venerdì 6 agosto 2010

RELAZIONE INTRODUTTIVA DEL SEGRETARIO NAZIONALE OLIVIERO DILIBERTO DIREZIONE NAZIONALE ALLARGATA – ROMA 18/19 LUGLIO

Care compagne e compagni, credo che non sfugga a nessuno la rilevanza della riunione di oggi. Non a caso l’abbiamo voluta nella forma di un attivo del Partito, coinvolgendo il quadro militante e dirigente.
Questa riunione apre la stagione che darà il via prima al congresso della Federazione della Sinistra e poi a quello del Pdci, previsto per la prima metà del 2011. Si tratta della scadenza prefissata, potremmo discutere se anticiparla o meno: la mia opinione, che ha avuto il consenso della Direzione Nazionale, è di rispettare la scadenza naturale. Ma, lo ripeto, è tema di discussione e ne parleremo. In questa riunione dovremo prendere decisioni che riguarderanno la vita del Partito a tutti i livelli. Vi invito ad un discussione che sia la più aperta possibile. Subito dopo essa andrà riportata nei territori perché ci sia un riscontro da parte del maggior numero di quadri e militanti. La fase politica è evidentemente molto complessa, ma vorrei offrire ai compagni qualche elemento non usuale di riflessione. La crisi è generale, non ciclica ma sistemica, lo riconosce persino Trichet, il presidente della Banca Centrale Europea, ed ha caratteri internazionali. Ma io avverto una crisi specifica italiana che colpisce tutti i livelli istituzionali ed è allarmante.
Due dei principali vertici delle forze dell’ordine hanno subìto pesanti condanne. Gianni De Gennaro, già capo storico della polizia italiana e oggi a capo dei servizi segreti, e il comandante-generale dei Ros, cioè dei Reparti Operativi Speciali dei Carabinieri, uno degli uomini più importanti d’Italia e d’Europa, condannato in primo grado a 14 anni per traffico internazionale di stupefacenti.
Ho voluto citare questi due casi e non ho parlato della cosiddetta cricca perché per alcuni versi li
considero anche più gravi. Il capo dei servizi segreti e il comandante generale dei Ros sono vertici
istituzionali di prima grandezza. Ci si aspetta da loro che siano i garanti, i custodi della sicurezza e
della legalità. E invece sono anche loro nella lunga fila di personaggi coinvolti nella corruzione.
E’ in atto un impazzimento generale del sistema. Non si salva nessun livello. Non si salva la
magistratura, non si salvano le forze dell’ordine, le forze armate, non si salvano l’imprenditoria e il sistema politico. Il livello nel quale è sprofondata la società italiana non ha precedenti nella storia repubblicana. E’ lo scenario inquietante di un Paese che ha la classe dirigente peggiore del mondo capitalistico. In questo quadro è evidente la sfiducia profonda della popolazione non solo nei confronti del governo, ma complessivamente verso le istituzioni, rispetto alla stessa democrazia.
Nella degenerazione del sistema politico e istituzionale, si affermano sempre più la personalizzazione e il leaderismo populistico, sia a destra che a sinistra, devastanti per chi intende la politica nelle forme della lotta fra le classi e non tra le persone. Prevale la logica del più forte, del più ricco, del più famoso, di chi ha appoggi nel mondo che conta, tra i poteri forti. E succede che quello che Fausto Bertinotti definiva un “imprenditore illuminato”, Sergio Marchionne, porti a compimento nel disinteresse del governo l’operazione Pomigliano aprendo la strada alla devastazione dei diritti del lavoro. Quando lo scambio è tra il posto di lavoro e la tutela dei diritti costituzionali, si è alla fine di ogni forma di relazioni industriali. Quando un diritto costituzionale viene azzerato da un accordo di diritto privato tra imprenditore e lavoratori, si verifica l’inversione della gerarchia delle fonti del diritto.
La Costituzione diventa secondaria, vince il primato del mercato. E questo, sul piano sostanziale, apre la strada a qualsiasi ricatto: prima il diritto di sciopero, poi il salario, le ferie, la mensa, la pausa fisiologica.
La situazione è molto più seria di quanto noi stessi percepiamo. Io non so se il governo terrà.
