica padronale per la quale il sud è la pattumiera d’Italia) sono stati sotterrati rifiuti pericolosi e tossici che hanno inquinato l’ambiente. Una strage di lavoratori e un disastro ambientale di enormi proporzioni. L’accusa è che le norme di sicurezza, alla Marlane, non venivano applicate, anzi “semplicemente” non esistevano. I lavoratori venivano considerati “strumenti” da sfruttare per guadagnare di più e meglio. Quando si ammalavano e arrivavano alla fine della loro vita veniva chiesto loro di firmare il proprio licenziamento. Lo si faceva, dicevano i servitori di lorpadroni, per “favorire” l’ottenimento della pensione di reversibilità da parte delle future vedove o per semplificare l’assunzione dei futuri orfani nella stessa fabbrica. Tutto questo è documentato da interviste e memorie raccolte da chi ha iniziato e continuato con ostinazione a credere nella giustizia. Persone normali, veri e propri eroi del nostro tempo come Luigi Pacchiano, ex operaio della Marlane e uno dei sopravissuti, come lo scrittore ambientalista Francesco Cirillo e la documentarista Giulia Zanfino. È grazie a persone come queste se oggi possiamo conoscere quanto è accaduto alla Marlane-Marzotto. Una storia di “ordinario sfruttamento”. È grazie a loro se si è riusciti a costruire un “ponte” tra Praia a Mare e Vicenza, dove è iniziato un costante lavoro di informazione promosso dal PdCI e che poche settimane fa ha prodotto un appello firmato da personalità del mondo della cultura, della scienza, dello spettacolo, della politica (ricordiamo tra i tanti Margherita Hack, Giorgio Nebbia, Franca Rame, Valentino Parlato, Oliviero Diliberto, Giuseppe Giulietti, Ascanio Celestini), lavoratori in lotta (il presidio permanente della IMS SRL – ex Emi di Caronno Pertusella), cittadini non indifferenti e, ancor più importante, parenti delle vittime della Marlane, come Teresa La Neve. Testimonianze “alte” di una politica fatta per passione da chi riesce ancora ad indignarsi per le ingiustizie e l’indifferenza imperante. La sentenza Eternit ha aperto una porta, ha squarciato un velo, ha fatto conoscere che di lavoro si dovrebbe vivere e che, invece, si può morire per l’avidità dei padroni. Oggi nessuno può chiudere gli occhi. Nessuno può dire di non sapere. Nessuno può giustificarsi. Quello che è successo alla Eternit, alla Marlane e in tutte gli altri posti dove è “normale” ammalarsi e morire (da Vicenza vogliamo ricordare l’esempio della Tricom-GalvanicaPM di Tezze sul Brenta) ci coinvolge tutti. Non ci si può fermare nella ricerca della verità. È tempo di fare giustizia.
martedì 14 febbraio 2012
GRATTA GRATTA IL PIDIELLINO E RISPUNTA IL FASCISTA DI SEMPRE
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Dopo una dichiarazione del genere non sono mancate le immediate e legittime proteste da parte dei Compagni della Sezione PdCI di Vibo che erano presenti al Consiglio Comunale. Grazie a loro si è sollevato lo scandalo che altrimenti sarebbe passato inosservato.
Ma le proteste coinvolgono anche, e soprattutto, il presidente del suddetto consiglio che ha preferito redarguire il pubblico per la reazione, piuttosto che censurare il consigliere del Pdl per la gravità delle sue affermazioni.
Un presidente del consiglio comunale deve essere garante di tutti i consiglieri e, soprattutto, della Costituzione, e dei cittadini tutti che rappresenta. Un presidente che tace in seguito a così gravi affermazioni non ha il diritto di continuare a sedere sulla poltrona più alta del consiglio perché tacendo si è reso complice di un reato.
Ma, come dice il proverbio, non c’è due senza tre. Ed infatti, per completare la compagnia di giro è arrivato in soccorso l’assessore Scianò, quello del buco comunale di 10 milioni di euro, che in una trasmissione radiofonica, dopo aver espresso la sua solidarietà al consigliere comunale, ha bollato l’antifascismo come roba vecchia e superata, come se quei valori non fossero invece permanenti ed universali.
In tal senso potremmo ricordare l’analoga vicenda di Reggio Calabria, laddove l’Assessore Tuccio per offendere il premio Oscar Roberto Benigni lo tacciò di essere “ebreo e comunista”. Ovviamente questi aggettivi erano declinati in maniera offensiva, utilizzando il più becero razzismo. D’altronde Tuccio prima di aderire al PdL era nell’Msi prima e in An poi, come Scianò e De Filippis. Lo stesso percorso del loro capo Scopelliti in partiti che hanno sempre espresso, con orrido orgoglio, i loro caratteri xenofobi e razzisti.
Ma si sa cambia tutto per non cambiare niente. Gratta gratta il pidiellino e viene fuori la sua reale natura.
Questi personaggi che offendono i caduti della Resistenza che hanno lottato per la libertà e la democrazia sono l’espressione di una destra reazionaria, becera e prepotente, che in Calabria sta distruggendo la Regione e le principali città che governa.
Basti ricordare a tal proposito la situazione drammatica e fallimentare in cui versano città come Reggio Calabria e Vibo Valentia dopo la cura assidua imposta dai governi di destra che le hanno portate in pieno dissesto, dilapidando e saccheggiando le risorse pubbliche.
Senza dimenticare in tutto questo quello che ha la responsabilità massima e principale e cioè il Presidente della regione e Coordinatore Regionale del PdL Giuseppe Scopelliti che, non pago di aver trascinato nel baratro la città di Reggio Calabria, affondandola in una mare di debiti e di disavanzo, continua dallo scranno regionale a praticare nelle sue uscite l’arte degli annunci, delle false promesse e della contraffazione pensando che il giochetto possa sempre riuscire.
Infatti, dopo aver imbrogliato i reggini adesso si pensa di poter imbrogliare i calabresi. Ma ormai tutti cominciano a capire la vera natura fascista e la grave incapacità amministrativa di tali personaggi. Del resto sono i sondaggi di istituti accreditati a dire chiaramente che Scopelliti è in pesante perdita di consenso e di credibilità ed ha iniziato la sua parabola discendente.
Reggio Calabria, 14.2.2012
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI
MICHELANGELO TRIPODI
Blocco dell'edilizia a Vibo? Problema risolto!!
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C’è da dire però che aldilà dei mezzi numeri dati in consiglio comunale, di numeri ne sono stati dati altri, sembrava una lotteria, si perché dopo 2 anni dall’insediamento e dopo le promesse, i ponti, le navi da crociera, i porti turistici, le “basi NATO” promesse che la maggioranza del nostro comune ha partorito prima il documento ARONICA-SCALAMANDRE’ (fine 2011) ed oggi a pochi mesi dell’entrata in vigore quel documento, che difatti paralizza le marinate, ne propone l’aggiornamento con le carte relativa alla messa in sicurezza dei fossi da parte della provincia.
Due domande:
Ma invece a badare a chi deve fare il coordinatore del vostro partito a Vibo Valentia e pensare ai congressi non potevate pensarci prima ad aggiornare lo studio ARONICA-SCALAMANDRE’?
Ma soprattutto, questo aggiornamento, adesso, chi lo paga? Io lo farei pagare a voi consiglieri di maggioranza, decurtandolo dai vostri stipendi, perché vostro è lo sbaglio, vostra è la responsabilità e quindi, come per la responsabilità civile dei giudici che tanto decantate, voi dovete pagare di tasca vostra i tecnici che andranno ad eseguire questo aggiornamento, perché il comune di Vibo Valentia non essendo dotato di un ufficio geologico deve dar mandato a tecnici esterni magari Aronica e Scalamandrè appunto per poterlo aggiornare e non crediamo che questi due tecnici lo faranno gratis. Voi avete prodotto il danno, voi lo dovete pagare, basta con la propaganda, basta col dire faremo, faremo e faremo, siamo stanchi di ascoltare parole positive dette da voi che difendono il vostro operato, dimostrateci di essere diversi e che lavorate per la nostra comunità.
