sabato 27 gennaio 2007

LA LOTTA ALLA MAFIA DAL VERSANTE DEI PROLETARI

La criminalità organizzata è un fenomeno estraneo e ostile agli interessi del movimento operaio. Basterebbe ricordare i tanti episodi di intimidazione e di aggressione subita dagli operai per mano della mafia e della camorra per confermare la natura antiproletaria della criminalità organizzata.
Il brigantaggio, nella realtà meridionale, prima di assumere la connotazione di lotta di resistenza all’occupazione e al dominio sabaudo, si caratterizzava come una forma di protezione dei latifondisti contro le rivendicazioni dei braccianti che chiedevano la riforma agraria e la distribuzione equa delle terre. Negli ultimi anni la mafia si è trasformata, puntando da un lato sul traffico della droga e accentuando i suoi investimenti nel campo produttivo e dall’altro inserendosi direttamente all’interno degli apparati di potere (gestione della cosa pubblica), senza più ricorrere ai favori di politici. Sempre più spesso piccole e medie fabbriche o catene della distribuzione passano nelle mani di uomini della mafia, che non esitano ad utilizzare i propri scagnozzi armati per imporre condizioni di lavoro e trattamenti salariali intollerabili, per intimidire qualsiasi tentativo di reazione operaia, mentre per quanto riguarda il traffico illegale della droga, basta osservare qualsiasi quartiere periferico delle nostre città per rendersi conto del degrado e della frantumazione interna al proletariato che la diffusione della droga provoca.
La lotta alla mafia è quindi qualcosa che riguarda direttamente la classe operaia.
Ma per difendersi da questo fenomeno apparentemente indistruttibile occorre chiedersi innanzi tutto da che cosa è alimentata e da dove deriva la forza della mafia. Il primo luogo comune che occorre sfatare è quello secondo cui la mafia è il frutto dell'arretratezza sociale. La mafia è oramai un fenomeno mondiale ed è insediata nelle principali metropoli del mondo: da New York a Mosca a Tokio a Rio de Janeiro. Si tratta quindi di un fenomeno "moderno" che fa proseliti nelle aree in cui il pieno dominio capitalistico produce un maggiore degrado sociale. Il secondo elemento di falsità che va superato è quello secondo cui la mafia è qualcosa di esterno agli attuali rapporti sociali, una specie di cancro cresciuto nel tessuto sano della società. Al contrario, la mafia non fa che accentuare le differenze tra classi, perpetrando lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che in questo caso non si perpetra solo a livello di produzione, ma in ogni aspetto della vita sociale.
La mafia non fa altro che portare alle estreme conseguenze quello che è l'imperativo dominante della società capitalistica: la ricerca del massimo profitto senza stare a guardare per il sottile sui mezzi e sulle conseguenze per raggiungerlo.
In ultimo, la mafia non è l'antistato. Contrariamente a quanto cercano di farci credere giornalisti e politici borghesi, essa è un’organizzazione complementare e strettamente intrecciata con parti decisive degli apparati statali. Complementare perché, attraverso la propria presenza in aree particolarmente degradate, assicura al capitalismo nel suo complesso un controllo sociale difficilmente raggiungibile con l'ordinaria amministrazione. Intrecciata perché, come ogni organizzazione borghese, cerca di creare le proprie lobbie all'interno dello stato per tutelare i propri interessi economici. Solo quando le attività mafiose entrano in contraddizione con la difesa degli interessi del capitale complessivo nazionale, lo Stato esercita una reale politica repressiva contro la criminalità organizzata. Politica che non è mai tesa a distruggere il fenomeno mafioso (cosa tra l'altro impossibile entro gli attuali rapporti sociali che l'alimentano continuamente), ma a ridimensionarlo e a renderlo di nuovo funzionale agli interessi generali del capitalismo. Non è un caso se quei pochi "servitori dello Stato" che s'illudono di condurre fino in fondo la lotta alla mafia, vengono sempre bloccati e ostacolati quando superano gli scopi che lo Stato si era prefissato, quando non vengono abbandonati alla vendetta della mafia.
Non è da questo Stato, con mafiosi che al suo interno occupano posti di comando, che ci si può aspettare una lotta decisiva contro la mafia!
Non è la mancanza di leggi adeguate o l’insufficiente numero di magistrati e poliziotti che impedisce di sconfiggere la mafia. È all'interno di questo sistema fondato sullo sfruttamento salariale e sull'appropriazione privata che stanno le cause del fiorire del fenomeno mafioso. È all'interno dello stato borghese che vanno ricercati i principali alleati della mafia e le sue rappresentanze politiche. Non è tra i padroni che troveremo alleati per combattere la mafia né ci riusciremo esclusivamente con la repressione. La lotta alla mafia deve partire dalla maturazione di una nuova mentalità che vada contro l’attuale stato di cose. Bisogna maturare una coscienza che vada contro i disvalori del profitto, dello sfruttamento dell’uomo, dell'individualismo più esasperato, dell'arrivismo e dell'accumulo di ricchezza, principi che ormai rappresentano sempre più l’habitat in cui proliferano i crimini di stampo mafioso.

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