All’interno ci sono contraddizioni molto violente che possono portare ad una sua caduta. Ma
Berlusconi ha dimostrato in questi quindici anni tenuta e capacità di resistenza molto robuste. Non sono inoltre certo che l’alternativa che si sta profilando sia auspicabile. Il Pd, e in particolare l’attuale gruppo dirigente del Pd, sta lavorando per un governo istituzionale o di transizione o tecnico che abbia il compito di cambiare la legge elettorale. Si pensa al modello tedesco, che è proporzionale e rappresenterebbe la fine del bipolarismo, ma che ha la soglia di sbarramento al 5%. Per noi sarebbe letale.
Io auspico che il governo cada per il bene del Paese. Non abbiamo alcuna arma visto che non siamo in Parlamento, possiamo solo auspicare che ciò accada. Ma dobbiamo sapere che qualunque ipotesi di governo di transizione, di decantazione istituzionale o altro è per noi mortale. Porterebbe inevitabilmente a una scomposizione del centrosinistra ed a sue alleanze con pezzi di destra. E non mi riferisco soltanto all’Udc.
In questa situazione difficile e drammatica avanzo una linea di azione che, se i compagni saranno
d’accordo, proporrò al dibattito congressuale. E’ la linea che ho esposto in Direzione e che è stata
approvata all’unanimità con un astenuto.
E’ fondamentale per noi ridare vita ad un sistema di alleanze per raggiungere due obiettivi che
consideriamo vitali. Il primo, la costruzione di uno schieramento di centrosinistra in grado di liberare il Paese da Berlusconi. Il secondo, il ritorno dei comunisti in Parlamento. Se questo non sarà possibile, se la coalizione non si farà, o se si farà e noi ne saremo fuori, le conseguenze saranno per noi esiziali. Ma ammettendo che la coalizione ci sia e che noi ne facciamo parte, esistono le condizioni per un patto di governo tra noi e le altre forze democratiche come il Pd, l’Idv ed eventualmente l’Udc? Secondo me, no. Lo dico con nettezza anche se con rammarico perché sono convinto che i comunisti sono tali se sono un partito di governo. Cioè se si pongono leninisticamente il problema del potere.
Ma oggi non vedo le condizioni per un patto di governo. Ci scontreremmo, il giorno dopo aver vinto le elezioni, con politiche economiche restrittive, forse meno violente di quelle della destra, ma altrettante aggressive sul piano dei tagli. Abbiamo già durissimamente pagato le politiche monetarie di Padoa Schioppa e del governo Prodi nel 2006-2008. Per questo sono convinto che ad oggi non esistano le condizioni per un patto di governo. E vi confesso che mi appassiona assai poco l’idea di scrivere un programma di 400 pagine in cui il non detto prevale sul detto affinché tutti possano trovarsi d’accordo.
Insisto su questo punto perché invece nel dibattito interno dei partiti nostri alleati, nella Federazione della Sinistra, c’è chi ritiene che le condizioni ci siano. E’ bene quindi, prima di aprire un confronto con le altre forze politiche, che questa assise dia un mandato a me e ad ai compagni che andranno a trattare. Propongo dunque che nel documento che varerà l’accordo per la Federazione della Sinistra non venga scritto che ci sono le condizioni di un accordo di governo con il centrosinistra. Tuttavia non sono neanche d’accordo con alcuni autorevoli rappresentanti di Rifondazione che pensano ad un accordo con il centrosinistra al solo scopo di cambiare la legge elettorale. Non ci capirebbe nessuno. Perché se ci limitassimo a dire agli italiani, che vivono condizioni drammatiche di vita e di lavoro, che accettiamo il governo per fare una nuova legge elettorale e tornare quindi al voto, ci prenderebbero per pazzi, per incoscienti. E’ vero che il bipolarismo obbliga ad alleanze innaturali ed ha dato risultati pessimi, ma per i cittadini e i lavoratori questo non è un argomento sufficiente. Quando accadono episodi come quello
di Pomigliano sono ben altre le cose che la gente si aspetta. Davvero non ci comprenderebbe nessuno.