Noi una proposta in merito la abbiamo, lo abbiamo detto subito, anche in campagna elettorale si chiama PSC, ripetiamo, non navi da crociera ma PSC.
mercoledì 8 febbraio 2012
Il fango della macchina. Silvio Berlusconi docet
La libertà d’informazione è un diritto acquisito da ogni italiano e tutelato nel momento stesso in cui nasce dall’articolo 21 della nostra costituzione. Ognuno è quindi libero di esprimere la propria idea, come meglio crede e con i mezzi messi a disposizione, senza mai ledere la dignità e le idee di un altra persona. Noi in questo principio crediamo fortemente e ci batteremo sempre con ogni mezzo affinché tutti possono esprimere la proprie idee, nei limiti imposti dalla legge.
Non crediamo invece nel fatto per cui un singolo individuo possa metter in campo le proprie idee a difesa insensata del proprio operato, distorcendo la realtà a proprio favore e criticando l’operato altrui del quale, magari, non se ne conoscono le effettive dinamiche. Questo concetto lo esprimiamo con forza e con vigore in risposta a chi nel nostro territorio scrive dalle pagine dei giornali, o parla da microfoni radiofonici di emittenti private, spacciandosi per giornalisti. La poca conoscenza e l’usuale tendenza a mistificare la realtà porta alcuni individui ad esprimere concetti fuorvianti per chi li ascolta, e deleteri nei contenuti verso terzi che si prodigano nella lotta quotidiana per la difesa del bene comune. Allora succede che a Vibo Valentia un giornalista della carta stampata della “Gazzetta del Sud” prende spunto dalle vicende che in questi giorni hanno visto al centro di varie polemiche la figura del consigliere comunale De Filippis, il quale durante il consiglio comunale del 3 febbraio ha affermato testualmente: “ Io sono Fascista”, correggendosi funambolicamente poi in “ Fascista democratico”, senza entrare nel merito di questa triste vicenda, che abbiamo già affrontato nei giorni passati, vorremmo concentrarci sull’ articolo del giorno 6 febbraio apparso sulla “ Gazzetta del Sud” a firma della giornalista Stefania Marasco, la quale tentava una timida difesa del consigliere De Filippis cercando di sminuire le sue parole, ma calcando e rilanciando e sparando a zero sul nostro partito, il PdCI, come anche nei confronti del PRC e dell’ANPI. Bene, a questa giornalista noi vogliamo semplicemente dire che sono proprio questi tipi di atteggiamenti faziosi e barbari nei confronti della correttezza politica a far decadere il livello del dibattito politico, appellandosi al fatto che poco hanno fatto il PdCI, PRC ed ANPI verso il bene della cosa pubblica, etichettando queste sigle come buone solo a far polemiche e a curarsi poco delle vicende che riguardano la popolazione. A questa giornalista noi vorremmo ricordare la nostra attività degli ultimi tempi, come la serie di incontri che si ripetono da giugno sotto la scuola d’arte dal titolo “Cominciamo da noi…” nei quali si sono affrontati temi quali, le organizzazioni criminali, la differenziata, la crisi economica, i beni culturali, il dissesto idrogeologico, oppure la nostra partecipazione all’iniziativa dell’ANPI sulla rimozione del gazebo che occlude la lapide di Papandrea, i nostri volantinaggi, i nostri articoli, e tutta quella serie di avvenimenti che riguardano la nostra vita politica. Probabilmente non li avrà letti, oppure avrà, pregiudiziosamente, evitato di leggerli nel momento in cui ha letto la parola COMUNISTI, che accompagnano quegli articoli.
Cara giornalista Marasco, ti esortiamo a guardarci più da vicino ed a seguire le nostre iniziative che forse non saprai ma facciamo anche a tua tutela, perché anche tu sei lavoratrice, ed anche tu hai qualche padrone sopra di te. Ti invitiamo a leggere il nostro blog (http://pdcivibovalentia.blogspot.com ), oppure la nostra pagina facebook (https://www.facebook.com/pages/Il-brigante-Comunisti-Italiani-Vibo-Valentia/145256958840061), o magari altri quotidiani che ci trattano con più rispetto e ci dedicano maggiori attenzioni, senza pregiudizi.
Ma il problema non è solo questo episodio che fa decadere il livello del giornalismo locale, si perché c’è un emittente radiofonica locale, Radio Ondaverde, nella quale ogni domenica mattina alle 11 circa, si trasmette un programma che dibatte di tematiche di attualità, politica, cronaca sport e altro, il quale riceve un discreto successo. Questo programma è condotto dall’Avv. Ass. Dott. Giorn. cam(erata) Giuseppe Scianò, che senza alcuna vergogna e senza nessuna controparte, parla in modo spudorato dell’attività della sua amministrazione. Ma ne parla bene, come se nulla accadesse, continua imperterrito ad informare i cittadini facendo un “uso criminoso”, per citare il suo capo nazionale del PdL, ed elogiando in modo continuo in particolare il suo operato. Nell’ultima trasmissione del giorno 5 febbraio in particolare, ha definito il problema della spazzatura e del blocco dell’edilizia come un atto strumentale, operato da un manipolo di persone totalmente fuori dalla realtà. Ci viene da dire, ma come, nell’ultimo consiglio comunale erano presenti, i tre sindacati confederali, confindustria, l’ance, l’ordine di architetti, geologi, ingegneri e geometri, imprenditori, operai e comuni cittadini; inoltre vi erano presenti le associazioni per la questione spazzatura; cosa dice questo signore? Che sono polemiche sterili e inutili, In più non contento accusa le persone che avevano partecipato al consiglio, di essere andate via alle 8, Ma cosa dovevano fare fino a quell’ora, ascoltare le vostre banalità? Le vostre proposte inutili (quella sull’edilizia di aggiornare il piano Scalamandrè partorito solo 3 mesi fa, dimostra come si ricorra sempre all’uso delle casse comunali, non potevate pensarci prima? Ora chi lo paga questo aggiornamento?) dettate solo dalla vostra incompetenza?
Caro Ass. Dott. Avv. Giorn. cam(erata) Scianò lei è in palese conflitto d’interesse, non può condurre un programma che ascoltano i cittadini vibonesi senza una controparte vera, senza qualcuno che le dica che le cose non stanno come dice lei; ribadiamo il suo conflitto d’interesse, perché lei in quella trasmissione tutela solo i suoi di interessi, e quelli dell’amministrazione alla qual partecipa (male).
Questi due sono solo due casi, ma dimostrano una grave assenza di professionalità nei confronti della veste che ricoprono l’Avv. Dott. Giorn. Ass. cam(erata) Scianò e la giornalista Marasco. Per concludere utilizziamo questo mezzo, la rete, perché sappiamo della sua immensa cassa di risonanza, e per avere la certezza che i nostri pezzi mandati alla testata della “ Gazzetta del Sud” non verranno reinterpretati dal giornalista a nostro discapito. VERGOGNA.
Partito dei Comunisti Italiani - Vibo Valentia
lunedì 6 febbraio 2012
Articolo mistificatorio della Gazzetta del Sud
Articolo della Gazzetta del Sud dal contenuto altamente mistificatorio.
Basta fare un giro nel nostro blog o in quello del PRC di Vibo per leggere le nostre denucie e le nostre continue proposte.
Un giornalista dovrebbe informarsi su ciò che scrive quanto meno e non pubblicare articoli che sanno di palese giustificazione ad un fatto altamente grave e pericoloso.
Con questa attività "giornalistica" vi state rendendo complici del degrado politico e morale in cui sta precipitando questa città.
VERGOGNA!!!
NON COMPREREMO PIU' LA GAZZETTA DEL SUD
domenica 5 febbraio 2012
Ecco quanto prende l'assessore Scianò
Colui che dichiara di prendere meno di una Colf .
In questa registrazione dichiara il suo stipendio.
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sabato 4 febbraio 2012
A Vibo dichiararsi fascista non è reato
Accade nel 2012 a Vibo Valentia, ma non per strada o in un bar ma addirittura nell’assise cittadina, un consigliere comunale dichiara di essere fascista nello sconcerto e la rabbia di chi, come noi, assisteva dalla platea ai lavori, tra i sorrisi compiaciuti di alcuni suoi colleghi e l’incredulità dei gruppi di opposizione e con il gravissimo silenzio del Sindaco e del Presidente del Consiglio che addirittura richiama la platea, perchè quest’ultima ha interrotto il Consigliere, e non per la gravità delle affermazioni del suo collega.
