Durante il governo Prodi, noi, Rifondazione e i Verdi chiedevano il ritiro delle truppe. Ma siccome ci rendevamo conto di esssere in un contesto nazionale e internazionale che rendeva la nostra richiesta niente più che un mero appello, avanzammo anche proposte precise. Primo: avviare una exit strategy attraverso una conferenza di pace e tutti, dal Pdl, al Pd, all'Idv ai media (che brutto ruolo giocarono in quel periodo tante fonti di informazione!) ci guardavano come patetici residuati di un altro secolo. Secondo: aprire un tavolo di trattativa con i talebani, perché la pace si fa con i nemici, non con gli amici. E tutti - gli stessi che ho nominato sopra - ci trattavamo come terroristi, come la lunga mano dei talebani in Italia. Terzo: insistevamo, dati e notizie alla mano, anche di fonte afgana, che quella non era una missione di pace ma una sporca, lurida guerra. E sempre gli stessi dicevano che volevamo abbandonare le donne alla furia dei talebani e il mondo alla follia del terorrismo. C'era poi un'ultima accusa, forse la più indegna. La nostra mancanza di sostegno alla "missione di pace" era un modo di abbandonare i militari italiani, renderli un facile bersaglio del terrorismo. Me li ricordo, i Calderoli di turno, come si ergevano a giudici...
Leggo stamane le loro dichiarazioni con un sentimento che sta tra la frustrazione e lo schifo. Ma poi penso ai ragazzi italiani morti e a quelli feriti, alle migliaia di morti e feriti afgani - civili innocenti - allo strazio delle famiglie, degli amici, e mi dico che nessun senso di frustazione o schifo deve avere la meglio sulla lotta per la pace.
Ho seguito con passione i lavori della Tavola della Pace - interessanti, profondi, impegnati - riportati stamane sui grandi giornali in poche righe. Ho seguito la vicenda di Emergency con solidarietà e angoscia. Non siamo soli. Siamo in tanti, siamo la maggioranza a detestare guerre e violenza. E questo mi dà motivazione e conforto.
Oliviero Diliberto segretario nazionale PdCI
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