Io propongo un’altra strada. A mio avviso un patto con il centrosinistra va negoziato. Ma non un
accordo di governo, solo alcuni punti programmatici qualificanti. Penso alle questioni sociali ed al
grande scandalo del fisco, il cui 90% degli introiti fiscali viene dal lavoro dipendente; penso al lavoro ed al precariato; penso a scuola e università. Tre grandi questioni da negoziare; tre obiettivi da rendere concreti. I nostri obiettivi. Questo ci permetterebbe una campagna elettorale seria ed onesta, in cui sarebbe del tutto chiaro cosa vogliono i comunisti. E se il centrosinistra vincerà e governerà, noi sosterremo il governo in nome di quei tre obiettivi. Un accordo complessivo, invece, ci obbligherebbe a discutere di tutto, sapendo che ci sono punti in cui trovare un’intesa sarebbe impossibile. Pensate, per dirne uno, alla politica estera.
La linea che vi propongo ci consente di affrontare correttamente l’opinione pubblica, senza entrare in una impossibile gestione della politica economica. Impossibile, care compagni e compagni, perché il Pd, o almeno la sua parte liberista, non ha una linea così diversa da quella di Tremonti.
Il nostro obiettivo è duplice: il primo, costruire una coalizione che consenta al centrosinistra di vincere, cacciare Berlusconi e ristabilire regole democratiche in un Paese ormai alla deriva, senza legalità, sconquassato dal malaffare. Il secondo, riportare i comunisti in Parlamento. E, aggiungo, che strettamente connesso alla difesa della democrazia ed al ritorno dei comunisti in Parlamento è il rilancio e il rafforzamento del Pdci.
C'è, sul tema dell'unità a sinistra, una discussione un po’ surreale. Una parte del nostro Partito, ma soprattutto di Rifondazione, immagina l'unità a sinistra come una svendita della propria identità. E’ vero che l’esperienza dell’Arcobaleno è ancora viva e ogni volta che si parla di unità a sinistra viene voglia di mettere mano alla pistola. E’ una vecchia citazione andreottiana, anche se prima di lui lo aveva detto Goebbels. La sinistra che abbiamo conosciuto con l’Arcobaleno ci ha, per alcuni versi, segnato a vita. Una sinistra incolore, debole, anticomunista. Ma guai a noi se quell’esperienza diventasse un freno alla nostra iniziativa politica. L'idea che l'unità della sinistra metta in discussione l'identità dei comunisti è espressione di debolezza, non di forza. Non c’è alcuna contraddizione tra l'unità delle sinistre e il rilancio dei comunisti. Se la tua identità comunista è forte, chiara, se hai un tuo pensiero strutturato, che rischio c’è? Di cosa dovremmo avere paura? Ci sono tanti uomini e donne di sinistra ma non comunisti. Con loro è necessario e importante dialogare per costruire un fronte ed obiettivi comuni. Sull’innalzamento dell’obbligo scolastico a 18 anni, c’è una sinistra non comunista che dia battaglia assieme a noi? Certo che c’è! Ed è più larga e convinta di quanto non si creda. Cos’è che ci differenzia dal resto della sinistra? Per schematizzare: cosa ci differenzia da Sinistra e Libertà? Un fatto ontologico, direbbe Aristotele, perché noi non siamo generalmente riconducibili alla sinistra, siamo strutturalmente una cosa diversa. E’ una questione di Dna. La sinistra non si pone il cambiamento del sistema economico, sociale e istituzionale della società nella quale vive, non vuole superare il sistema capitalistico. La sinistra ha obiettivi parziali che possiamo condividere o non condividere. E per quegli obiettivi, seppur parziali, si può fare insieme molta strada, si può costruire consenso, organizzare lotte.
Lo schema che vi propongo è dunque il seguente. Il congresso del Pdci si baserà sulla linea della unità dei comunisti, quella che abbiamo lanciato a Salsomaggiore e che resta la nostra linea di fondo. Tre anni fa proponemmo a Rifondazione un unico partito comunista. Rifondazione non ha mai condiviso la nostra proposta. Dobbiamo prenderne atto. Ma questo non significa rinunciare all’obiettivo di un unico e più grande partito comunista. E allora io vi propongo di mettere a disposizione di tutti coloro che si ritengono comunisti, che si percepiscono comunisti, il nostro partito, il Pdci. Non è un mistero che alcuni compagni di Rifondazione guardano con favore a questo progetto. Non stiamo parlando di masse, tuttavia è un segnale interessante e positivo. Il nostro primo obiettivo è dunque il consolidamento e l’allargamento del Pdci, senza volontà egemonica, mettendo laicamente a disposizione l’unica forza comunista che esiste in Italia.