Noi tutti ci eravamo tanto illusi che la caduta di Silvio Berlusconi avesse portato via con sé l'abominio delle battute squallide e drammatiche ma così non è stato e mentre tutta Italia s'indigna per la battuta di cattivo gusto del premier Monti sulla monotonia del posto di lavoro fisso, il consigliere comunale del PDL Vincenzo De Filippis sviluppa una nuova forma di ironia ancora più drammatica ma sopratutto illegale.
Nel corso del consiglio comunale convocato venerdì, il suddetto consigliere ha ben pensato di aprire il suo intervento definendosi fascista. Per poi declinarlo, dopo le proteste del “pubblico”, in fascista democratico.
Ma solamente dopo che noi membri del PdCI, uditori al consiglio comunale, gli abbiamo urlato il nostro dissenso per il suo disprezzo alla costituzione, ha ben pensato di giustificarsi dicendo che era solo una battuta. Semplice ironia secondo lui.
Magari pensa che anche la legislazione che vieta l'apologia di fascismo non sia altro che una battuta inserita lì da quei buontemponi dei padri costituenti.
Ci è dato pensare che anche il sig. Sindaco e il presidente del Consiglio Comunale Mangialavori siano dello stesse parere visto che non hanno fatto nulla per richiamare De Filippis a ritirare immediatamente la sua dichiarazione. Questa è la cosa ancor più grave perché sono queste 2 figure che dovrebbero tutelare l’immagine, l’onore e la memoria soprattutto perché non rappresentano una parte politica ma, dovrebbero, rappresentare tutti i cittadini nei fatti e non facendo solamente propaganda di facciata e bella figura come posare le varie corone di fiori il 25 aprile se poi non sanno nemmeno cosa significhi.
E pensare che i consiglieri, una volta divenuti tali, giurano proprio sulla costituzione ma magari, secondo loro, è solamente una tradizione giurare sulla principale fonte della nostra repubblica.
Giurano sulla nostra avanzata, ma sopratutto antifascista, costituzione nata, parafrasando Piero Calamandrei, con il sangue dei partigiani che lottarono contro il fascismo.
Ma evidentemente, la maggioranza consiliare di Vibo Valentia, non sa nemmeno cosa sia la costituzione e pensare che il sindaco, che in quanto tale dovrebbe proteggerla e farla rispettare, è anche giurista.
Tutto questo è inaccettabile! In un'amministrazione incompetente e familiarista, questo non è che un'altro tassello, enorme e pesante come un macigno, che va a completare il quadro per il quale noi chiediamo le immediate dimissioni.
Vogliamo le dimissioni immediate e le scuse del consigliere De Filippis.
Vogliamo le dimissioni immediate e le scuse del Sindaco D’Agostino (figlio dell’ex Sindaco D’Agostino famoso per aver detto alla commissione nazionale antimafia che a Vibo Valentia la mafia non esiste)
Vogliamo soprattutto e fortemente le dimissioni immediate da presidente del consiglio comunale e da consigliere comunale del signor Mangialavori che si è reso partecipe, non interrompendo e senza richiamare all’ordine il consigliere autore della vergognosa frase.
E un appello per questa richiesta lo volgiamo anche all'opposizione, per dar seguito all'intervento del dott. Soriano che ha bacchettato puntualmente il consigliere del PDL, affinché vengano portate in consiglio comunale le formali richieste di dimissioni già alla seduta di lunedì prossimo.
Ma oltre i pubblici ufficiali e le istituzioni, a prendere una posizione dovranno essere anche tutti i cittadini che conoscono molto meglio dei loro amministratori i principi costituzionali.
E' il minimo, per onorare la memoria di chi è morto per liberarci dall'opprimente dittatura fascista, è indispensabile per far sì che nostri conterranei come Saverio Papandrea (del quale si parla tanto ultimamente e a cui questa amministrazione ha coperto la lapide alla memoria) e il compagno Umberto Terracini (calabrese, comunista, ma sopratutto firmatario della carta costituente) possano riposare in pace, nella gloria riservata agli eroi.
venerdì 3 febbraio 2012
Regione Calabria - Urbanistica anno zero
Urbanistica anno zero. Sulle politiche di governo del territorio e sulla pianificazione territoriale e paesaggistica Scopelliti, Aiello e la Giunta Regionale continuano a menare il can per l’aia.
In circa due anni di governo Scopelliti, in questo settore abbiamo assistito al più completo immobilismo e alla più assoluta paralisi che sono stati interrotti solo da un atto di cui i calabresi si ricordano per gli effetti nefasti e dannosi che ha prodotto: la famigerata delibera n. 331 del 21 aprile 2010 della Giunta Regionale con la quale Scopelliti decise la sospensione del Quadro Territoriale Regionale a valenza Paesaggistica ritirandolo dall’esame del Consiglio Regionale “per renderlo compatibile alle linee politico-programmatiche del nuovo governo regionale”, che dopo due anni però ancora non si conoscono. A tutt’oggi, a quasi 2 anni dal ritiro del QTR/P dal Consiglio da parte della Giunta regionale, non si hanno notizie del QTR/P e la Calabria rimane priva di norme inerenti il governo del territorio, l’assetto urbanistico, le strategie territoriali di sviluppo, la difesa del suolo e le azioni contro i rischi, la tutela e la valorizzazione del paesaggio e dei beni paesaggistici, la qualità edilizia, urbana e paesaggistica.
Adesso dopo aver perso due anni inutilmente hanno fatto la scoperta dell’acqua calda e lanciano una campagna di ascolto sul nuovo QTR paesaggistico, ovvero sul nuovo Documento Preliminare del QTR/P (siamo tornati indietro al 2009), mentre l’Assessore Aiello addirittura usa termini come “rivoluzione culturale” .
Ma quando mai. Francamente non sappiamo cosa ci sia di rivoluzionario in tutto questo.
Certo non è rivoluzionaria una Giunta regionale che come primo atto del suo insediamento ha bloccato e insabbiato il QTR/P, uno strumento di pianificazione territoriale e paesaggistica frutto questo sì di una straordinaria campagna di consultazione e di confronto con tutte le istituzioni e con tutti i settori della società calabrese che aveva determinato un grande dibattito a livello regionale di tipo culturale, tecnico e scientifico sulla pianificazione urbanistica e sulla legge urbanistica della Calabria.
Le chiacchiere dunque stanno davvero a zero. La politica degli annunci privi di qualsiasi fondatezza ha fatto Il suo tempo.
Costoro parlano di ascolto ma non garantiscono nessuna trasparenza.
A conferma di tale denuncia ricordiamo tre fatti clamorosi che non possono passare sotto silenzio:
1) nella seduta del 30 gennaio invece di approvare il QTR/P il Consiglio Regionale ha approvato per la seconda volta il piano casa che, in Calabria, autorizza una nuova colata di cemento che provocherà un nuovo saccheggio del territorio e del paesaggio all’insegna di una deregulation che favorirà abusi e speculazioni: uno scempio scontato poiché la giunta Scopelliti ha deciso di azzerare, in Calabria, gli strumenti di pianificazione territoriale come il QTR/P.
nche perché in Calabria sono assenti gli strumenti di pianificazione territoriale come il QTR/P;
2) nei giorni scorsi alla faccia della trasparenza e dell’ascolto è stato addirittura cancellato dal sito internet della regione il portale del QTR/P, risalente alla precedente gestione dell’Assessorato, che conteneva tutti i documenti tecnici, i documenti inerenti la concertazione e la partecipazione e i documenti inerenti le procedure di redazione dello stesso piano ed era una fonte inesauribile di conoscenze, dati, informazioni e notizie utili anche ai fini della redazione dei Piani Strutturali Comunali. Adesso tutto questo non c’è più a causa di un’azione delittuosa che solo una mente abituata alla poca trasparenza ha potuto escogitare. Si ritiene infatti che i portali istituzionali debbano essere aggiornati quotidianamente mantenendo però anche le informazioni precedenti. Ad oggi nel portale dell’Assessorato regionale all’Urbanistica, oltre qualche news, non esiste alcun aggiornamento rispetto a marzo 2010, nei contenuti e nei documenti a dimostrazione della inattività dello stesso assessorato;
3) oltre un anno fa era stato fatto un avviso pubblico per la nomina del nuovo Coordinatore Scientifico del QTR/P e per la costituzione dell’Ufficio del Piano. Ebbene ancora oggi alla faccia della trasparenza non si conoscono gli esiti di quella selezione. Anche se si può tranquillamente affermare che quell’avviso è stato solo una presa in giro per i professionisti e i tecnici calabresi, visto che il Direttore Generale arch. Putortì ha emanato il decreto n. 13949 del 2/11/2011, con il quale si stabilisce di dare avvio alle procedure per la rielaborazione del QTR/P, con oltre un anno e mezzo di ritardo, senza tenere in alcun conto l’avviso pubblico che lo stesso aveva pubblicato, recluando professionisti esterni in altro modo, tant’è vero che sempre alla faccia della trasparenza nessuno dei partecipanti ha ricevuto alcuna notizia in merito, né si è mai reso pubblico l’esito della valutazione della Commissione incaricata.
