lunedì 30 agosto 2010

LA SCUOLA “AD ESAURIMENTO”

Quello della scuola, in Italia, è da sempre un argomento molto “caldo”: vi si intrecciano aspetti molto complessi e fondamentali per la vita del Paese intero. Come per ogni altro ambito dei servizi pubblici, parlare di scuola implica sia un approccio “politico”, per quanto riguarda la visione dell’istruzione in un progetto complessivo, sia un approccio più specificamente sindacale, per quanto riguarda l’aspetto del lavoro.
Da questo secondo aspetto vorrei iniziare, non perché sia meno importante, ma perché mentre il lavoro nella scuola pubblica interessa “solo” poche centinaia di migliaia di donne e di uomini, esperti ed altamente specializzati, la scuola pubblica nel suo complesso rappresenta una delle risorse fondamentali per l’intero Paese, per il suo futuro.

La riforma Gelmini (ma sarebbe più appropriato chiamarla de-forma), insieme ai più recenti provvedimenti inseriti nelle finanziarie del governo Berlusconi e dopo gli interventi di diversa natura dei governi precedenti, rappresenta l’attacco finale, da parte del capitale, all’istruzione pubblica, libera, democratica, gratuita, di qualità per tutti.
Nell’arco di 3 anni la scuola pubblica (e parliamo solo di scuola, da quella dell’infanzia alla secondaria superiore, esclusa l’istruzione professionale e l’università) sarà derubata di 8 miliardi di euro e circa 140.000 precari perderanno il posto di lavoro. Come? 1) Innalzamento degli alunni per classe: per formare una classe ci vuole un minimo di alunni più alto rispetto a prima, con la conseguenza che se questo minimo non si raggiunge, la classe non si forma, gli alunni vengono sparpagliati in altre classi, gli insegnanti perdono ore settimanali e intere cattedre, e anche gli assistenti tecnico-amministrativi, calcolati in base al numero di classi di un istituto scolastico, vanno in esubero. 2) Blocco del turn-over: se ad ogni pensionamento corrispondesse un’assunzione a tempo indeterminato, il male sarebbe minore. Peccato che il Ministero autorizzi, rispetto ai pensionamenti e quindi ai posti vacanti, solo un 10% circa di immissioni in ruolo, lasciando il resto ai perdenti posto e le briciole ai contratti a tempo determinato. Queste le misure più gravi che comportano, per es., solo per la Calabria e solo per l’anno scolastico 2010-2011, la perdita di circa 2300 posti di lavoro. Tanto per dare un’idea, gli operai FIAT a rischio licenziamento a Termini Imerese sono 1600!!! Tutto questo a fronte di una situazione sindacale che vede i confederali divisi tra gli“accondiscendenti” CISL e UIL e la CGIL che cerca di ritrovare l’unità spezzata dal tradimento di Bonanni e Angeletti coinvolgendo i lavoratori delusi e i precari disorganizzati. Questi ultimi persi nella selva di sigle che spesso sono più lunghe delle liste degli stessi aderenti, dei sindacati autonomi, risoluti e combattivi, ma sempre inconcludenti, e soprattutto dati in pasto a pseudo sindacalisti senza scrupolo che promuovono ricorsi su ricorsi e si arricchiscono sulle spalle dei disperati. I precari, appunto: migliaia di donne e di uomini, giovani, ma in molti casi anche di mezza età che lavorano da anni nella scuola, garantendo professionalità, impegno e dedizione, nonostante i continui saccheggi governativi alle risorse degli istituti, nonostante il fango gettato dal Brunetta di turno, nonostante la declassazione sociale, nonostante l’oggettiva difficoltà di lavorare in condizioni disagiatissime… Una classe, meglio: una sottoclasse sociale che ancora stenta a prendere coscienza di sé stessa. Perché disperata, da una parte, e in balia di profittatori senza scrupoli, dall’altra, che fanno leva sullo stato di bisogno dei lavoratori per metterli l’uno contro l’altro. All’orizzonte l’unica via credibile e seria è quella che sta mettendo in atto la FLC-CGIL con la costituzione di un Coordinamento dei Precari della Conoscenza unitario: staremo a vedere!

