Scritto da Francesco Fumarola
La rivista de “L’Ernesto” torna, nella sostanza, a parlare dell’Appello Comunisti Uniti dopo circa sette mesi di silenzio e lo fa con un curioso articolo redazionale dal titolo “Comunisti Uniti: mettiamo qualche puntino sulle ‘i’ “. I primi sette mesi sono decisivi per qualunque forma di esperienza sociale: per esempio, è assai probabile che se un marito, con la scusa delle sigarette, parte all’improvviso per le Americhe, è assai probabile che al suo ritorno a casa vi trovi l’avvocato di famiglia (e non solo per il divorzio). Ma, si sa, le regole ammettono le eccezioni. Nella politica italiana non è mai troppo tardi ed i nostri politici (di qualunque schieramento essi facciano parte) vanno a nozze con la parte del sofista chiacchierone che tenta di convincere qualcuno della giustezza di un vuoto di presenza prolungato. Alla peggio si può sempre dare la colpa alla fase (maledetta o benedetta, a seconda delle volte e delle, ahinoi, giravolte) e alla strategia del saggio attendismo. Anche su questo, non v’è dubbio: si può sempre spiegare tutto con la scusa di avere aspettato un secondo, un minuto, un mese (anche sette) di più per semplice “precauzione”. I fatti, oggi come oggi, sono “liquidi” ed è bene non avere fretta. Essere cauti: è questa la prima regola dei grandi burocrati.
Solo dopo accurati controlli (e sempre che sia tutto a posto) si può ripartire: “abbiamo scelto consapevolmente di ripubblicare l’Appello in questo[!] numero della rivista, ed il testo con cui l’area dell’Ernesto nel suo insieme (il suo coordinamento nazionale) vi aderì in modo unanime e dopo una discussione approfondita. Non lo facciamo per una sorta di meccanico continuismo: tante cose sono cambiate dalla sua data di pubblicazione, all’indomani del voto del 14 aprile”. Se si capisce questo schema di lavoro pacato e quasi da “buon padre di famiglia”, tutto, alla fine, riprende senso. Perfino i firmatari-carneviva, che avevano riposto la loro speranza di Unità nell’Appello e nel fare “ora e subito”, dopo essere stati scaricati ai bagni termali di Chianciano e Salsomaggiore, riscoprono che quanto possa abbagliare l’apparenza e riprendono colore: perchè mai(!) un compagno lascia da solo un altro compagno, soprattutto dopo avergli fatto firmare un Appello!
E perciò, come un grande direttore d’orchestra, l’Ernesto riprende a dettare i tempi alle maestranze (le lavoratrici ed i lavoratori). Dopo un primo tempo vivace che parla di Unità dei Comunisti, e che nell’articolo viene giustificato per rispondere ad un rischio imminente, non certo ad una necessità storica (basti leggere “era o non era, in quel contesto[sic], non solo lecito ma necessario e responsabile che, non solo l’ernesto, ma chiunque dentro il PRC avesse a cuore l’autonomia comunista del partito, si ponesse il problema di quali avrebbero potuto essere gli scenari qualora il congresso di Chianciano si fosse concluso in modo assai diverso, da come poi imprevedibilmente è avvenuto? E che cosa era giusto fare a quel punto?” per rendersene conto) ed un primo tempo lentissimo, anzi una pausa tattica di non-silenzio alla John Cage (che nel 1952 presentò la rivoluzionaria partitura 4'33” per cui “basta indossare un abito da concerto, giusto per entrare meglio nella parte dell'esecutore, e accomodarsi al pianoforte per quattro minuti e trentatré secondi, senza suonare alcunché. L'esecutore non deve fare assolutamente niente e il pubblico non deve fare altro che ascoltare, ascoltare la “musica” che viene creata dai rumori interni alla sala da concerto, bisbigli, colpi di tosse, scricchiolii vari, ed anche da quelli che provengono dall'esterno..”. “Sentivo e speravo di poter condurre altre persone alla consapevolezza che i suoni dell'ambiente in cui vivono rappresentano una musica molto più interessante rispetto a quella che potrebbero ascoltare a un concerto”. Cage voleva semplicemente dimostrare “che fare qualcosa che non sia musica è musica) si riparte di slancio, temprati dalla misura dell’assenza-presenza, per un finale (chi può dirlo?) magari in crescendo.
Un finale che vuole “avviare un processo di riaggregazione di una diffusa diaspora comunista che faccia perno su un processo di avvicinamento e in prospettiva di unificazione di PRC e PdCI, nel loro insieme e senza alcuna sollecitazione scissionistica, ma che non si esaurisca in essi”. Intanto i Comunisti Uniti, aspettando che l’Ernesto resuscitasse come Gesù, in questi mesi sono andati avanti. E’ stato preso sul serio il compito di “favorire il protagonismo delle oltre 6.000 compagne/i che vi hanno aderito” tant’è che nel Lazio e nelle altre regioni italiane si succedono senza sosta le riunioni allargate a chiunque voglia partecipare (con o senza tessera di Partito o gruppuscolo). L’11 Ottobre i Comunisti Uniti, tra tanti limiti, sono scesi pure in piazza. E che sembri pure meccanico continuismo: la storia, per gli oltre 6000 tra compagne/i che ad Aprile hanno firmato/promosso l’Appello sotto altri auspici che non fossero di riposizionamento interno-esterno delle varie burocrazie, non s’è mai interrotta.
Intanto ad Aprile si vota.
Rumors sempre più insistenti vogliono che il PRC correrà da solo e lascerà a piedi il PdCI di Diliberto. Sono solo rumors. E comunque, anche se la cosa si concretizzasse per davvero, questa, come direbbe qualcuno, è un’altra storia. Forse!
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