Sarebbe davvero una sciagura per i calabresi se i responsabili politici e tecnici dell’urbanistica calabrese decidessero di seguire le orme di Cetto la qualunque, che si vantava di avere nominato un suo fedelissimo primario di chirurgia e si scagliava contro l’opposizione di De Santis rea di denunciare il fatto che il neo primario non era neanche laureato.
Ebbene alla Regione, nel tempo di Scopelliti, potrebbe capitare anche questo, con la conseguenza che l’ottimo lavoro fatto in precedenza da tecnici e professionisti di valore indiscusso rischia di essere calpestato e messo sotto i piedi.
Reggio Calabria, 3.2.2012
IL SEGRETARIO REGIONALE DEL PdCI
MICHELANGELO TRIPODI
giovedì 2 febbraio 2012
Comunicato PdCI: Polmoni verdi? Quest'amministrazione preferisce diossina, degrado e denuncie.
Sono passati 2 mesi da quando avevamo provocatoriamente annunciato di voler andare a pulire la villa comunale, due mesi nei quali l'assessore Comito minacciò denuncie verso chiunque si sarebbe permesso, di compiere questo grave reato di "disobbedienza civile", ad entrare e pulire un bene pubblico e collettivo come il polmone verde sotto viale Regina Margherita.
Sentendosi minacciato, dalla partecipazione civile di chi viene preso dalla nausea e dalla sconforto nel vedere la propria città abbandonata a se stessa, il prode assessore mandò subito degli operai a regalare alla città un piccolo "contentino" tipico delle amministrazioni inoperose, una veloce e inadeguata ripulita alla villa.
Non avrebbe mai potuto permettere che noi provocatori del PdCI facessimo davvero qualcosa di utile per la collettività. Allora, in fretta e furia, urlò a mezzo stampa una promessa: "La villa verrà riaperta entro il 6 gennaio".
Ebbene siamo al'inizio di febbraio e, manco a dirlo, la villa è, come allora, invasa dai rifiuti e inesorabilmente chiusa. Quella promessa, ovviamente, è finita nel dimenticatoio, sempre più vasto, di quest'amministrazione d'inetti.
Sappiamo bene che aspettarsi "un'impugnazione", di questa benedetta promessa, da parte di questa giunta di "amici e parenti" sia alquanto utopico anche se ad onor del vero taluni consiglieri di maggioranza assopiti da tempi immemori, si stanno lentamente svegliando e sempre molto lentamente stanno iniziando a battere i pugni per discutere di tematiche importantissime come edilizia e ambiente, per l'appunto.
Ma questo è “saper fare” di Pietro Comito o sarebbe il caso di dire il “saper fare niente.
Ma allora cosa bisogna fare per regalare nuovamente decoro e manutenzione ad uno dei pochissimi spazi verdi della nostra città?
Dobbiamo di nuovo minacciare una nostra azione per poter avere il diritto di usufruire di uno dei nostri polmoni verdi della città?
Per quale motivo ancora non si vede nulla all’orizzonte che faccia pensare ad una prossima riapertura?
A quest'ultima domanda, sappiamo risponderci da soli.
Semplicemente perché non è in programma la riapertura, nè tantomeno la sua rivalutazione. Una manutenzione ordinaria della villa comunale avrebbe avuto dei costi molti contenuti mentre adesso si tratta di spendere risorse pubbliche in maniera emergenziale che il comune non ha in cassa.
Eppure sarebbe stato tutto molto semplice cari amministratori. Sarebbe bastato non perdere il milione e mezzo di euro che stanziò all'epoca, della giunta Loiero, l’assessorato all’urbanistica.
Quello stesso milione e mezzo che ora, il nuovo assessore Aiello appartenente al vostro schieramento, ha ritirato. Sarebbe ora di dirlo alla popolazione. Ammettete le vostre colpe pubblicamente e dite che non siete capaci ad amministrare ma solamente di sistemare parenti e amici, perché questo lo avete fatto e lo sanno tutti e ci auguriamo che la magistratura indaghi.
Altro tasto dolente è quello relativo alla spazzatura e al mancato (ri)avvio della raccolta differenziata. Proprio il PdCI questa estate aveva invitato l’assessore Comito ad una iniziativa sul tema dei rifiuti e in quell’occasione, e parliamo di luglio, promise che la raccolta differenziata sarebbe partita a stretto giro di boa ma dopo più di sei mesi ancora la montagna non ha partorito nemmeno il topolino. La città è una discarica a cielo aperto. Una città che presenta il vestito buono solamente nella parte centrale dove la spazzatura viene raccolta tutti i giorni, o quasi, mentre tutto il resto del comune viene abbandonato a se stesso come se gli abitanti fossero figli di un dio minore o non degni del vivere civile. E’ mai possibile continuare in una situazione del genere? Ma cosa si aspetta a defenestrare un assessore che dimostra giorno per giorno che la gestione dell’ambiente e il decoro urbano non gli competono? Eppure nelle fila della maggioranza comincia a farsi sentire il malumore per la questione ambientale. Finalmente si sono svegliati dal letargo, hanno aperto gli occhi o semplicemente hanno fatto un giro al di fuori della zona degli “uffici”.
Cari amministratori il problema dell’ambiente è serissimo sarebbe ora di capirlo una volta per tutte.
Sarebbe ora di capire che più “avanza” il problema e più saranno alti i costi perché le emergenze si pagano e la perenne emergenza si trasforma in costi insostenibili per le casse comunali che avete già riempito di debiti.
Partito dei Comunisti Italiani - Vibo Valentia
De Gaetano vota con il centrodestra
E’ proprio vero: il tempo è galantuomo!!! Nonostante tutto, le verità, anche le più inconfessate e inconfessabili, vengono miseramente a galla.
Qualche giorno fa, abbiamo appreso che il consigliere regionale ex Prc, ex FdS, ex Progetto Sinistra, ex progetto Democratico, e oggi, forse ancora per poco, PD, vale a dire il transfuga Nino De Gaetano ha incredibilmente votato il consigliere della lista “Scopelliti Presidente” alias PdL Candeloro Imbalzano alla carica di Presidente della Commissione Bilancio del Consiglio regionale.
Un inciucio vergognoso e ripugnante, frutto di una concezione indecente della politica che offende i cittadini e rappresenta l’espressione del peggiore trasversalismo che significa svendita dei valori e tradimento delle idee.
Al di là di qualsiasi valutazione di natura personale, la candidatura di Imbalzano alla presidenza della suddetta Commissione Consiliare era stata voluta fortemente da Scopelliti che l’aveva imposta al centrodestra senza che su di essa vi sia stata alcuna negoziazione o accordo con l’opposizione di centrosinistra.
I consiglieri del centrosinistra, infatti, si sono astenuti e, quindi, a differenza del girovago della politica De Gaetano, non hanno assolutamente votato a favore dell’esponente della maggioranza regionale di centrodestra.
De Gaetano ha, quindi, effettuato scientemente una scelta totalmente personale, difforme e non concordata con il suo nuovo, ma già quasi ex, gruppo consiliare, quello del PD.
Infatti, con uno specifico e imbarazzato comunicato stampa, il gruppo regionale del PD si è, immediatamente, affrettato a prendere formalmente le distanze dall’atteggiamento del De Gaetano che, senza tanti complimenti, è stato bollato come comportamento effettuato a titolo puramente personale.
Forse i consiglieri del PD avrebbero fatto bene a riflettere meglio prima di accettare il suo ingresso nel gruppo del PD, visto che la presenza di De Gaetano apre una voragine di natura morale ed etica nel Pd, un partito disposto ad accettare queste incomprensibili acrobazie pur di accogliere nelle proprie fila personaggi voltagabbana e trasformisti.