8.000.000.000 di euro, circa 140.000 lavoratori precari licenziati: queste le cifre impressionanti della gestione Gelmini al Ministero dell’Istruzione per il triennio 2009-2011!
Sulle spalle di chi studia e di chi lavora… La crisi economica è una, la principale forse, giustificazione di questa falcidia. Ebbene, mentre tutta l’Europa, mentre anche gli USA, proprio in periodo di crisi economica, investono di più nell’istruzione pubblica perché sanno bene quanto sia importante, per la stabilità e l’equilibrio sociale di un sistema/paese, l’Italia opera la più grande operazione di licenziamento mai vista nell’istruzione pubblica. A questo punto non è nemmeno più una questione di modelli economici contrapposti, il liberista e il comunista: si tratta di un non dichiarato, ma palese, attacco alla democrazia e alla libertà dell’insegnamento/apprendimento a favore del settore privato che, in questi anni, si è appropriato via via di fette sempre più grosse del “mercato” dell’istruzione dei nostri figli, dei nostri nipoti. Vorrei proporre alla vostra attenzione un brano d’autore: il giochino consiste non tanto nell’individuare l’autore, quanto piuttosto l’anno di pubblicazione.
Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. […] ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. […] Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante […] (è tutta un’ipotesi teorica, intendiamoci). Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. […] e comincia a favorire le scuole private. […] Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori - si dice - di quelle di Stato. E magari si danno dei premi a quei cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole pubbliche alle scuole private. […] Così […] il partito dominante [...] manda in malora le scuole di Stato per dare prevalenza alle scuole private. Attenzione, […] l’operazione si fa in tre modi: 1) rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro bilanci. Ignorare i loro bisogni. 2) Attenuare la sorveglianza e il controllo sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi insegnino insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli esami siano burlette. 3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il punto. Dare alle scuole private denaro pubblico. Indovinato? Karl Marx nel 1848? Ernesto Guevara nel gennaio del 1959? Un volantino delle BR negli anni ’70? Sbagliato: queste cose le scriveva un signore, Piero Calamandrei, che comunista non era, bensì giurista, moderato, azionista, membro dell’Assemblea Costituente, nel 1950, quando al potere c’era la Democrazia Cristiana e cominciavano a nascere le scuole private, cattoliche naturalmente. Le cose sono cambiate da allora, ma è esattamente quello che sta succedendo oggi: alla pluralità delle idee si sostituisce il pensiero unico del berlusconismo, alla libertà di scelta si sovrappone l’asfissia della propaganda, la scuola pubblica viene tartassata e gradualmente azzerata a favore della scuola privata… Ora, è forse superfluo prefigurare lo scenario che potrebbe delinearsi da qui a qualche anno, ma proviamoci lo stesso: le scuole pubbliche, sempre più cadenti e squallide, sempre più dequalificate e ingestibili saranno frequentate dai figli di chi non potrà permettersi i costi della scuola privata e i titoli rilasciati saranno pressoché inutili nel mondo del lavoro che ricercherà direttamente dagli albi dei diplomati nelle scuole private più prestigiose. Un po’ quello che succede negli USA con le scuole pubbliche ghetto e le scuole private prestigiosissima culla dei rampolli della plutocrazia!

Tutto ciò che sta succedendo alla scuola, dunque, non riguarda solo chi perde il posto di lavoro, ma riguarda tutti noi: come comunisti non possiamo restare con le mani in mano a vedere lo scempio dei diritti per i quali hanno combattuto e sono morti i nostri padri. Dobbiamo fare qualcosa, ma cosa? Innanzitutto ritrovare l’unità: il capitale oggi, in Italia e in Europa, ha vita facile contro i lavoratori perché non è contrastato affatto: le sinistre sono impegnate a litigare al loro interno per accaparrarsi nicchie di potere. Un atteggiamento che non appartiene alla nostra storia e non deve appartenere al nostro futuro. Ritrovare l’unità, dunque, all’insegna dell’opposizione ferma al neocapitalismo imperante: la nostra storia ci insegna che non siamo una forza di governo, non possiamo gestire il potere in un sistema capitalistico e di mercato; semmai dovremmo rifondare quel sistema di contropotere che abbiamo creato nel dopoguerra e che si è trasformato in una lobby con lo scioglimento del PCI.

Giovanni De Sossi
(PdCI - Vibo Valentia)






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