Ultimamente, tra le nostre fila, è ripartita una sorta di tormentone. “Facciamo la costituente dei
comunisti”, propongono alcuni compagni. Rispondo a quei compagni, senza alcuna volontà polemica, fotografando la realtà per quella che è: ma con chi la vogliamo fare la costituente? La costituente si fa se pezzi consistenti si mettono insieme e individuano un percorso comune. Sarebbe stato possibile se tutta Rifondazione comunista avesse accettato la nostra proposta. Avremmo dato avvio alla costituente dei comunisti in maniera seria e credibile.
C’è poi qualcuno che vagheggia la costituente della sinistra: noi, Rifondazione, Sel, un pezzo di Italia dei Valori… Io non ci parteciperei, vi dico con grande sincerità che questo obiettivo non mi interessa, non è il mio, ma riconosco che in questo caso si tratterebbe di una costituente. Non mi interessa perché voglio costruire un’altra cosa, che per il momento si traduce nella massima disponibilità del partito di mettersi a disposizione di chiunque voglia ancora dirsi ed essere comunista.
La storia - per un incidente, forse - ha messo sulle nostre spalle una enorme responsabilità. Siamo un piccolo partito che mantiene una straordinaria irriducibilità comunista. Alla riunione di oggi siete venuti in tanti e questo mi dà grandi speranze, è una bella risposta del Partito, unica forza comunista presente in tutte le province, le città, le regioni: questo piccolo partito ha l’enorme responsabilità di tenere aperta la questione comunista in Italia. La bizzarria della storia ci ha assegnato questo compito.
Abbiamo il dovere di provarci.
E’ tutto questo in contraddizione con la costruzione di una sinistra più larga? Questa è la domanda di fondo. Temiamo davvero che la costruzione della Federazione della Sinistra inquini la nostra identità? A me sembra una sciocchezza e insieme una debolezza politica. Il processo di allargamento dei comunisti impedisce che parallelamente vada avanti un processo di unità della sinistra? E perché? Perché i non comunisti inquinerebbero o indebolirebbero la nostra identità?
Ma perché, compagne e compagni, siamo così pavidi nel dialogo con gli altri? Io non ho alcuna paura di essere inquinato perché la mia è un’identità forte. Non c’è contraddizione se, insieme al processo di unità dei comunisti, proseguiamo nella costruzione della Federazione della Sinistra. Le due cose si combinano. Tanto più perché d’ora in avanti, con le leggi elettorali approvate e con quelle che si intendono approvare, sarà difficile immaginare percorsi in cui il Pdci o Rifondazione si presentino da soli.
La nostra azione deve essere ispirata al massimo della duttilità. La Federazione della Sinistra è
un’opportunità? Secondo me, secondo noi, secondo il gruppo dirigente, secondo la direzione, sì. E’
un’opportunità da perseguire senza peraltro mettere in discussione la linea dell’unità dei comunisti. E’ questa la nostra bussola.
Apro una parentesi per dare risposta ad una domanda che mi è stata rivolta da molti compagni. In questi giorni è circolato un appello per l’unità della sinistra firmato da compagni del nostro partito, di Rifondazione e da alcuni di Sinistra e libertà. L’appello sostanzialmente dice cose già dette in altre occasioni. C’è qualcuno che è contrario all’unità della sinistra? Probabilmente qualcuno c’è, ma sbaglia. Qual è allora il punto? Il punto è che oggi quell’appello viene strumentalmente usato da un pezzo di Rifondazione per polemiche interne in vista del congresso e di conseguenza ha cambiato la sua natura originale. Quelli che lo hanno firmato prima che fosse strumentalizzato hanno fatto bene, ma oggi è diventato un’altra cosa e non è nostro costume entrare in battaglie del tutto legittime ma non nostre. E di tutto abbiamo bisogno tranne che di complicarci la vita. La linea del partito è rappresentata dall’unità dei comunisti e dalla Federazione della Sinistra. Invito le compagne e i compagni a concentrarsi su questi due percorsi. Le lotte interne di altri partiti a noi non interessano.