Per quanto ci riguarda quest’ultima “impresa” di De Gaetano non ci stupisce affatto visti i sostegni elettorali di cui parlano anche i collaboratori di giustizia. La scelta di votare un esponente del centrodestra, che non trova giustificazione politica alcuna, è in linea con i noti comportamenti trasversali tenuti dal transfuga in questione.
Del resto è a tutti noto che il De Gaetano, lo sanno anche le pietre, nella consultazione regionale del 2010 ha ottenuto migliaia di voti preferenza grazie alle schede che recavano il cosiddetto voto disgiunto con l’ibrido contestuale abbinamento al presidente della regione Scopelliti.
Infatti, in maniera spregiudicata e senza alcun limite o scrupolo è stata fatta campagna elettorale per De Gaetano alla carica di consigliere regionale e per Scopelliti alla carica di presidente.
L’inciucio, quindi, parte da lontano. Una vergogna politica che non trova precedenti nella storia calabrese. E’ non è certo un caso se il Segretario Nazionale di Rifondazione Comunista Paolo Ferrero parlando di De Gaetano lo ha pubblicamente definito espressione di una grandissima questione morale.
Siamo, pertanto, persuasi che il consigliere regionale più votato nel quartiere Archi di Reggio Calabria è sicuramente pronto a una nuova giravolta e, certamente, non disdegnerà un nuovo vergognoso cambio di casacca, dopo aver scippato e calpestato oltre 40.000 elettori calabresi che avevano votato per le la lista della Federazione della Sinistra.
Noi, al contrario, dei voltagabbana continueremo, senza sosta, la nostra coerente e limpida battaglia di opposizione, insieme alle forze sane, pulite e oneste della Calabria, contro la fallimentare maggioranza regionale di centrodestra di Scopelliti a cui si è aggiunta la ruota di scorta di De Gaetano.
Reggio Calabria lì 28 gennaio 2012
LA SEGRETERIA REGIONALE DEL PdCI DELLA CALABRIA
OPPOSIZIONE A MONTI, OPPOSIZIONE ORGANIZZATA IN CGIL
OPPOSIZIONE A MONTI, OPPOSIZIONE ORGANIZZATA IN CGIL
Premessa:
Da tempo l'area programmatica “La Cgil che vogliamo” è in crisi. Ora non è più rinviabile una verifica di fondo sulle volontà e sulle capacità politiche e organizzative di sviluppare in Cgil una lotta politica adeguata alla gravità di quanto accade. Il Contratto Nazionale, lo Statuto dei Lavoratori, ciò che resta dello Stato sociale, tutto è oggi in discussione e le posizioni e le iniziative della Cgil sono deboli e ininfluenti. Quindi o l'area programmatica nata dalla minoranza congressuale si organizza come opposizione alla deriva della Confederazione e agisce nei luoghi di lavoro, nei territori, nelle categorie in modo da essere chiaramente visibile e utilizzabile da chi vuole lottare, oppure cessa di avere qualsiasi utilità. Per questo proponiamo di aprire subito una discussione vasta in tutta l'area programmatica fino ai militanti ed agli iscritti, partendo da una grande assemblea nazionale ove organizzare l'opposizione e l'alternativa al Governo Monti e all'attacco padronale. E con lo scopo conseguente di organizzare in tutta la Cgil una visibile e incisiva opposizione alle scelte oggi prevalenti.
Per questo proponiamo le seguenti Tesi. (...)
1. Con la crisi economica il processo di riduzione dei diritti del lavoro avviato da oltre trent’anni ha raggiunto il massimo di estensione e di intensità. La precarietà è diventata la condizione comune di tutto il mondo del lavoro, solamente distribuita in diverse forme e gradualità. Tutto il mondo del lavoro viene sottoposto alla brutale aggressione ai diritti e alla dignità della persona. Competitività e flessibilità sono le parole con cui si giustifica ogni scelta lesiva dei più elementari diritti. Alla fine si sta giungendo a una vera e propria restaurazione di forme servili, mentre l'autoritarismo e l'attacco alle libertà sindacali dilagano.
Questa aggressione al lavoro è in corso in tutto il mondo occidentale e nell'Europa che già fu dei contratti e dei diritti. In Italia il via all'attacco conclusivo ai diritti contrattuali e allo stato sociale l'ha dato l'amministratore delegato della Fiat nel 2010. Da allora la politica e il modello di Marchionne si sono progressivamente estesi in tutto il mondo del lavoro e, là dove non sono stati accettati esplicitamente, sono comunque stati utilizzati per colpire i diritti e il potere contrattuale dei lavoratori. Nel decreto liberalizzazioni è il governo stesso che cancella l’obbligo del contratto nazionale per il trasporto ferroviario e per il trasporto locale. Decisione questa alla quale non si era spinto neppure il governo Berlusconi, che pure con l'articolo 8 del suo ultimo decreto, aveva dato il via libera definitivo a tutte le deroghe contrattuali e di legge.
Contro questo disegno di riduzione della forza lavoro a pura merce usa e getta non sono possibili accomodamenti. O lo si accetta pensando magari a ridurre i danni, pratica fallimentare di questi anni, o lo si respinge con il dichiarato intento di sconfiggerlo e di costruire un'alternativa generale adesso.
2. La crisi economica è una crisi di sistema che nasce dal modello sociale di sviluppo del capitalismo globalizzato. Le disuguaglianze sociali enormi e crescenti, la distruzione della natura, la crescita selvaggia del mercato, dopo essere state utilizzate dal capitalismo globalizzato come leva per la crescita sono oggi diventate causa stessa della sua crisi. Solo un cambiamento profondo della società può affrontare le cause strutturali della crisi, ma le classi dirigenti occidentali vanno tutte nella direzione opposta.
Si affronta la crisi, cioè, riproponendo in misura sempre più radicale quelle politiche liberiste che ci governano dagli ultimi trent’anni. Si portano indietro gli orologi, gli anni dieci del duemila diventano come gli anni ottanta, come se da allora non ci fossero stati un terribile arretramento del mondo del lavoro, una crescente disuguaglianza, una riduzione progressiva degli spazi e dei diritti democratici. E' fallita la promessa del capitalismo liberista di scambiare la riduzione dei diritti con la ricchezza individuale. Tuttavia proprio la crisi, proprio la disoccupazione e la precarietà di massa, diventano occasioni per scatenare un nuovo attacco ai diritti sociali proprio da parte di chi ha causato la crisi. La crisi del capitalismo occidentale in Europa diventa così l’occasione per esaltarlo nelle sue forme più brutali.
Il centro sinistra e i grandi sindacati, salvo eccezioni, sono subalterni a questa politica restauratrice. Al massimo puntano ad attenuarne gli effetti, a mitigarne i danni, ma non propongono in nessun caso una alternativa ad essa. D'altra parte una alternativa a queste politiche richiederebbe una scelta di rottura culturale e politica di compatibilità che è oggi è estranea o minoritaria sia nel centro sinistra, sia nei grandi sindacati. Così mentre le classi dirigenti provano a fermare il tempo, il movimento sindacale in Italia e in Europa spera solo in un ritorno alla concertazione e a politiche sociali meno aggressive, oppure tenta patti di complicità corporativa con le grandi imprese
3. La difficoltà nella situazione sta proprio nella rigidità delle compatibilità economiche, politiche e culturali che sono state progressivamente costruite e imposte negli ultimi trent’anni. Queste compatibilità sono oggi presentate come senza alternative, per cui ogni critica alle politiche economiche viene condannata ideologicamente e politicamente e messa al di fuori di ogni confronto. Un potente regime informativo e culturale martella l'opinione pubblica sulle certezze incontestabili del capitalismo finanziario. Ogni lotta sociale che si scontri con questo regime di compatibilità è costretta all'isolamento. Nell'epoca del trionfo della parola riformismo, le uniche vere riforme sono le controriforme liberiste. Chi si oppone ad esse è contro il progresso e la ragione. Per questo le lotte oggi hanno la necessità di unirsi e riconoscersi in un punto di vista globalmente critico rispetto al sistema esistente e alla sua ideologia totalitaria.
4. Per ricostruire democrazia, diritti, giustizia e uguaglianza è necessario scontrarsi in Italia e in Europa contro politiche e poteri dominanti. Il governo reale dell' Europa oggi è costituito dall' alleanza tra finanza e capitalismo multinazionale, tecnocrazia liberista, governi e ideologie conservatori. Il massacro sociale in Grecia è usato da questo governo reale come monito e ricatto per tutti i popoli. Tutto deve essere sacrificato al pareggio di bilancio e alle politiche di austerità competitiva.