C’è un altro tema che voglio trattare, il rapporto con Sinistra e Libertà. E’ stato ed è oggetto di molte discussioni tra i compagni. Se vogliamo essere all’altezza del nome che portiamo, “comunisti”, dobbiamo fare ragionamenti non rozzi su chi riteniamo diverso da noi. Sinistra e Libertà è una cosa, Nichi Vendola è un’altra. Per me è scontato, ma nella vulgata Sinistra e Libertà sembra coincidere con Vendola e viceversa. In realtà Vendola sta giocando un’altra partita. Si candida a fare il leader del centrosinistra e non il leader di Sinistra e Libertà. Stanno per iniziare i tre giorni delle “Fabbriche di Nichi” e non di Sinistra e Libertà! L’ambizione di Vendola è infinitamente più grande di ciò che rappresenta Sel ed è una delle facce della personalizzazione della politica, di quel leaderismo che ha contagiato destra e sinistra. Poiché non siamo rozzi, dobbiamo riconoscere che Vendola è molto bravo.
Ha appoggi potenti e sta riscuotendo una simpatia di massa analoga, e per certi versi più larga, di quella di Bertinotti all’inizio della sua segreteria in Rifondazione. Lasciatemi dire che considero Vendola oltre che bravo anche molto abile: non dire nulla può piacere a tutti, ma quel nulla che dice lo dice benissimo. Chapeau! Nessuno di noi è stato in televisione o sui giornali quanto è riuscito e riesce a starci lui, che fra l’altro ha approfittato magistralmente degli errori drammatici del Partito Democratico.
Sono state le primarie in Puglia che gli hanno dato l’abbrivio. E Vendola è riuscito a sfruttarle al
massimo. Ma, lo ripeto, è cosa diversa da Sel. Sinistra e Libertà, lo dico a mo’ di paradosso, può essere per Vendola l’ancora di salvezza ove gli vada male l’operazione con il centrosinistra. Ma intanto lavora alle Fabbriche di Nichi che si tengono nelle sedi del Pd!
Sinistra e libertà è divisa tra chi vorrebbe partecipare alla Federazione della Sinistra e chi si è buttato anima e corpo nel progetto di Vendola. Si sono lacerati, in particolare il gruppo dirigente che viene dalla storia comunista e quindi anche i fuoriusciti da Rifondazione. Questa divisione a noi interessa o no? Domanda retorica, ovviamente. Noi facciamo politica, non proclami. Se ci sarà un pezzo di Sinistra e Libertà che vuole rimanere a sinistra del Pd e che non ha intenzione di seguire Vendola, abbiamo il dovere di provare a costruire un’interlocuzione. L’idea che non dobbiamo interessarcene perché non sono comunisti è profondamente sbagliata. Sapete quanti ce ne sono dentro Rifondazione che non sono comunisti? Per paradosso ci sono più comunisti in Sel che in Rifondazione, con la quale tuttavia teniamo un rapporto che vogliamo consolidare. Il rapporto con pezzi di Sel è importante. Giochiamo d’attacco, compagne e compagni. Non restiamo in trincea a difendere qualcosa che non c’è più. Usciamo dalle sedi, offriamo dibattiti, terreni di lavoro, raccolte di firme in comune, facciamo politica, facciamo scoppiare le contraddizioni degli altri. Vendola non ci vuole nel centrosinistra. Per noi sarebbe un suicidio. Ma siccome non abbiamo alcuna intenzione di suicidarci, dobbiamo lavorare politicamente perché nel Pd non prevalga l’idea dell’autosufficienza. Ma se Vendola vince le primarie e diventa il capo del centrosinistra, dobbiamo sapere che farà del tutto per non averci nella coalizione. Perché? Perché siamo comunisti. E allora come avere un rapporto con uno che non ti vuole? Con l’intelligenza della politica, non regalandogli rendite di posizione. Se noi ci autoescludessimo, se pensassimo ad un polo alternativo al Pd, regaleremmo a Vendola una rendita di posizione, quella di rappresentare la sinistra del centrosinistra.
C’è poi un altro punto di discussione, rappresentato da un fantasma che s’aggira per l’Europa e che, in questo caso, non è lo spettro del comunismo. Si chiama Die Linke ed è la sinistra che qualcuno in Italia propone. Sto schematizzando molto. È la proposta di pezzi di Rifondazione che dicono: “Dobbiamo far sì che i comunisti, cioè la Federazione della sinistra, si associ con Sinistra e Libertà per costruire insieme la Linke italiana”. Ma cosa è davvero la Linke? Lo dico ai compagni che non seguono le vicende europee. La Linke è l’unificazione tra i comunisti della Ddr dell’ex Germania dell’Est e i socialdemocratici di sinistra dell’Ovest. Alle ultime elezioni hanno avuto un grande successo, con percentuali che veleggiano oltre il 7%. In qualche stato, regione, Länder tedesco, raggiungono percentuali notevolissime. Ma la situazione è profondamente diversa da quella italiana, lì pesa ancora la storia della Germania dell’Est. Un’ipotesi simile non è ripetibile. Provo a ragionare in maniera oggettiva, cioè indipendentemente dal fatto che a qualcuno piaccia oppure no. In Germania la Linke scaturisce, prima ancora che da due partiti, dall’unificazione di due paesi, due stati diversissimi l’uno dall’altro, la DDR e la Germania occidentale. Quando c’è stata la riunificazione dei due stati si è posto il problema di due partiti che esistevano a livello territoriale, sia ad Est che ad Ovest, e che solo insieme potevano dare vita a un partito di sinistra e nazionale. In Germania l’operazione di Lafontaine aveva dietro l’Ig Metal, cioè il sindacato metallurgico tedesco, lavoratori in carne ed ossa che hanno appoggiato una linea socialdemocratica di sinistra. Vi sembra, compagni, che lo stia facendo anche la Cgil? La Cgil è il convitato di pietra. Mi auguro che prima o poi faccia qualche scelta visto che il Partito Democratico l’ha lasciata sola persino nella vicenda di Pomigliano. Sel rappresenta oggi quello
che è la Lafontaine in Germania? Nemmeno per sogno. In Italia l’unificazione della Federazione della Sinistra con Sel significherebbe tutto tranne la riedizione della Linke. E dunque è una cosa che semplicemente non c’è.
Io chiedo a tutto il partito una grande capacità tattica: la costruzione della più larga unità a sinistra, anche fuori della Federazione della Sinistra. Abbiamo sperimentato nelle regionali che dove ci siamo presentati in coalizione abbiamo preso voti, mentre dove ci siamo presentati da soli gli elettori ci hanno puniti. Tranne in un caso, laddove non abbiamo scelto noi di andare da soli, come nelle Marche, ma sono stati gli altri a volerci fuori dalla coalizione. Nelle Marche si è costruito un polo di sinistra, anche con la presenza di Sel, e il risultato è stato molto buono. Ma è stato chiaro fin dal primo momento che eravamo spinti da una forte vocazione unitaria che il Pd aveva rifiutato ed osteggiato.
L’ultimo punto riguarda il profilo della nostra ricerca di comunisti. Io sento molto questo problema, anche personalmente, anche per questa contingenza della storia che ci assegna una responsabilità. Ma, care compagne e cari compagni, bisogna che entri nella testa di ciascuno di noi tutti, a cominciare da chi vi parla, che sul comunismo abbiamo troppo spesso gli occhi rivolti al passato. Forse è inevitabile, ma è mortale. Non è possibile parlare di comunismo e di comunisti come negli anni 30 o negli anni 50.
Il mondo è cambiato, e sono cambiati innanzitutto i paesi comunisti. Con loro dobbiamo iniziare a
interrogarci, a scambiarci opinioni, ad affrontare una serie ricerca sul comunismo nel terzo millennio, nell’epoca del web, delle telecomunicazioni di massa. È questo il motivo di fondo per cui è nata l’associazione culturale Marx XXI, che il 12 giugno a Roma ha tenuto il suo primo convegno sulle riforme istituzionali. E’ stato un convegno importante. Perché essendo noi comunisti affrontiamo il tema delle riforme istituzionali in modo diverso dagli altri, compresa la sinistra non comunista. Per noi le questioni istituzionali sono una delle facce del conflitto
sociale. Da quest’intreccio scaturisce la proposta dei comunisti.