In Italia questa politica e questa forma di governo si sono affermate con Monti. Il fallimento politico del governo Berlusconi, contro cui si era mobilitata per un anno e mezzo una parte sempre più vasta del paese e dell'opinione pubblica, ha aperto una fase completamente nuova. Il governo Monti si presenta come il governo degli obblighi e delle necessità imposte dall'Europa, mentre non può essere certo accusato di tutto ciò di cui si è macchiato il precedente governo. Per questo il conflitto sociale non può più godere della rendita di posizione dell'antiberlusconismo, di cui si serve anzi il centro sinistra per appoggiare il governo Monti, che rappresenta un'assoluta novità nella storia politica italiana del dopoguerra. E' il primo governo che reclama esplicitamente come proprie linee guida gli interessi del mercato e del grande capitale, presentandoli come interessi di tutti. A tal fine è fondamentale il ruolo assunto dal Presidente della Repubblica e l'uso della unità nazionale del paese contro il comune nemico , il debito pubblico. E' una propaganda da guerra patriottica quella che viene usata per richiedere e giustificare i sacrifici. Per questo il conflitto sociale necessita della rottura culturale e politica con l 'ideologia della coesione, del patto sociale, dello stare tutti nella stessa barca.
5. Per tutte queste ragioni la questione della opposizione al governo Monti diventa una questione costituente sul piano sociale, come su quello politico e anche culturale. Il governo Monti è infatti un governo ideologico che cancella l'autonomia del movimento operaio e il conflitto sociale nel nome della ideologia liberale. Ed è anche un governo di scopo il cui programma è applicare in Italia le politiche economiche decise dalla Bce e dalla grande finanza internazionale. Per queste ragioni non si possono combattere le singole misure del governo senza contrastare la logica di fondo che le ispira. Non sono cioè praticabili compromessi con la linea di fondo di questo governo.
Liberalizzazioni e privatizzazioni sono il punto centrale di una politica conservatrice e restauratrice, che punta a realizzare la ripresa economica facendo leva sul mercato e il profitto. Una linea destinata a fallire ma che, se non fermata in tempo, provocherà regressioni profonde nella società e nella democrazia.
6. Quanto avvenuto sulle pensioni è il segno della marginalizzazione del movimento sindacale italiano. Per la prima volta nella storia della Repubblica, si sono cambiate pesantemente le pensioni senza alcun accordo con alcuno dei grandi sindacati confederali. D'altra parte l'ideologia del governo Monti è liberale e liberista e come tale restia a subire anche il condizionamento concertativo del sindacato. Da questo punto di vista vanno in crisi nel confronto con il governo non solo le posizioni della Cgil, ma persino quelle di Cisl e Uil. Il confronto sul mercato del lavoro si è aperto così come una trattativa a perdere, nella quale il movimento sindacale deve fare ulteriori sacrifici sui diritti e sulla contrattazione nel nome della flessibilità e della competitività. Con l'attacco all'articolo 18 il governo prepara una nuova ondata di precarietà e riduzione del valore del lavoro e anche una nuova umiliazione a Cgil, Cisl e Uil.
7. L'accordo del 28 giugno, sottoscritto dalla Cgil il 21 settembre prima ancora della consultazione, segna un'ulteriore segno di impotenza delle linea politica prevalente nel sindacato confederale oggi. Nelle intenzioni della Cgil quell'accordo doveva segnare un punto d'arresto della destrutturazione dei contratti e invece è stato utilizzato dal padronato, dal governo Berlusconi e anche dal governo Monti, per peggiorare ancora le condizioni di lavoro. Sono continuati gli accordi separati e là dove tutti hanno firmato è ampiamente passato il principio delle deroghe, del sottosalario, delle limitazioni dei diritti. Nel pubblico impiego è proseguita la politica di cancellazione della stessa contrattazione collettiva e del ritorno ad un modello individuale ottocentesco di rapporto di lavoro. L' errore di fondo del gruppo dirigente della Cgil è stato quello di minimizzare la portata dell'attacco scatenato dalla fiat e di non coglierne la dimensione di sistema. Così il no della Fiom è stato considerato un incidente da recuperare invece che una risorsa per tutto il sindacato, un punto da cui partire per combattere ovunque l' asservimento del lavoro. Ora Cgil e Fiom sono ad un bivio, vie di mezzo non ce ne sono. O rientrano nel sistema Marchionne subendo la sconfitta e accettando così la sua generalizzazione a tutto il mondo del lavoro. O continuano il conflitto e lo estendono fino a rovesciare i rapporti di forza. Per queste ragioni l'accordo del 28 giugno non solo non è uno strumento utile, ma va messo in discussione assieme all'articolo 8 del decreto Berlusconi e alla politica contrattuale di governo ed enti pubblici.
8. Per tutte queste ragioni è indispensabile aprire immediatamente in tutta la Cgil, in tutte le sue categorie e strutture, un confronto che metta in campo un'alternativa al fallimento della politica concertativa. Occorre affermare ovunque nella Cgil la possibilità di una politica e di una pratica diversa da quella della riduzione del danno. L'opposizione al governo Monti come concreta pratica sindacale, lo scontro con la linea Marchionne e con quella ad essa ossequente della Confindustria, la totale indipendenza dai riferimenti politici e culturali che sono alla base del sostegno al governo tecnico, devono essere elementi costituenti di una nuova fase sindacale. Una fase nella quale la ricostruzione del conflitto assieme a quella di una piattaforma alternativa generale che lo sostenga ed estenda, devono muovere assieme.
Tutto questo impone una svolta radicale nelle scelte e soprattutto nelle modalità di iniziativa della minoranza congressuale-area programmatica 'La Cgil che vogliamo'. Quest'area è da un anno in evidentissima crisi politica e operativa e questo perché non è mai stata in grado di contrastare davvero le scelte prevalenti in Cgil. Il punto centrale della crisi dell'area è che la forza dell'offensiva liberista del padronato e governo impongono ai dissensi di trasformarsi in scelte operative nella vita della Cgil, oppure di essere ininfluenti. Per questo proponiamo a La Cgil che vogliamo di organizzarsi come opposizione, a partire dai luoghi di lavoro, in tutta la Cgil.
9. La nuova opposizione in Cgil dovrà necessariamente aprirsi a tutti i movimenti, a tutte le forze sociali e sindacali organizzate che lottano contro il governo Monti e contro tutte le logiche che lo ispirano. La ricostruzione dell'unità con Cisl e Uil va nella direzione opposta a quanto è necessario. E non perché queste organizzazioni non possano risentire della crisi di risultati che oggi colpisce tutto il sindacato. Ma perché non è possibile separare la battaglia generale da quella nei singoli luoghi di lavoro, quella contro Monti da quella contro Marchionne con cui invece Cisl e Uil collaborano. La prima unità da costruire è dunque quella con tutte le forze del conflitto sociale, superando inutili barriere con i movimenti e pure con il sindacalismo di base, anche esso oggi in grande difficoltà. Oggi non esistono forze e movimenti autosufficienti e invece è indispensabile che tutte e tutti coloro che intendono lottare contro la linea Monti/Marchionne trovino punti, momenti e iniziative comuni.
10. La nuova opposizione in Cgil dovrà elaborare una piattaforma alternativa alle politiche economiche degli ultimi trenta anni, fondata prima di tutto sul rifiuto delle politiche europee di austerità e rientro dal debito. Questo rifiuto è decisivo anche per non lasciare il campo alle forze della destra populista e xenofoba per difendere davvero la democrazia.
Una piattaforma per il lavoro e la dignità di fondata sui beni comuni, sulle nazionalizzazioni e sul controllo del mercato, sull'eguaglianza sociale e la lotta alla precarietà. sul potere contrattuale dei lavoratori, sull'aumento dei salari, sul diritto al reddito e sulla riduzione degli orari. Questa nuova piattaforma che rompe con trenta anni di pratiche concertative, sarà frutto sia della elaborazione comune delle strutture e dei militanti sia delle lotte concrete,che spesso individuano obiettivi, percorsi,modalità di lotta che fanno fare passi avanti decisivi. Nel suo passato migliore la Cgil ha sempre saputo imparare dalle lotte e rinnovare con esse le proprie pratiche.