Quali sono i contenuti nuovi, innovativi, l’aria fresca che immettiamo da comunisti nella discussione e nella battaglia politica? Dobbiamo riprendere a studiare, compagni. Pubblicheremo i materiali del convegno sulle riforme istituzionali e sono curioso di vedere - anche questa è una domanda retorica - quante delle nostre organizzazioni territoriali li ordineranno per usarli nella formazione dei nostri giovani, nella discussione, nella ricerca.
E’ la nostra pochezza intellettuale, e non la vicinanza o l’alleanza con i non comunisti, che ci espone alla contaminazione, possibile laddove abbassi la guardia della tua identità. Nel confronto di merito con quelli della sinistra non comunista, se noi fossimo quelli di una volta vinceremmo e invece abbiamo spesso difficoltà e spesso sono gli altri ad esercitare egemonia nei nostri confronti.
L’Associazione Marx XXI offrirà, a chiunque lo vorrà tra di noi, gli strumenti adeguati. Non è
un’associazione del Partito, ci sono dentro comunisti di altre forze politiche e tanti che non hanno
appartenenze partitiche. C’è una intellettualità diffusa che chiede luoghi di discussione e di studio. Da tempo non ce ne sono più. Questa associazione metterà a disposizione non cose astratte, ma proposte e materiali affinché il profilo identitario non sia più costruito con gli occhi rivolti al passato ma al futuro.
Due ultime cose telegrafiche. La prima riguarda le nostre finanze. Spesso affrontiamo il problema
distrattamente. E invece il partito sta finendo i soldi. La Tesoreria e l’Amministrazione stanno facendo i salti mortali. Abbiamo messo compagne e compagni in cassintegrazione, abbiamo chiuso il giornale e la tv. Me ne assumo ogni responsabilità. Queste misure non sono state prese, come qualche scellerato ha detto, perché “si sta chiudendo” il partito. È esattamente il contrario. Stiamo facendo drasticamente economia per poter arrivare al 2013, data delle elezioni nazionali. Abbiamo qualche piccola risorsa, ma siamo all’osso. Dobbiamo aiutarci reciprocamente, perché ci sono regioni che hanno consiglieri e assessori e gestiscono un po’ di risorse, mentre altre regioni non hanno nulla. E sapete come ci si aiuta?
Evitando che, anche nel nostro partito, si applichi il federalismo fiscale. Una regione che ha avuto
eletti alle regionali non può tenersi i soldi senza pensare al resto del partito. Dobbiamo creare un
circolo virtuoso, non lasciato alle singole regioni ma coordinato dal nazionale. Dobbiamo istituire un fondo di solidarietà che possa aiutare chi è in cattive condizioni. Naturalmente si tratta di una decisione che deve essere assunta dalla Direzione del Partito. Io mi limito a proporla alle compagne e ai compagni in modo che si possa dare un mandato alla Tesoreria per procedere ad un piano di ripartizione delle risorse.
Ed infine l’ultimo punto. Abbiamo affrontato varie difficoltà e ci sono stati momenti di grande
scoraggiamento nel Partito, anche in relazione al mio incidente. E’ sbagliato, compagne e compagni, legare ad una singola persona i destini di una comunità. Io non amo la politica personalizzata, tuttavia da qualche giorno sono, ancorché zoppicante, pienamente in campo. Sono riuscito a tenere il primo attivo regionale in Toscana, farò il congresso dell’Umbria la prossima settimana. Intendo partecipare al maggior numero possibile di attivi regionali recuperando questi mesi di inattività forzata. Ci stiamo giocando una partita che va infinitamente al di là del Pdci, che riguarda una generazione intera, forse un pezzo di storia comunista in Italia. E allora dobbiamo guardarci in faccia per sapere chi ci sta e chi non ci sta. Chi ci sta, ventre a terra e inizi a correre, perché la specificità dei comunisti rinsalda oggi un patto collettivo che è quello che fonda la nostra comunità. Che a vederla oggi, attraverso i vostri occhi e la folta presenza a questa riunione, forse sta meglio di quanto avessero preventivato tanti uccelli del malaugurio.

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