11. La crisi economica è crisi della democrazia. Per questo la nuova opposizione in Cgil dovrà considerare la ricostruzione della partecipazione e della democrazia, nella stessa vita all'interno dell’organizzazione, come un proprio punto identitario. Bisogna rompere con le pratiche autoritarie che si diffondono in tutto il corpo dell'organizzazione, con la delega assoluta ai gruppi dirigenti, con la marginalizzazione della diversità e del dissenso. Una democrazia partecipativa radicale deve essere oggi praticata nella Cgil, così come in tutte le attività politico sociali.
La burocratizzazione e la spoliticizzazione dell'attività sindacale, sempre più trasformata in attività di consulenza e servizio, va sfidata e combattuta. A partire dai luoghi di lavoro la nuova opposizione organizzata in Cgil dovrà rivendicare e affermare il sindacato della democrazia e del conflitto, creando spazi, confronti, pubblica comunicazione. IL mondo del lavoro deve sapere che c'e in campo l'opposizione in Cgil.
Giorgio Cremaschi
Premessa:
Da tempo l'area programmatica “La Cgil che vogliamo” è in crisi. Ora non è più rinviabile una verifica di fondo sulle volontà e sulle capacità politiche e organizzative di sviluppare in Cgil una lotta politica adeguata alla gravità di quanto accade. Il Contratto Nazionale, lo Statuto dei Lavoratori, ciò che resta dello Stato sociale, tutto è oggi in discussione e le posizioni e le iniziative della Cgil sono deboli e ininfluenti. Quindi o l'area programmatica nata dalla minoranza congressuale si organizza come opposizione alla deriva della Confederazione e agisce nei luoghi di lavoro, nei territori, nelle categorie in modo da essere chiaramente visibile e utilizzabile da chi vuole lottare, oppure cessa di avere qualsiasi utilità. Per questo proponiamo di aprire subito una discussione vasta in tutta l'area programmatica fino ai militanti ed agli iscritti, partendo da una grande assemblea nazionale ove organizzare l'opposizione e l'alternativa al Governo Monti e all'attacco padronale. E con lo scopo conseguente di organizzare in tutta la Cgil una visibile e incisiva opposizione alle scelte oggi prevalenti.
Per questo proponiamo le seguenti Tesi. (...)
1. Con la crisi economica il processo di riduzione dei diritti del lavoro avviato da oltre trent’anni ha raggiunto il massimo di estensione e di intensità. La precarietà è diventata la condizione comune di tutto il mondo del lavoro, solamente distribuita in diverse forme e gradualità. Tutto il mondo del lavoro viene sottoposto alla brutale aggressione ai diritti e alla dignità della persona. Competitività e flessibilità sono le parole con cui si giustifica ogni scelta lesiva dei più elementari diritti. Alla fine si sta giungendo a una vera e propria restaurazione di forme servili, mentre l'autoritarismo e l'attacco alle libertà sindacali dilagano.
Questa aggressione al lavoro è in corso in tutto il mondo occidentale e nell'Europa che già fu dei contratti e dei diritti. In Italia il via all'attacco conclusivo ai diritti contrattuali e allo stato sociale l'ha dato l'amministratore delegato della Fiat nel 2010. Da allora la politica e il modello di Marchionne si sono progressivamente estesi in tutto il mondo del lavoro e, là dove non sono stati accettati esplicitamente, sono comunque stati utilizzati per colpire i diritti e il potere contrattuale dei lavoratori. Nel decreto liberalizzazioni è il governo stesso che cancella l’obbligo del contratto nazionale per il trasporto ferroviario e per il trasporto locale. Decisione questa alla quale non si era spinto neppure il governo Berlusconi, che pure con l'articolo 8 del suo ultimo decreto, aveva dato il via libera definitivo a tutte le deroghe contrattuali e di legge.
Contro questo disegno di riduzione della forza lavoro a pura merce usa e getta non sono possibili accomodamenti. O lo si accetta pensando magari a ridurre i danni, pratica fallimentare di questi anni, o lo si respinge con il dichiarato intento di sconfiggerlo e di costruire un'alternativa generale adesso.
2. La crisi economica è una crisi di sistema che nasce dal modello sociale di sviluppo del capitalismo globalizzato. Le disuguaglianze sociali enormi e crescenti, la distruzione della natura, la crescita selvaggia del mercato, dopo essere state utilizzate dal capitalismo globalizzato come leva per la crescita sono oggi diventate causa stessa della sua crisi. Solo un cambiamento profondo della società può affrontare le cause strutturali della crisi, ma le classi dirigenti occidentali vanno tutte nella direzione opposta.
Si affronta la crisi, cioè, riproponendo in misura sempre più radicale quelle politiche liberiste che ci governano dagli ultimi trent’anni. Si portano indietro gli orologi, gli anni dieci del duemila diventano come gli anni ottanta, come se da allora non ci fossero stati un terribile arretramento del mondo del lavoro, una crescente disuguaglianza, una riduzione progressiva degli spazi e dei diritti democratici. E' fallita la promessa del capitalismo liberista di scambiare la riduzione dei diritti con la ricchezza individuale. Tuttavia proprio la crisi, proprio la disoccupazione e la precarietà di massa, diventano occasioni per scatenare un nuovo attacco ai diritti sociali proprio da parte di chi ha causato la crisi. La crisi del capitalismo occidentale in Europa diventa così l’occasione per esaltarlo nelle sue forme più brutali.
Il centro sinistra e i grandi sindacati, salvo eccezioni, sono subalterni a questa politica restauratrice. Al massimo puntano ad attenuarne gli effetti, a mitigarne i danni, ma non propongono in nessun caso una alternativa ad essa. D'altra parte una alternativa a queste politiche richiederebbe una scelta di rottura culturale e politica di compatibilità che è oggi è estranea o minoritaria sia nel centro sinistra, sia nei grandi sindacati. Così mentre le classi dirigenti provano a fermare il tempo, il movimento sindacale in Italia e in Europa spera solo in un ritorno alla concertazione e a politiche sociali meno aggressive, oppure tenta patti di complicità corporativa con le grandi imprese
3. La difficoltà nella situazione sta proprio nella rigidità delle compatibilità economiche, politiche e culturali che sono state progressivamente costruite e imposte negli ultimi trent’anni. Queste compatibilità sono oggi presentate come senza alternative, per cui ogni critica alle politiche economiche viene condannata ideologicamente e politicamente e messa al di fuori di ogni confronto. Un potente regime informativo e culturale martella l'opinione pubblica sulle certezze incontestabili del capitalismo finanziario. Ogni lotta sociale che si scontri con questo regime di compatibilità è costretta all'isolamento. Nell'epoca del trionfo della parola riformismo, le uniche vere riforme sono le controriforme liberiste. Chi si oppone ad esse è contro il progresso e la ragione. Per questo le lotte oggi hanno la necessità di unirsi e riconoscersi in un punto di vista globalmente critico rispetto al sistema esistente e alla sua ideologia totalitaria.
4. Per ricostruire democrazia, diritti, giustizia e uguaglianza è necessario scontrarsi in Italia e in Europa contro politiche e poteri dominanti. Il governo reale dell' Europa oggi è costituito dall' alleanza tra finanza e capitalismo multinazionale, tecnocrazia liberista, governi e ideologie conservatori. Il massacro sociale in Grecia è usato da questo governo reale come monito e ricatto per tutti i popoli. Tutto deve essere sacrificato al pareggio di bilancio e alle politiche di austerità competitiva.
In Italia questa politica e questa forma di governo si sono affermate con Monti. Il fallimento politico del governo Berlusconi, contro cui si era mobilitata per un anno e mezzo una parte sempre più vasta del paese e dell'opinione pubblica, ha aperto una fase completamente nuova. Il governo Monti si presenta come il governo degli obblighi e delle necessità imposte dall'Europa, mentre non può essere certo accusato di tutto ciò di cui si è macchiato il precedente governo. Per questo il conflitto sociale non può più godere della rendita di posizione dell'antiberlusconismo, di cui si serve anzi il centro sinistra per appoggiare il governo Monti, che rappresenta un'assoluta novità nella storia politica italiana del dopoguerra. E' il primo governo che reclama esplicitamente come proprie linee guida gli interessi del mercato e del grande capitale, presentandoli come interessi di tutti. A tal fine è fondamentale il ruolo assunto dal Presidente della Repubblica e l'uso della unità nazionale del paese contro il comune nemico , il debito pubblico. E' una propaganda da guerra patriottica quella che viene usata per richiedere e giustificare i sacrifici. Per questo il conflitto sociale necessita della rottura culturale e politica con l 'ideologia della coesione, del patto sociale, dello stare tutti nella stessa barca.
5. Per tutte queste ragioni la questione della opposizione al governo Monti diventa una questione costituente sul piano sociale, come su quello politico e anche culturale. Il governo Monti è infatti un governo ideologico che cancella l'autonomia del movimento operaio e il conflitto sociale nel nome della ideologia liberale. Ed è anche un governo di scopo il cui programma è applicare in Italia le politiche economiche decise dalla Bce e dalla grande finanza internazionale. Per queste ragioni non si possono combattere le singole misure del governo senza contrastare la logica di fondo che le ispira. Non sono cioè praticabili compromessi con la linea di fondo di questo governo.
Liberalizzazioni e privatizzazioni sono il punto centrale di una politica conservatrice e restauratrice, che punta a realizzare la ripresa economica facendo leva sul mercato e il profitto. Una linea destinata a fallire ma che, se non fermata in tempo, provocherà regressioni profonde nella società e nella democrazia.
6. Quanto avvenuto sulle pensioni è il segno della marginalizzazione del movimento sindacale italiano. Per la prima volta nella storia della Repubblica, si sono cambiate pesantemente le pensioni senza alcun accordo con alcuno dei grandi sindacati confederali. D'altra parte l'ideologia del governo Monti è liberale e liberista e come tale restia a subire anche il condizionamento concertativo del sindacato. Da questo punto di vista vanno in crisi nel confronto con il governo non solo le posizioni della Cgil, ma persino quelle di Cisl e Uil. Il confronto sul mercato del lavoro si è aperto così come una trattativa a perdere, nella quale il movimento sindacale deve fare ulteriori sacrifici sui diritti e sulla contrattazione nel nome della flessibilità e della competitività. Con l'attacco all'articolo 18 il governo prepara una nuova ondata di precarietà e riduzione del valore del lavoro e anche una nuova umiliazione a Cgil, Cisl e Uil.
7. L'accordo del 28 giugno, sottoscritto dalla Cgil il 21 settembre prima ancora della consultazione, segna un'ulteriore segno di impotenza delle linea politica prevalente nel sindacato confederale oggi. Nelle intenzioni della Cgil quell'accordo doveva segnare un punto d'arresto della destrutturazione dei contratti e invece è stato utilizzato dal padronato, dal governo Berlusconi e anche dal governo Monti, per peggiorare ancora le condizioni di lavoro. Sono continuati gli accordi separati e là dove tutti hanno firmato è ampiamente passato il principio delle deroghe, del sottosalario, delle limitazioni dei diritti. Nel pubblico impiego è proseguita la politica di cancellazione della stessa contrattazione collettiva e del ritorno ad un modello individuale ottocentesco di rapporto di lavoro. L' errore di fondo del gruppo dirigente della Cgil è stato quello di minimizzare la portata dell'attacco scatenato dalla fiat e di non coglierne la dimensione di sistema. Così il no della Fiom è stato considerato un incidente da recuperare invece che una risorsa per tutto il sindacato, un punto da cui partire per combattere ovunque l' asservimento del lavoro. Ora Cgil e Fiom sono ad un bivio, vie di mezzo non ce ne sono. O rientrano nel sistema Marchionne subendo la sconfitta e accettando così la sua generalizzazione a tutto il mondo del lavoro. O continuano il conflitto e lo estendono fino a rovesciare i rapporti di forza. Per queste ragioni l'accordo del 28 giugno non solo non è uno strumento utile, ma va messo in discussione assieme all'articolo 8 del decreto Berlusconi e alla politica contrattuale di governo ed enti pubblici.
8. Per tutte queste ragioni è indispensabile aprire immediatamente in tutta la Cgil, in tutte le sue categorie e strutture, un confronto che metta in campo un'alternativa al fallimento della politica concertativa. Occorre affermare ovunque nella Cgil la possibilità di una politica e di una pratica diversa da quella della riduzione del danno. L'opposizione al governo Monti come concreta pratica sindacale, lo scontro con la linea Marchionne e con quella ad essa ossequente della Confindustria, la totale indipendenza dai riferimenti politici e culturali che sono alla base del sostegno al governo tecnico, devono essere elementi costituenti di una nuova fase sindacale. Una fase nella quale la ricostruzione del conflitto assieme a quella di una piattaforma alternativa generale che lo sostenga ed estenda, devono muovere assieme.
Tutto questo impone una svolta radicale nelle scelte e soprattutto nelle modalità di iniziativa della minoranza congressuale-area programmatica 'La Cgil che vogliamo'. Quest'area è da un anno in evidentissima crisi politica e operativa e questo perché non è mai stata in grado di contrastare davvero le scelte prevalenti in Cgil. Il punto centrale della crisi dell'area è che la forza dell'offensiva liberista del padronato e governo impongono ai dissensi di trasformarsi in scelte operative nella vita della Cgil, oppure di essere ininfluenti. Per questo proponiamo a La Cgil che vogliamo di organizzarsi come opposizione, a partire dai luoghi di lavoro, in tutta la Cgil.
9. La nuova opposizione in Cgil dovrà necessariamente aprirsi a tutti i movimenti, a tutte le forze sociali e sindacali organizzate che lottano contro il governo Monti e contro tutte le logiche che lo ispirano. La ricostruzione dell'unità con Cisl e Uil va nella direzione opposta a quanto è necessario. E non perché queste organizzazioni non possano risentire della crisi di risultati che oggi colpisce tutto il sindacato. Ma perché non è possibile separare la battaglia generale da quella nei singoli luoghi di lavoro, quella contro Monti da quella contro Marchionne con cui invece Cisl e Uil collaborano. La prima unità da costruire è dunque quella con tutte le forze del conflitto sociale, superando inutili barriere con i movimenti e pure con il sindacalismo di base, anche esso oggi in grande difficoltà. Oggi non esistono forze e movimenti autosufficienti e invece è indispensabile che tutte e tutti coloro che intendono lottare contro la linea Monti/Marchionne trovino punti, momenti e iniziative comuni.
10. La nuova opposizione in Cgil dovrà elaborare una piattaforma alternativa alle politiche economiche degli ultimi trenta anni, fondata prima di tutto sul rifiuto delle politiche europee di austerità e rientro dal debito. Questo rifiuto è decisivo anche per non lasciare il campo alle forze della destra populista e xenofoba per difendere davvero la democrazia.
Una piattaforma per il lavoro e la dignità di fondata sui beni comuni, sulle nazionalizzazioni e sul controllo del mercato, sull'eguaglianza sociale e la lotta alla precarietà. sul potere contrattuale dei lavoratori, sull'aumento dei salari, sul diritto al reddito e sulla riduzione degli orari. Questa nuova piattaforma che rompe con trenta anni di pratiche concertative, sarà frutto sia della elaborazione comune delle strutture e dei militanti sia delle lotte concrete,che spesso individuano obiettivi, percorsi,modalità di lotta che fanno fare passi avanti decisivi. Nel suo passato migliore la Cgil ha sempre saputo imparare dalle lotte e rinnovare con esse le proprie pratiche.
11. La crisi economica è crisi della democrazia. Per questo la nuova opposizione in Cgil dovrà considerare la ricostruzione della partecipazione e della democrazia, nella stessa vita all'interno dell’organizzazione, come un proprio punto identitario. Bisogna rompere con le pratiche autoritarie che si diffondono in tutto il corpo dell'organizzazione, con la delega assoluta ai gruppi dirigenti, con la marginalizzazione della diversità e del dissenso. Una democrazia partecipativa radicale deve essere oggi praticata nella Cgil, così come in tutte le attività politico sociali.
La burocratizzazione e la spoliticizzazione dell'attività sindacale, sempre più trasformata in attività di consulenza e servizio, va sfidata e combattuta. A partire dai luoghi di lavoro la nuova opposizione organizzata in Cgil dovrà rivendicare e affermare il sindacato della democrazia e del conflitto, creando spazi, confronti, pubblica comunicazione. IL mondo del lavoro deve sapere che c'e in campo l'opposizione in Cgil.
Giorgio Cremaschi
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